Commento:
Qualche tempo fa scrissi un intervento dal titolo: “Pessimismo? Ottimismo? No. Voglia di fare o di stare a guardare”.
Le recenti vicende che riguardano le sorti della nostra Taranto inducono in effetti ad azzardare scenari poco rassicuranti.
Taranto è stata nel 2003 la penultima provincia italiana per vivibilità, confermando la poco lusinghiera posizione del 2002, alla faccia delle voci di presunti complotti alla nostra immagine perpetrati per oscuri motivi da chissà quale centro di potere.
La situazione è sotto gli occhi di tutti. Ed è stridente.
Da un lato abbiamo la situazione ambientale del tutto irrisolta con una ricaduta nefasta sulla salute degli abitanti, soprattutto di alcuni quartieri, primo tra tutti i Tamburi, la perdurante stagnazione economica, con molte imprese, tra cui spicca l’Arsenale, in crisi profonda, e l’Ilva, il cui futuro si interseca con una logica ricattatoria (vedi articoli odierni sulla stampa) con la vertenza ambientale; c’è quindi l’assenza di politiche di reale sviluppo del turismo sia vacanziero che eno-gastronomico, il polo universitario che ancora deve sottostare a decisioni prese altrove, le attività culturali ridotte al minimo e opera esclusivamente della buona volontà di pochi, la mancanza di interesse della classe politica nei riguardi di un rilancio di Taranto come centro storico-archeologico, ed il conseguente depauperamento della potenziale classe dirigente della città, ovvero la fuga dei migliori cervelli verso altri lidi (italiani e non), dove rendono grande onore alla propria terra e suscitano altrettanto rimpianto per averli ceduti gratis ad altri (come Triuzzi all’Ancona…).
Lo sport è fedele specchio della città, tranne la mosca bianca delle ragazze della squadra di pallacanestro abbondantemente penalizzate dalla cecità della classe dirigente jonica con la rinuncia all’Eurolega, vetrina potenziale di Taranto in Europa, nonostante i loro successi esaltanti.
Dall’altro lato assistiamo con un sentimento di profonda indignazione mista a incredulità alla posa di inutili e costosi orpelli lungo tutta la città.
Passeggiando per il centro cittadino, sembra di essere sopra un palcoscenico pieno di luci.
Un palcoscenico di un teatro vuoto perché i potenziali spettatori non possono permettersi il costo del biglietto, dove si vorrebbe rappresentare una Taranto che non c’è, che non corrisponde a quella con le buche sull’asfalto, appena al di là della biglietteria, quella con i malati terminali di cancro ai polmoni e magari anche disoccupati.
Non vorrei che adesso qualcuno si affannasse a dare un colore a quanto sopra, cercando di confutare una realtà incontrovertibile, purtroppo.
Certo, la classe dirigente jonica attuale brilla per impalpabilità, impegnata più a cercare un modo per restare attaccata alla poltrona o per occupare quella altrui che ad adempiere al mandato per cui è stata scelta.
Ma le disgrazie di Taranto hanno molti genitori, dai governi centrali di quaranta e passa anni fa, che imposero una scelta industriale palesemente dissonante con le caratteristiche della città, sfruttando la pochezza o la interessata accondiscendenza delle classi politiche locali, alle amministrazioni locali successive alla creazione del Mostro d’Acciaio, che non seppero intraprendere politiche di sviluppo alternativo in modo da favorire così la crescita di una vera classe imprenditoriale locale e che invece contribuirono ad inculcare nei tarantini ancora di più il concetto del “Poco, Maledetto e Subito”, che sposato con il molto provinciale consumismo “da tre telefonini ciascuno e pelliccia alla moglie con cambiale” ha prodotto nel tempo fenomeni imponenti di usura.
Il colpo di grazia alle speranze joniche è stato portato dalle amministrazioni succedutesi negli ultimi 25 anni, ovvero un arcobaleno di colori, molto spesso indossato gattopardescamente da attori pronti a cambiare bandiera ad ogni piè sospinto.
Bene, sgombrato il campo da ogni possibile equivoca interpretazione, andiamo oltre.
E’ giunto il tempo di tracciare una riga e cominciare a cambiare le cose.
Perché questo possa accadere in realtà non occorre molto: occorre buona volontà, comprensione della realtà, ovvero dei punti di forza e di debolezza del territorio, molto cuore e persone che spinte da passione civile traccino le linee guide anche per gli altri, nella consapevolezza che chi disponga di buone capacità di analisi e di sintesi abbia maggiori responsabilità e l’onere di istruire chi queste capacità non le ha così affinate.
Tutto quello che avrete avuto la pazienza e la benevolenza di leggere finora è lo zigote del Progetto “Delfini Erranti”, è il DNA della Comunità e dell’Associazione.
I Delfini Erranti sono nati per dimostrare che la speranza esiste ancora.
La speranza di riappropriarsi del proprio destino, di unire anziché dividere.
Il nucleo attorno al quale aggregare sempre di più fino a raggiungere una massa critica che permetta di incidere sulle scelte che vengono compiute e che connoteranno il futuro di Taranto.
Era condizione indispensabile che il nucleo di questa Fondazione fosse alieno alla realtà cittadina, in quanto è ben nota la diffidenza jonico verso un vicino troppo attivo, troppo in vista.
Non potevamo permetterci di fallire per colpa di questi difetti endemici, che appaiono ostacoli insormontabili ad una analisi frettolosa.
Abbiamo pertanto percorso piccoli ma significativi passi, che Francesco Calia ha brevemente ricordato nel manifesto di apertura della campagna di Tesseramento 2004, a volte muovendoci in terreni impervi, che hanno provocato alcuni rallentamenti, ma non ci hanno fermato.
Qual è la proposta che oggi finalmente possiamo e vogliamo presentare?
La creazione di una sorta di Taranto Net, di cui un piccolo esempio è stata la collaborazione venutasi a creare con altre realtà nel corso del 2003!
Una rete di tutte le realtà che si muovono a Taranto per promuovere lo sviluppo ed il progresso di Taranto, che magari utilizzi come mezzo di comunicazione TarantoPost, che non è nato per essere il magazine solo dei Delfini Erranti: sarebbe un esercizio simpatico, magari autocelebrativo, ma destinato ad esaurirsi.
Dobbiamo sforzarci di guardare oltre di superare le divisioni e gli steccati, che ci portano più a competere che a cooperare.
Se questa Taranto Net diventasse realtà, e dipende da ciascuno di noi ed è una scelta individuale, potremmo un giorno arrivare ad essere un interlocutore decisivo.
Per poterlo essere in democrazia contano i numeri, ovvero dobbiamo essere in tanti.
Non pensiate che questo voglia essere l’alba di qualcosa che assomigli a formazioni politiche.
Tutt’altro!
La rete deve poter influenzare le scelte dei politici e degli amministratori, ma non sostituirsi ad essi.
Quindi, ricapitolando: bassissima esposizione personale, assenza di competizione interna ed esterna, massima capacità di influenza sulle scelte che riguardano Taranto.
Invito, quindi, tutti ad iscriversi all’associazione Delfini Erranti, che non è alternativa ad alcuna altra realtà associativa che operi nell’ambito jonico ed invito le altre associazioni ad aderire al progetto Taranto Net, che non ha e non avrà soci di serie A e soci di serie B: chiunque aderisca avrà pari dignità con gli altri.
In passato, è capitato di leggere un po’ dovunque di questa volontà inespressa di fare del bene per Taranto.
Chi lo voglia davvero, si faccia vivo: scrivete alla nostra segreteria (segreteria@delfinierranti.org) sia che vogliate iscrivervi, sia in rappresentanza di altre realtà.
Abbiamo davanti a noi degli appuntamenti importanti ai quali dobbiamo arrivare tutti preparati.
Sia ben chiaro.
Non ci lasceremo scoraggiare dalla mancanza di volontà altrui, ma denunceremo senza sosta tutti quelli che a parole vogliono fare e poi si tirano indietro per pigrizia, ingiustificati timori, apatia o paura di rendere un non bene identificato omaggio ad un orticello diverso dal proprio.
E’ finita l’epoca dell’orticello.
Quando arriva l’ondata di piena o si fa tutti diga o si viene tutti travolti dall’acqua!
Tarantine e Tarantini di Buona Volontà: vi aspettiamo!
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