Commento:
Il momento “nero” dell'ILVA a livello giudiziario continua.
L'ennesimo processo che ha visto sul banco degli imputati i massimi esponenti del colosso siderurgico tarantino si è concluso con una nuova condanna. Pure di chi al termine della requisitoria era risultato destinatario della richiesta di proscioglimento avanzata dai pubblici ministeri. L'accusa era quella di sempre: inquinamento. Ed anche ieri l'esito del processo non ha lasciato margini a chi era stato chiamato in causa. Emilio Riva, suo figlio Claudio, il direttore dello stabilimento ed un altro dirigente sono stati riconosciuti colpevoli di non aver fatto nulla per evitare che l'attività produttiva (con l'emissione di polveri e gas) creasse problemi alle persone e deteriorasse arredi urbani, strade e cimiteri del Comune di Taranto. Ente che, come si può notare, risulta fra le vittime dei reati, ma che in ossequio a quanto disposto dall'atto di intesa ha invece deciso di tenersi fuori dalla vicenda. Ha deciso di non prendere parte ad un processo che lo avrebbe visto fra i soggetti più legittimati a chiedere i danni. Danni che potranno quantificare in separata sede “Legambiente” (che tramite il suo legale, avv. Eligio Curci, ha chiesto 2 milioni di euro) e la Uil provinciale (i cui interessi sono stati tutelati dall'avv. Sergio Torsella).
Ad esser sollevati dalle accuse (o perchè prescritte o a seguito di assoluzione) sono stati il dott. Alfredo Moroni ed il dott. Domenico Elefante, due dirigenti dell'AGIP, l'altra grande industria (nel processo è stata assistita dall'avv. Rocco Maggi) che era finita alla sbarra per inquinamento.
Un inquinamento con cui, proprio alla luce della sentenza, non ha avuto a che fare.
Discorso contrario va invece fatto per i vertici ILVA. Pur risultando inferiore rispetto a quella proposta dalla pubblica accusa, la sanzione più alta è toccata ad Emilio Riva. Per il presidente del CdA dell'ILVA la condanna è stata pari a 3 anni di reclusione. E non basta. L'imprenditore è stato dichiarato interdetto dall'attività industriale ed incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata della pena. Un verdetto che non è stato certo mitigato dalla prescrizione e dall'assoluzione (il fatto non sussiste) decretate in ordine ad altre due contestazioni. Anche per il direttore dello stabilimento l'esito del processo non ha riservato buone nuove. Riconosciuto colpevole per una parte dei reati ipotizzati a suo carico, l'ing. Luigi Capogrosso si è visto infliggere 2 anni e 8 mesi (i p.m. ne avevano chiesti 3 e mezzo) con esclusione della recidiva, ma con le temporanee interdizione (come per Emilio Riva) dall'attività industriale ed incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
La sentenza che ha chiuso il processo alla “grande industria” ha pure riservato una grossa sorpresa. Già, perchè l'affermazione di responsabilità ha visto come destinatario anche Claudio Riva, per il quale i pubblici ministeri avevano chiesto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Una prescrizione che il giudice monocratico dott. Martino Rosati non ha rilevato irrogando all'imprenditore un anno e mezzo per i reati di danneggiamento e di getto pericoloso di cose. Gli stessi reati che hanno portato alla condanna dell'ultimo dirigente ILVA finito sul banco degli imputati: Roberto Pensa, responsabile del reparto cokerie. Per questi la pena è stata pari a sei mesi e quindici giorni di reclusione a fronte dei 3 anni e due mesi proposti dai rappresentanti dell'accusa. Nel segnalare che la sanzione rimarrà sospesa per cinque anni con non menzione, va detto che ad aver ridimensionato le richieste dei p.m. è stata l'assoluzione disposta per quello che era il reato più grave fra quelli contemplati: l'omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
Una contestazione su cui la pubblica accusa rappresentata dal procuratore aggiunto dott. Franco Sebastio e dal suo sostituto dott. Alessio Coccioli si è particolarmente soffermata in occasione della requisitoria. In quella circostanza i p.m. hanno spiegato cosa non avrebbe funzionato nel processo produttivo delle cokerie. Stando a quanto evidenziato dai magistrati, nell'esercizio degli impianti non sarebbero state adottate le misure necessarie per impedire la dispersione nell'atmosfera di fumi, gas, vapori e polveri. Una circostanza che oltre a causare problemi di salute ai cittadini avrebbe determinato il deterioramento degli arredi urbani e degli edifici pubblici cittadini. Un particolare riguardo è stato dato alla questione delle “cokerie” dello stabilimento siderurgico. Come emerge dal capo d'accusa, Emilio Riva e gli altri dirigenti dell'ILVA avrebbero omesso di dotare quattro batterie del reparto (la 3, la 4, la 5 e la 6, le stesse che all'epoca delle indagini furono poste sotto sequestro) di tutte quelle apparecchiature necessarie per scongiurare la “possibilità di disastri”. Secondo la tesi dell'accusa, questa presunta “mancanza” avrebbe rappresentato un rischio potenziale per i lavoratori dell'impianto, i quali sarebbero rimasti esposti ad un pericolo più elevato di infortuni e malattie. Un pericolo che, nel corso delle indagini, fu posto in risalto dalla perizia. Questa sollevò forti perplessità sul corretto funzionamento delle “cokerie” 3, 4, 5 e 6, poichè sarebbe stato caratterizzato da irregolarità ricorrenti, anomalie e discontinuità. Che, sempre stando agli esperti incaricati dalla Procura, sarebbero state diretta conseguenza del grado di vetustà e dello stato di deterioramento degli impianti esaminati. All'epoca, gli esperti incaricati dagli organi inquirenti rilevarono come l'inaffidabilità e l'incostanza dei macchinari possano aver contribuito a creare per gli operai condizioni di lavoro estremamente difficili. Alla luce di quanto emerso dalle verifiche effettuate, le fasi del processo di produzione non sarebbero risultate assistite da apparecchiature e metodologie idonee. Una situazione che sarebbe stata in grado di provocare la dispersione di migliaia di tonnellate di sostanze nocive nei luoghi di lavoro e nelle aree cittadine circostanti, come il quartiere “Tamburi”.
Secondo i consulenti chiamati a verificare lo stato degli impianti, il quadro venutosi a delineare avrebbe determinato un grave impatto ambientale ed oggettive condizioni di pericolo di seri danni alla salute per tutti coloro che prestavano la loro opera nel reparto “cokerie”. Inutile rimarcare che le conseguenze descritte dalla perizia le avrebbe sopportate anche la cittadinanza. Per non parlare degli arredi urbani e degli edifici pubblici (in particolare strade e cimiteri). Che, in base a quanto sancito dalla sentenza emessa dal giudice monocratico, furono danneggiati dalle emissioni di imprecisati quantitativi di polveri minerali, di Ipa e di benzene. A giudizio del magistrato che ha valutato la vicenda, quel processo produttivo creò più di un problema a livello di inquinamento. Più di un problema che il giudice ha ritenuto di sanzionare procedendo all'affermazione di responsabilità dei vertici dello stabilimento ILVA. Anche di Claudio Riva, per il quale i pubblici ministeri avevano chiesto il non doversi procedere.
Completamente differente è stato l'esito processuale per l'amministratore delegato ed il direttore dell'AGIP, i dottori Moroni ed Elefante. Preso atto di quanto emerso dalla lunga istruttoria dibattimentale (che, ricordiamo, ha fatto registrare anche le testimonianze dell'ex sindaco di Taranto, Rossana Di Bello, e del presidente della Provincia, Gianni Florido), nei confronti degli imputati il giudice ha ritenuto prescritto il reato di “getto pericoloso di cose”, mentre per quanto concerne l'accusa di danneggiamento e di mancato rispetto dei valori di emissione di polveri totali sospese è stata decretata l'assoluzione, rispettivamente, perchè il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto. Altre due decisioni caratterizzanti un verdetto che ha riconosciuto il diritto delle parti civili (la UIL provinciale e “Legambiente”) al risarcimento di danni la cui entità verrà stabilita nel corso di un distinto procedimento.
Quasi a dimostrare che il processo alla “grande industria” ha scritto solo il suo primo capitolo.
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