da Valerio L'Abbate
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AGLI SHOPPER BIODEGRADABILI A PAGAMENTO
SAREBBERO PREFERIBILI LE BUSTE RIUTILIZZABILI
Per come è stata redatta, secondo il
deputato L’Abbate (M5S), la legge rischia di trasformarsi più in un inutile
balzello che in un aiuto all’ambiente con la riduzione della plastica. La
norma, peraltro, vieta l’utilizzo gratuito dei sacchetti riusabili
Con la legge 123 del 3 agosto 2017,
conosciuta come Decreto Mezzogiorno, viene introdotta una norma, all’art.
226-bis, sul divieto di commercializzazione delle borse di plastica. Dal
1° gennaio quindi i sacchetti di plastica leggere e ultraleggeri utilizzati per
frutta e verdura ma anche per carne, pesce, prodotti di gastronomia e
panetteria saranno sostituiti obbligatoriamente da shopper biodegradabili e
compostabili, a pagamento. Questi sacchetti dovranno avere un contenuto minimo
di materia prima rinnovabile non inferiore al 40% e la normativa appena
entrata in vigore prevede che non possano essere distribuite a titolo gratuito.
La legge non riguarda solamente la cosiddetta grande distribuzione organizzata
ma anche i piccoli negozi, ad esclusione della vendita al mercato.
“Nessuno vuol ora mettere in
discussione il sacrosanto principio di riduzione della quantità di plastica
utilizzata soprattutto nel settore agroalimentare e del resto ciò fa pienamente
parte della riduzione a monte del packaging promosso dalla Strategia Rifiuti
Zero, che sosteniamo apertamente e concretamente da sempre – dichiara il
deputato pugliese Giuseppe L’Abbate (M5S) – Quel che temiamo è che la
norma, così come redatta, non riesca a raggiungere effettivamente i teorici
propositi per cui sembra sia stata emanata e si traduca, inevitabilmente,
soltanto in un inutile balzello. Se proprio si vuole il bene del futuro del
Pianeta che senso ha vietare al cliente di usare contenitori riutilizzabili?
Chi garantisce poi che il sacchetto biodegradabile sarà effettivamente
compostato? Peraltro – prosegue L’Abbate (M5S) – sono presenti
differenze di prezzo tra i diversi punti vendita: si va dai 2 centesimi sino ai
5. E se per un nucleo famigliare di tre persone è semplice calcolare un consumo
di circa decina di buste alla settimana, in un anno il costo varierebbe tra i
10 e i 25 euro. La legge sembrerebbe quasi spingere i consumatori a preferire i
prodotti di quarta gamma (ovvero l’ortofrutta fresca, lavata, confezionata e
pronta al consumo, cruda o da cuocere) a quelli freschi sfusi. Quello che è
certo – continua il deputato pugliese 5 Stelle – è che la norma,
pur volendo puntare a ridurre l’utilizzo della plastica, va in contrasto con la
nota del Ministero dell’Ambiente (n. 14624 del 17 ottobre 2017) che vieta
l’utilizzo di sacchetti diversi da quelli messi a disposizione nei punti
vendita. Monitoreremo quello che accadrà nelle prossime settimane – conclude
L’Abbate (M5S) – e cercheremo di far comprendere al Ministero
dell’Ambiente che sarebbe più utile per l’ambiente e per le tasche dei
cittadini impiegare buste riutilizzabili. Anche perché il principio deve essere
‘meno inquini, meno paghi’ e non ‘più soldi hai, più puoi inquinare’: non è,
infatti, pagando che si può ottenere la concessione a inquinare maggiormente,
ma è il consumo non virtuoso e attento all’ambiente a dover essere tassato in misura
maggiore”.