Carissimo senatore,
tanti auguri di buon
compleanno. So che sono parecchi, sempre meno dei miei, ma hai piglio, vigore
intellettuale e aplomb che …. manco un cinquantenne. Ti auguro di continuare
per tanti altri decenni ancora, ad impegnarti su vari fronti, cittadini e
nazionali.
A tal proposito ti chiedo di
“muovere un po’ le acque” sulla questione Ilva e fatti sanitari su cui continuo
a proferire con poco costrutto.
Sull’onda del mio ultimo
articolo pubblicato sulla Gazzetta di ieri sulla VIIAS, so che alcuni cattolici
locali solleciteranno un deciso intervento del vescovo Santoro, collegando la
VIIAS al punto 183 di “Laudato, sì” di Francesco. Nessun riscontro, finora, da
parte di partiti, associazioni laiche, sindacati, parti sociali e tanto meno
dai commissari straordinari e dalle Istituzioni centrali e territoriali.
Nel caso in cui tale articolo
ti fosse sfuggito, te ne allego il file pdf e ne riporto di seguito
la versione in formato word, più facile da leggere. Il giornale ha prodotto una
titolazione certamente più vivace ed efficace.
Di nuovo tanti auguri.
Ciao.
Gino
VALUTAZIONE INTEGRATA DELL’IMPATTO
AMBIENTALE E SANITARIO
LA VUOLE ANCHE PAPA FRANCESCO
di Biagio De Marzo
Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto,
attraverso la stampa, i principali rappresentanti industriali di ciascuna delle
due cordate che si contendono l’aggiudicazione dell’Ilva. Ci sono apparsi tesi
a esaltare i punti di forza della propria offerta e, con qualche battuta, a
svilire quelli dei concorrenti. Hanno messo in mostra ipotetiche capacità di
nuove o diverse tecnologie per ridurre l'impatto ambientale a tempi lunghi,
forse nella speranza di captare la benevolenza dell’agguerrita opinione
pubblica locale. In realtà, i cittadini ed anche le istituzioni territoriali
sono comunque tenuti all’oscuro delle vere cose importanti. Come noto, restano
ancora riservate ai commissari straordinari di Ilva le proposte economiche,
ambientali e industriali delle due cordate. In merito le uniche cose che si
sanno sono quelle riportate negli articoli di stampa a valle delle conferenze
stampa delle due cordate. Io ho letto il più possibile e alcune cose proprio
non le ho capite.
Arcelor Mittal, che punta a demolire la proposta
Jindal sul preridotto che affascina i fautori della decarbonizzazione, afferma:
“Conosciamo bene la tecnologia del preridotto perché già nel 1982 l’abbiamo
applicata in uno stabilimento in Indonesia. Ad Amburgo c’è l’unico impianto europeo
che utilizza il preridotto ed è uno stabilimento di Arcelor Mittal. A Taranto
il preridotto sarebbe insostenibile per gli alti costi del rottame e del gas
(anche se a prezzo agevolato).” Si può sapere se l’impianto di Amburgo
funziona ancora e solo con preridotto, con quale produzione/anno, di che tipo,
con quale risultato economico? Si può sapere se lo stabilimento in Indonesia
continua ad adoperare in toto la tecnologia del preridotto applicata nel 1982,
con quali livelli produttivi e di qualità, con quali risultati economici?
Arcelor
Mittal afferma: “Come abbattere dunque l’inquinamento e allo stesso tempo
garantire competitività? La soluzione tecnologica proposta da Arcelor-Mittal è
nella immissione negli altiforni dei gas di produzione per ridurre il consumo
di coke e carbone. Una tecnologia che permetterebbe addirittura di ricavare
bioetanolo da reimpiegare per usi industriali e civili. Lo scenario Arcelor
Mittal consentirebbe di abbattere le emissioni di anidride carbonica in misura
superiore a quanto si riuscirebbe a ottenere con lo scenario proposto da
Jindal.” Mi chiedo se Arcelor Mittal sa che all’ilva di Taranto i gas di
processo (gas cok, gas afo e gas OG) sono già utilmente impiegati nelle centrali elettriche,
nei forni di riscaldo, ecc.. O pensano seriamente di abbattere l’inquinamento con
l’utilizzazione delle estemporanee, episodiche e irrilevanti quantità di gas
bruciate nelle “candele” di protezione?
Il piano di Arcelor Mittal/Marcegaglia ha come
obiettivo finale la produzione annua di 9,5 milioni di tonnellate: «In una
prima fase la produzione sarà di 6 milioni di tonnellate con 3 altiforni e
l’importazione di 4 milioni di tonnellate di bramme. Completata l’Aia sarà
avviata la seconda fase che prevede una produzione di 8 milioni di tonnellate
con 5 altiforni e l’importazione di 2 milioni di tonnellate di bramme». Quale AIA va completata? Non hanno chiesto
modifiche alla nota AIA, collegate ai loro piani ambientali ed industriali?
Ristrutturano Afo 5 e ne costruiscono un altro nuovo o rimettono in piedi
quello fuori uso a Taranto da decenni? Tra quanti anni?
Dalla
cordata Jindal/Arvedi e C. ci sono poche e generiche informazioni
impiantistiche e parecchie ed enfatiche dichiarazioni “esistenziali”. I
rappresentanti indiani della cordata “Insistono molto sulla responsabilità sociale d’impresa,
esibendo una loro fondazione indiana che opera nella sanità e nell’istruzione.”
Citano, con grande passione,
“le tecnologie self-made per ridurre l’impatto ambientale, al contempo
ottimizzando il consumo fino all’ultimo grammo di polvere della materia prima.
Anche il raggiungimento della massima efficienza è infatti un valore da vedere
nell’ottica del rispetto ambientale, così come il riciclo degli scarti di
lavorazione.” “I numeri presentati e le tecnologie sviluppate al loro interno
hanno permesso a JSW Steel una crescita comparabile solo a quella delle
acciaierie cinesi. Un risultato impossibile da raggiungere senza le dovute
competenze tecniche e manageriali”. La cordata di Jindal “punta anch’essa
all’obbiettivo dei dieci milioni di acciaio ma da produrre tutti nel sito di
Taranto sia attraverso un massiccio investimento nel rifacimento dell’altoforno
5 che puntando decisamente ad una tecnologia (gas, preridotto) mirata al forno
elettrico come si è ormai consolidata nella lunga esperienza innovativa di
Arvedi”. Che credito dare a tutto questo senza numeri, fatti e riscontri?
Al di là
delle mie
elucubrazioni di tipo industriale-impiantistico basate sul quasi nulla noto, quello che mi sconcerta è l’assoluto silenzio di tutti i protagonisti
(commissari straordinari, governo, istituzioni territoriali, gruppi concorrenti
all’acquisto, opinione pubblica, media, ecc.) sulla questione centrale della
vicenda Ilva: la questione sanitaria. Provo a riproporla riducendola
all’essenziale.
La vicenda Ilva è esplosa con “Ambiente
svenduto” sull’onda dei morti e degli ammalati attribuiti all’inquinamento
prodotto da Ilva secondo le perizie presentate nell’incidente probatorio di
gennaio – marzo 2012, a pochi mesi, non va mai dimenticato, dal rilascio
all’Ilva della indecente AIA del 4 agosto 2011. E’ seguito un tumultuoso
accavallarsi di decreti legge, sentenze della Corte Costituzionale, attività
giudiziarie ed amministrative, che non hanno mai subordinato il diritto alla
salute al diritto al lavoro o viceversa, e siamo all’attuale situazione di
stallo. Di qua c’è il Governo che sta tentando di tenere in vita lo stabilimento
di Taranto per il suo valore strategico nazionale ma soprattutto per salvare
quei famosi 20.000 posti di lavoro. Di là c’è un’agguerrita opinione pubblica
che spinge su Magistratura, Comunità europea, ecc. per far chiudere
definitivamente lo stabilimento e per far cessare morti e ammalati, con
buonissime probabilità di averla vinta per tutta una serie di ragioni, giuste o
sbagliate che siano, e suggerendo immaginifiche soluzioni per risolvere il
problemone dei famosi 20.000 posti di lavoro. I commissari straordinari di Ilva
e il loro entourage sono tutti proiettati sugli enormi problemi
economico-finanziari dell’azienda, ignorando completamente la questione
sanitaria.
Sono
straconvinto che la strategia globale di Ilva, seria ed efficace, deve rispondere
direttamente al cuore del problema che è la presa di coscienza del “rischio
sanitario” connesso con l’esercizio di uno stabilimento. E’ indispensabile
quindi che si sappia subito, prima di spendere enormi quantità di risorse e di
tempo, quale potrà essere il rischio sanitario residuo, nelle varie ipotesi di
assetto dello stabilimento, e decidere se può essere accettato. Io sono
convinto che la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS)
può fornire utili elementi in tal senso, fermo restando che le decisioni di
merito non potranno che essere della Politica, responsabile e legittimata.
Principi di management, metodologie, scelte tecnico-impiantistiche ed altro
verranno dopo. E’ per questo che è INDEROGABILE far fare la VIIAS nelle varie
ipotesi di assetto impiantistico dello stabilimento. La VIIAS “preventiva” è
utile anche per quell’“armistizio non dichiarato” che io auspico da tempo per
cercare di svelenire l’atmosfera tarantina. Qui gli umori e i rumori sono
sempre eccitati e legati a fatti sanitari. L’unico modo per avere la tregua con
la città è quello di presentare insieme ai piani ambientali e industriali
(strettamente connessi tra loro) i risultati della VIIAS “preventiva”.
Non
faccio il pavone se sottolineo che il mio primo articolo sulla VIIAS è
stato pubblicato, con il titolo “Sull’ambiente ora valutazioni più rigorose –
Taranto insegna”, sulla Gazzetta del Mezzogiorno edizione di Taranto del 15
maggio 2015, nove giorni prima della promulgazione dell’enciclica LAUDATO, SI’
il cui punto 183 tratta proprio della necessità di una valutazione preventiva
degli effetti nocivi di una qualsiasi attività industriale: pura e santa
coincidenza! E’ stato Pino Bongiovanni, vice presidente di Italia Nostra
sezione di Taranto oltre che cattolico a tutto tondo, a rilevare tale
coincidenza quando sostenne il mio appello ai commissari straordinari.
Per quanti non la conoscessero o non la ricordassero, ecco
qui la “Richiesta di VIIAS di Papa Francesco”, affinchè chi di dovere la
ottemperi per l’Ilva di Taranto. Dall’enciclica LAUDATO SI’ del 24 maggio 2015,
punto 183: “Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo
all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o
programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo
interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o
politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei
possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sull’economia
locale, sulla sicurezza. I risultati economici si potranno così prevedere in
modo più realistico, tenendo conto degli scenari possibili ed eventualmente
anticipando la necessità di un investimento maggiore per risolvere effetti
indesiderati che possano essere corretti. È sempre necessario acquisire
consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive,
soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato
gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per
i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono
l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di “interventi”
sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti
interessate. La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati
sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla
decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o
monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni
scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o
meno dalla legislazione.”
Biagio De Marzo
170405 GdM_BDM_Volete l'Ilva_Prima diteci il rischio sanitario