Referendum, una scelta politica
che segnerà una svolta.
Il prossimo 17 aprile andrò a
votare sì al referendum per bloccare lo sfruttamento dei giacimenti di
idrocarburi che si trovano al di sotto dei fondali del nostro mare. Lo farò con
lo spirito di chi sa che ogni consultazione popolare, in particolare quelle
referendaria, esprime l’essenza dell’organizzazione democratica di una nazione
e con la convinzione di dare corpo, con il mio voto, ad una precisa volontà
politica: il futuro del nostro paese non passa da un maggiore impiego di
carburanti ed energie che derivano da fonti fossili. Per me questo è il tema su
cui discutere, ed eventualmente, democraticamente, dividersi e dibattere. Ma,
in ogni caso, dire la propria.
Considero sbagliati gli inviti
all’astensione, sbagliati in un modo diverso e peggiore rispetto agli inviti a
votare no. Si possono infatti avere opinioni differenti e si può essere spinti
da visioni di sviluppo diverse, ma non si può, specie su temi di così elevata
importanza, rifiutarsi di dire la propria o, peggio, invitare i cittadini,
dall’alto di ruoli di responsabilità politica e amministrativa, a rinunciare a
un diritto-dovere. Fermare i cittadini davanti all’urna, e sostanzialmente
dirgli: “no, grazie, su questo tema il tuo parere è inutile” è un errore
grossolano, al quale spero si ponga rimedio nelle ultime settimane che ci
separano dal 17 aprile.
Allo stesso modo considero
fuorviante la “personalizzazione” del referendum che, specie in Puglia, stiamo
vivendo. Come se il tema del modello di sviluppo energetico che vogliamo
scegliere possa essere ridotto a una diatriba interna a un partito o ad una
semplice ma potente arma di contestazione al governo. Chi si occupa attivamente
di politica ricorda bene chi c’era al governo durante il referendum sul
divorzio e le diverse posizioni in campo all’interno dei partiti. Così come per
quello sull’aborto, o per quello sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Ma nella cultura popolare del paese non è rimasto il dibattito interno alla Dc
o al Pci, ma le grandi conquiste sociali a cui quelle consultazioni hanno
condotto. E nella Storia del paese quelle date restano scolpite come conquiste
collettive, non certo come picconate incassate da questo o quel governo. Così
è, e sarà, per il referendum del 17 aprile.
Il tema, infatti, è dirimente e
assume un valore politico (ma con la P maiuscola) nel momento in cui lo si
colloca all’interno del grande e impegnativo compito che la politica mondiale
si trova davanti in questi anni. Quello di affrontare il cambiamento climatico
e di dare il via alla riconversione dell’economia verso una prospettiva di
sostenibilità ambientale. Non si tratta di qualcosa che sta più in alto, su un
livello sul quale il singolo cittadino non può incidere. Tutt’altro: è un tema
a portata di mano per l’opinione di ciascuno e io credo che la partecipazione
al referendum sarà una manifestazione evidente del fatto che i cittadini
vogliono esprimersi. Perché è chiaro a tutti che dalle scelte politiche che
riguardano la gestione e l’utilizzo delle risorse naturali dipende la nostra
salute e quella dei nostri figli. Si tratta di argomenti e preoccupazioni
presenti nella vita quotidiana delle persone. E qui il caso del Salento e del
suo spaventoso livello di incidenza dei tumori dovrebbe mettere in guardia
chiunque cada nella tentazione di considerare “inutile” chiamare le persone al
voto su questi temi.
Torniamo al merito, dunque. E al
merito politico di un quesito referendario come quello del 17 aprile. Vogliamo
noi mandare un segnale di cambiamento limitando lo sfruttamento di risorse fossili?
O pensiamo che questo sfruttamento possa continuare in eterno, sebbene a
rischio della nostra stessa salute? Questa, per me è la domanda da porsi. La
politica, dal canto suo, smetta di litigare sull’aria fritta o di assegnare
fini di corta gittata a questa campagna referendaria e si ponga in un
atteggiamento di ascolto e di umiltà nei confronti dei cittadini, i quali già
con il referendum sull’acqua mostrarono un grande protagonismo e una grande
sensibilità ambientale dei quali faremmo bene a non dimenticarci.
Io penso che un cambiamento di
clima nel paese sia già avvenuto. E ben venga se il 17 aprile suonerà un’altra
sveglia per ricordare questo cambiamento a chiunque avrà la responsabilità di
governare le politiche energetiche del nostro paese. Io quel giorno non
mancherò di dare il mio contributo perché questo avvenga.
24 marzo 2016 Sergio Blasi