Mai stata al servizio delle lobby dell'acciaio
Esimio Ing. De Marzo,
Prendo atto della sua decisione di passare da un’analisi
politico-ambientalista seria e rispettosa delle attività di Peacelink al
“chiacchiericcio” poco elegante che ha voluto porgere ai lettori della
“Gazzetta del Mezzogiorno” e della sua pagina Facebook, coinvolgendo la mia
vita privata.
Se vogliamo scendere sul terreno del pettegolezzo, potrei ipotizzare le
motivazioni che l’hanno spinta a ritirarsi dai movimenti ambientalisti locali
dopo molte fruttuose iniziative. Ma non voglio seguirla in uno scontro
personale su questioni che nulla hanno a che fare con la gravità della lotta
che ci vede impegnati sulla questione ILVA.
Non amo scadere ad un
livello più basso, non e' nel mio stile ne' nello stile di Peacelink mettere in
moto macchine del fango, ne' fare processi alle intenzioni o alle parentele.
Invece la ringrazio, perché le sue banali illazioni sono per me l’occasione per
rendere conto di tante cose belle portate avanti nella mia vita, tutte
finalizzate a dare il mio contributo alla res publica.
Ho cominciato la mia
carriera come Funzionario delle Nazioni Unite e quindi, come tale, ho potuto
lavorare in Svizzera, in Kosovo, in Serbia, in Montenegro, in Albania, in
Sudan, in Belgio e anche in Lussemburgo. Li’ mi sono trovata proprio dalla
parte di quelli che hanno partecipato alle bonifiche di Belval e alla lotta per
la reintegrazione degli operai che erano stati licenziati dall’industria
siderurgica. Quindi dal lato opposto degli interessi siderurgici, ma, tant’é,
mi rendo conto che sia difficile, per lei, conoscere cosa accade fuori.
Oltre ai tre figli che lei
ha menzionato nella sua arringa, ho anche due lauree, due master in relazioni
internazionali e filosofia politica, fino ad un Dottorato di Ricerca conseguito
a Bruxelles sui diritti dei popoli all’autodeterminazione, per la precisione in
filosofia politica e diritto internazionale.
Capirà, quindi, che non ho
grandi difficoltà a conoscere, consultare, incontrare, scrivere e relazionarmi
con la Commissione Europea e con tutto il mondo internazionale del quale faccio
parte da più di venti anni e che quindi, da tarantina, ho voluto mettere al
servizio della mia città la conoscenza del diritto europeo e del mondo
internazionale.
Per quanto riguarda la mia
immagine di madre, ebbene si, ho tre bellissimi bambini che mi occupano
pienamente e quando posso liberarmi dagli impegni con loro, con l’attività di
ricerca universitaria, mi dedico anima e cuore a Taranto e lo faccio con grande
passione per Peacelink, con i miei colleghi, impegnati quanto me in una lotta
giusta e coerente.
Per quanto riguarda il
Lussemburgo, mi ci sono trovata benissimo e ho potuto apportare un piccolo
contributo anche al PD lussemburghese, contributo pero’ finito quando non sono
stati felici del mio articolo (pubblicato sul “Letzebuerg Land”, sì, scrivo su
diversi giornali e in diverse lingue) sui legami tra Bersani e i Riva. Quindi,
come ho fatto con Tsipras, per coerenza, li ho salutati e ho detto loro che la
mia strada non era quella del compromesso.
Posso raccontarle che la
strada che ho intrapreso mi ha portata a lavorare anche in Sudan, a Dubai, in
diverse parti del mondo, Asia compresa. Ma non ho mai stretto alleanze con i
gruppi siderurgici locali, anzi, di solito mi sono sempre trovata dalla parte
opposta.
Al netto del pettegolezzo
inutile a Taranto e al suo ambiente, il punto di scontro politico e culturale
tra noi e’ uno soltanto: lei si autodefinisce “industrialista”, io mi definisco
“una intellettuale aperta al confronto”. Non c’e’ bisogno di girarci attorno.
Preso atto delle reciproche
differenze di stile e di impostazione politica, non mi resta che porgerle
distinti saluti.
Antonia Battaglia
Portavoce di PeaceLink presso le Istituzioni Europee
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PeaceLink non firma armistizi con l'Ilva mentre i bambini
muoiono
Nessuna tregua possibile sulla salute dei tarantini
L'ingegnere Biagio De Marzo mi invita a firmare "un
armistizio" sull'Ilva. Lo fa in un lungo editoriale dal titolo
"Marescotti sull'Ilva ci sia un armistizio", apparso mercoledì scorso
con grande evidenza sulla Gazzetta del Mezzogiorno in forma di editoriale, di
ben sette colonne. Mi ha colto di sorpresa.
Biagio De Marzo conclude così: "E’ il momento, egregio
presidente, carissimo Alessandro, che partecipi anche tu all’”armistizio non
dichiarato”, per il bene dei tarantini e dei lavoratori dell’Ilva, che
interrompa le pressanti comunicazioni alle istituzioni europee che di fatto
“forniscono munizioni ai nemici dell’Italia”".
Nel suo articolo mi invita a "richiamare per consultazioni
l’ambasciatrice di Peacelink a Bruxelles”, ossia Antonia Battaglia, e a
smentire il "chiacchiericcio" che la immagina come una pedina delle
lobby siderurgiche europee ostili all'Ilva.
In questo armistizio che mi propone vi è una condizione che
ritengo eticamente inaccettabile ossia, specifica De Marzo,
"l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni
sanitari".
Scrive infatti: "Si impongono decisioni difficili che
presuppongono comunque una sorta di “armistizio non dichiarato” che
sottintenda anche l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni
sanitari. Tale “armistizio non dichiarato” consentirebbe di attivare strategie
operative immediate, reperire le risorse necessarie, far ripartire gli impianti
e redigere e realizzare, in tempi ragionevoli, il progetto di una “Nuova Ilva”
che operi nel mercato globale".
In buona sostanza mi si chiede di "chiudere un occhio"
sul fatto che possano morire e ammalarsi altre persone nel frattempo che l'Ilva
venga messa a norma e ritorni (pia illusione) ad essere competitiva sul mercato
globale.
La mia formazione umana e civile rifiuta questo armistizio. E'
già stato firmato da tanti uomini politici. Ma io non sono uno di quelli.
E vorrei raccontare un episodio che mi è accaduto quando ero a
Bruxelles in occasione di un incontro con la Commissione Europea.
Ero nella stanza dell'albergo e sul tablet stavo ripassando le
cose che avremmo dovuto dire alla Commissione Europea. Leggevo e rileggevo tutte
le prescrizioni autorizzative AIA non attuate dall'Ilva, quando sbucò dal
display un messaggio che mi commosse.
Una mamma di Taranto, che non conoscevo, mi aveva scritto
proprio in quel momento.
"L'interesse che avete e l'amore per Taranto - scriveva
questa mamma - non vi fa che onore e mi fa credere che qualcuno nutre speranze
per questa città martoriata da decenni". Questa mamma mi raccontava il
calvario della sua bambina nata non con uno ma con due tumori
contemporaneamente: "Di Taranto conosco i lunghi periodi trascorsi
quest'anno in ospedale con mia figlia, credo di conoscere solo la realtà più
crudele che Taranto può offrire alla vita. Mia figlia vi ringrazierà per la
battaglia che state facendo. Nata apparentemente sana, ha sviluppato un tumore
renale bilaterale a soli sei mesi. Gli oncologi hanno subito parlato di
trasmissione da parte di uno dei due genitori, la bambina è nata con questo
problema. E allora dal mio piccolo, come mamma, combatto anch'io questa
battaglia senza armi, con la mia voce, a volte urlando contro la sordità di chi
mi sta vicino e non si rende conto che quelli che pagano sono i bambini, le
anime innocenti. Spero che anche la vostra voce percorra il giusto verso e
giunga a chi sa ascoltare".
Sentivo che quel messaggio era una ulteriore chiamata
all'impegno per la mia coscienza. Un grido di dolore che giungeva via email. Il
giorno dopo c'era l'incontro con la Commissione Europea e prima di entrare in
riunione lessi quell'e-mail ad Antonia Battaglia, che ci accompagnava e ci
guidava a Bruxelles. Anche Antonia si commosse. Antonia è mamma di tre bambini.
E le mamme sanno fare patti di fedeltà con i loro bambini che noi uomini non
riusciamo neppure ad immaginare.
Quando leggo, sono le parole di Biagio De Marzo, che Antonia farebbe
parte di coloro che "di fatto favoriscono gli avversari dell'Italia e
della comunità tarantina" e che "ci sono potenti lobbisti tedeschi e
francesi che vogliono far chiudere l’Ilva di Taranto per eliminare un
concorrente" rimango indignato perché si fa specifico riferimento ad
Antonia. Insinuare che Antonia Battaglia possa essere un'abile lobbista, dotata
di agganci di altissimo livello e infiltrata dentro PeaceLink per favorire le
acciaierie tedesche e francesi è quanto di peggiore io potessi leggere. Antonia
è mamma di tre bambini e sacrifica il suo tempo per onorare l'impegno che
prendemmo con quella mamma che ci scrisse a Bruxelles. Stiamo lottando insieme
per un ideale ben preciso, perché "non un altro bambino, non un altro
abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’ILVA, abbia
ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a
causa delle emissioni tossiche del siderurgico", come ebbe a scrivere
Patrizia Todisco, magistrato di Taranto.
Antonia è una persona splendida che ha saputo mettere al
servizio dei bambini di Taranto la sua esperienza nell'ONU ed è diventata di
fatto la loro "ambasciatrice" a Bruxelles. Antonia ha una
approfondita conoscenza del diritto internazionale, ha frequentato master, è
esperta di istituzioni europee, parla fluentemente l'inglese e il francese, sa
tradurre all'istante ogni cosa. Concentra in sé competenze rarissime, a cui
aggiunge un'attività giornalistica su Micromega e una straordinaria forza di
volontà. Se invece di ringraziare una persona così si alza il chiacchiericcio,
vuol dire che a Taranto le persone mediocri e insensibili hanno preso il
sopravvento nei corridoi della politica.
Antonia è con PeaceLink per onorare l'impegno che ci siamo presi
verso tutti i bambini e i genitori che oggi percorrono il calvario negli
ospedali, verso i tanti bambini malati, verso quel 54% in più di bambini col
cancro che a Taranto rappresentano il frutto di un armistizio scellerato. Un
armistizio che abbiamo deciso di non firmare perché non è un armistizio ma è di
fatto la prosecuzione di una guerra. Una guerra agli innocenti.
Quell'armistizio "non scritto" lo hanno firmato in tanti, persino il
PCI, ma non verrà firmato da PeaceLink. Noi andremo avanti con Antonia Battaglia
e con tutte le persone di buona volontà fino a che l'"inutile strage"
non sarà terminata.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
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Su La Gazzetta del
Mezzogiorno edizione di Taranto del 13 gennaio 2016 è stata pubblicata la mia
lettera aperta al presidente di Peacelink sulle sue pressanti comunicazioni
alle istituzioni europee.
La trova riportata qui sotto chi l’avesse persa ed avesse voglia di leggerla e
commentarla.
Con viva cordialità
Biagio De Marzo
Egregio
presidente di Peacelink,
mi imbarazza non poco aprire così questa lettera aperta, dopo le migliaia di
“Carissimo Alessandro” e “Carissimo Gino” di un’altra vita, quando condividevamo
lucidamente il sogno di far diventare l’Ilva, quella fabbrica “monstre”,
rispettosa della vita e del benessere dei tarantini e degli stessi suoi
lavoratori. Per anni insieme abbiamo coordinato la battaglia sanitaria,
ecologica, civica e sociale sull’Ilva, fino a presentare al ministero
dell’ambiente, come Altamarea, un piano di risanamento che l’azienda avrebbe
potuto realizzare nei 5 anni di valenza dell’AIA. Dopo aspri dibattiti ci fu,
in prossimità dell’arrivo, il definitivo voltafaccia di Vendola, Stefàno e
Miccoli che credevamo di avere aggregato alla nostra causa. Reagimmo
all’improvvido rilascio dell’AIA all’Ilva e decidemmo la “svolta di Altamarea”:
puntare a conquistare direttamente quel potere decisionale che ci avrebbe
consentito di ottenere per Taranto e per la stessa Ilva quello che non eravamo
riusciti ad ottenere da semplici cittadini presenti, in qualità di “pubblico
interessato”, nel procedimento amministrativo dell’AIA.
Il fallimento della “presa del Comune di Taranto”.
Il tentativo della “presa del Comune di Taranto”, purtroppo, fallì soprattutto
per la vena un po’ anarchica e parecchio individualista che caratterizza il
mondo del volontariato e dell’associazionismo tarantino. Tu avevi abbracciato
il passionale ma sterile populismo dei “duri e puri” trascinando il generoso
Bonelli nell’isolazionismo che conservò al movimento il brand di “duri e puri”
ma lasciandolo del tutto marginale e di sola testimonianza. Sul piano personale
non ti perdonai per non avere speso una parola per difendermi dall’indecente
fuoco amico. Da allora ci siamo ignorati rimanendo, nell’intimo, reciprocamente
rispettosi. Tu hai continuato con coerenza e tenacia nella tua battaglia per la
chiusura totale di Ilva, secondo me molto ideologica oltre che utopistica nelle
contromisure per ovviare alle sue disastrose conseguenze. Io, da irriducibile
industrialista, ho continuato a ricercare una difficilissima soluzione
tecnico-impiantistica capace di salvaguardare la salute e il lavoro, tenendo in
vita, cioè, una grande azienda, alla stregua di un bene comune, capace di
ridiventare polo di sviluppo economico e di crescita culturale di un territorio
ridotto “ai piedi di Cristo”, in tutto e per tutto.
Per l’Ilva di Taranto è in corso una guerra europea.
Nel frattempo, mentre il lavoro della Magistratura prosegue con i propri tempi,
la situazione dell’Ilva si è ulteriormente aggravata tanto da far temere
l’esplosione dell’emergenza sociale oggettivamente conseguente alla chiusura
totale dello stabilimento. E a Genova ce ne sono già i prodromi. D’altra parte,
non si può ignorare che sull’Ilva di Taranto, ormai, è in atto una guerra
europea. Da una parte c’è l’Italia, ora rappresentata dal governo Renzi, che
vuole tenere in vita a tutti i costi il Siderurgico di Taranto perché
terrorizzato, giustamente, dall’idea di perdere alcune decine di migliaia di
posti di lavoro ed anche consapevole che, chiusa l’Ilva, Taranto diventerebbe
una Bagnoli moltiplicata per dieci, altro che Pittsburgh o Bilbao. Dall’altra
parte ci sono potenti lobbisti tedeschi e francesi che vogliono far chiudere
l’Ilva di Taranto per eliminare un concorrente e risolvere il problema
dell’eccesso di capacità produttiva europea di acciaio. In questo frangente,
faccio veramente fatica a fare buon viso di fronte a italiani e tarantini che,
certamente in buona fede e senza rendersene conto, di fatto favoriscono gli
avversari dell’Italia e della comunità tarantina sulla quale ricadrebbero
principalmente le conseguenze della chiusura dello stabilimento Ilva. E mi addolora
che tra questi italiani e tarantini ci sia anche tu. A tal proposito, absit
iniuria verbis, ti suggerisco di …. richiamare per consultazioni
“l’ambasciatrice di Peacelink a Bruxelles”: potrà essere anche l’occasione per
smentire il chiacchiericcio che si fa, complice Internet, sui suoi trascorsi
politici in seno al PD lussemburghese, sul suo temporaneo inserimento nella
Rappresentanza permanente del Lussemburgo presso il Consiglio d’Europa, sui
suoi legami parentali con importanti personaggi pubblici lussemburghesi ben
introdotti nelle istituzioni europee, con qualcuno che spara a zero contro la
siderurgia italiana e difende a spada tratta quella del proprio Paese. Per
carità, tutte cose legittime e rispettabili, che però stridono un po’ con l’immagine,
data alla stampa, di una semplice mamma di tre figli che per parlare a
Bruxelles del caso Ilva cerca i numeri telefonici su Internet. E poi, scusa,
che fine ha fatto l’ostracismo dei “duri e puri” nei confronti di chiunque
avesse avuto trascorsi politici e partitici?
Necessita un “armistizio non dichiarato” con “paletti” per l’acquirente.
Tornando a cose più importanti, dopo tre anni di tentennamenti ed indecisioni,
che hanno complicato ulteriormente la già grave situazione, si impongono
decisioni difficili che presuppongono comunque una sorta di “armistizio non
dichiarato” che sottintenda anche l’accettazione che per qualche tempo ci siano
ancora danni sanitari. Tale “armistizio non dichiarato” consentirebbe di
attivare strategie operative immediate, reperire le risorse necessarie, far
ripartire gli impianti e redigere e realizzare, in tempi ragionevoli, il
progetto di una “Nuova Ilva” che operi nel mercato globale. L’invito a
“manifestare interesse per l’Ilva”, reso pubblico il 5 gennaio 2016, traccia il
percorso per arrivare a vendere (o affittare) l’Ilva entro il 30 giugno 2016.
E’ un’enorme scommessa, di grandissimo interesse per i lavoratori Ilva e per la
comunità tarantina, soprattutto su di essi graverebbero le conseguenze di un
risultato fallimentare del procedimento ora avviato. E’ iniziata, così, per
l’Ilva e per Taranto “l’ultima partita, disperata, garibaldina e temeraria, ma
l’unica che possiamo sognare in alternativa alla tragedia che incombe”. La
comunità tarantina non può rimanere spettatrice passiva, è in gioco gran parte
del suo destino. In situazioni di emergenza contano la volontà, il coraggio, la
lucidità e la capacità di intuire i passi giusti da fare immediatamente,
altrimenti “l’intervento è perfettamente riuscito, purtroppo il paziente è
morto”. Noi tarantini dobbiamo riuscire a far mettere “paletti” per chi
acquista, per evitare successive chiusure ineluttabili ed impedire trucchi di
qualsiasi natura; “paletti” che diverranno prerequisiti per il progetto della
“Nuova Ilva”, quello che farà ridiventare il Siderurgico polo di sviluppo
economico e di crescita culturale dell’intero territorio, come un bene comune:
gli acciai e i tubi dell’Italsider erano vanto ed emblema di Taranto nel mondo,
come “la millenaria civiltà magno-greca”, come “I due mari”, come “Il ponte
girevole”.
La scommessa non è impossibile. A differenza del 2007, quando, come “pubblico
interessato”, entrammo nel procedimento per il rilascio dell’AIA all’Ilva di
Taranto, oggi, nello specifico quadro normativo italiano, c’è la Valutazione
Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario - VIIAS. Utilizzarla adeguatamente
deve diventare il primo, determinante “paletto” per l’acquirente. Fatta a
preventivo, sull’assetto impiantistico/produttivo della “Nuova Ilva”, la VIIAS
fornirà elementi, segnatamente i limiti del rischio sanitario residuo, che
consentiranno di rispondere positivamente alle attese della Magistratura che ha
sequestrato gli impianti che provocano gravi danni sanitari alle persone ed ha
imposto di eliminare l’inquinamento delittuoso.
Attualmente i provvedimenti tecnici e gestionali stabiliti sono quelli dell’AIA
del 16 ottobre 2012, migliorata rispetto a quella originale ma comunque piena
di lacune ed omissioni e neanche completamente integrata con il “piano ambientale”
approvato dal precedente Governo ancorchè privo del corrispondente piano
industriale. Se tali provvedimenti fossero realizzati e risultassero
insufficienti o inefficaci rispetto alle disposizioni della Magistratura,
occorrerebbe fare altro. Ritengo che non si possa continuare a considerare
quell’AIA intoccabile nei contenuti e nei tempi, col rischio di sprecare
risorse senza risolvere il problema del danno sanitario residuo. Con la VIIAS,
lo strumento più importante da utilizzare per evitare che impianti industriali
provochino danni ambientali e sanitari, le Istituzioni sono oggi più attrezzate
per evitare quel rischio. Sottoporre a VIIAS preventivamente l’ipotesi di
assetto industriale della “Nuova Ilva” deve essere, lo ripeto, il primo,
determinante “paletto” per l’acquirente.
Chiudere positivamente la vicenda Ilva.
La comunità tarantina, con spirito unitario, dovrebbe spingere fortemente per
risolvere la vicenda Ilva e dovrebbe sostenere il Governo, riconoscendo che
esso è nella necessità di neutralizzare l’emergenza sociale, a Taranto sempre
più vicina, e di estinguere i focolai di patologie mortali e non, indicati
nelle perizie dell’incidente probatorio. Alla Magistratura compete far
rispettare la legge, al di là anche di eventuali conseguenze sociali, e non può
accettare compromessi al ribasso. Male hanno fatto le Istituzioni che non hanno
colto per tempo i segnali (e i documenti scritti) pervenuti dalla Magistratura
e dal “pubblico interessato”. Adesso sta alle Istituzioni, alla Politica, alle
Forze Sociali e alle Comunità Locali, dare corpo a una soluzione equa,
realistica, pulita e trasparente, facendo in modo che la Magistratura non sia
costretta a mettersi di traverso.
E’ il momento, egregio presidente, carissimo Alessandro, che partecipi anche tu
all’ ”armistizio non dichiarato”, per il bene dei tarantini e dei lavoratori
dell’Ilva, che interrompa le pressanti comunicazioni alle istituzioni europee
che di fatto “forniscono munizioni ai nemici dell’Italia”. A tal proposito,
sorrido ricordando che proprio qualche giorno fa, ho apprezzato mio figlio che
con paziente delicatezza ha spiegato alla mia carissima nipotina milanese che
“tra compagne non è bello fare la spia”.
Biagio
De Marzo