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PeaceLink sul nono "decreto ILVA"
sabato 5 dicembre 2015

da Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink





Il nuovo "decreto ILVA" del governo Renzi segna la sconfitta definitiva della "strategia di risanamento" adottata dai governi italiani dal 2012 a oggi.

Dopo il sequestro degli impianti da parte della magistratura nel 2012, i governi hanno legiferato a ripetizione con decreti di emergenza in quanto la fabbrica sprofondava via via in una crisi sempre più grave.

 

Questo nono decreto non si può più definire neppure "decreto Salva-ILVA". Infatti il governo rinuncia a salvarla e la vende. Vende ILVA dopo non esser riuscito a salvarla dal disastro. Renzi aveva promesso un "cambio di passo" e un risanamento che non è arrivato. L'ultimo decreto del dicembre 2014 era arrivato dopo che il governo non era riuscito a vendere l'ILVA ad Arcelor Mittal. Renzi - oltre a promettere due miliardi per Taranto mai arrivati - si era impegnato a risanare ILVA prima di rimetterla sul mercato, in quanto non appetibile. Oggi ILVA ha i conti ulteriormente peggiorati a cause di perdite mensili che oscillano intorno alla spaventosa cifra di 50 milioni di euro al mese. Chi vorrà comprare una fabbrica che il tribunale elvetico ha sprezzantemente definito "una società fallita".

Chi ha allora interesse a comprare una "società fallita"?


Renzi vende l'ILVA dopo il fallimento di una politica che non è riuscita a salvarla, in quanto sprofonda in un deficit di tre miliardi di euro.

 

Si vocifera di un interesse di Arcelor Mittal per ILVA, come se fosse una multinazionale sana in cerca di vecchie fabbriche da rimettere in sesto.

In realtà Arcelor Mittal ha già acquistato acciaierie per chiuderle. E attualmente Arcelor Mittal vive una profonda crisi che non non le consente di dare speranza ad altre fabbriche dato che sta vacillando essa stessa sotto il peso di una crisi siderurgica di portata mondiale.

Solo nel terzo trimestre Arcelor Mittal ha perso 711 milioni di dollari, e questo è il terzo trimestre in perdita per il colosso siderurgico. La società ha deciso di sospendere il pagamento dei dividendi ed ha visto al ribasso le stime per il 2015.

Di cosa stiamo parlando dunque?

Di una vendita che non ci sarà mai o che se avverrà sarà l'anticamera della catastrofe per i lavoratori di Taranto, Genova e dell'indotto.

Questo perché il governo non ha messo a punto alcun piano B, come richiesto da PeaceLink.

Questo perché il governo è stato stoppato dalla Commissione Europea, che ha contestato gli aiuti di Stato del governo italiano, dopo l'intervento di PeaceLink a Bruxelles.

 

 

 

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
http://www.peacelink.it

 




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