Il
decreto che dispone il dissequestro dell’AFO2 è l’ennesima pezza che il governo
prova a mettere a una situazione ormai in avanzato stato di decomposizione.
Ci
si deve domandare cosa sia cambiato in Ilva a distanza di più di due anni dal
commissariamento dell’azienda. La risposta non può che essere impietosa: poco,
o nulla. Siamo stati facili profeti nel dire che senza una trasformazione
radicale non solo sul piano tecnologico, ma anche nell’organizzazione del
lavoro lo stabilimento avrebbe continuato a languire in uno stato
semi-comatoso. Oggi abbiamo la dimostrazione definitiva del fatto che, assieme
alla mancata adozione delle prescrizioni AIA (comunque insufficienti a
garantire un adeguato stato di sicurezza per lavoratori e cittadini di
Taranto), nulla è stato fatto per modificare le dinamiche che nel tempo hanno
prodotto il disastro ambientale e sanitario. Le prime evidenze emerse
dall’inchiesta sulla morte dell’operaio Morricella raccontano di
un’organizzazione del lavoro improntata ancora al perseguimento della massima
produttività, in spregio ai più elementari criteri di sicurezza. Cosa ha fatto
fino ad oggi la gestione commissariale per sottrarre potere ai quadri aziendali
già responsabili delle pratiche lesive della sicurezza dei lavoratori e del
territorio? Cosa ha fatto il governo per promuovere una nuova impostazione nel
modo di gestire l’azienda? Nulla. Le dinamiche di potere create nel corso dell’era
Riva, basate sul dominio quasi feudale di singole personalità, è ancora
intatto.
In
questo momento drammatico per le sorti di migliaia di lavoratori e di un’intera
comunità, affermiamo con chiarezza che, continuando così, la sorte dello
stabilimento è segnata. Se non ci sarà al più presto un cambio di rotta
radicale, Taranto e l’intero Paese vivranno a breve uno dei momenti più bui
della loro storia recente.
Per
evitare tutto ciò, è indispensabile una nuova agenda:
- Nazionalizzazione
dell’azienda. Va risolta la questione dell’assetto proprietario di Ilva,
attraverso l’intervento dello Stato (o di una sua controllata) nel
capitale dell’azienda, per garantire tutte le risorse finanziarie e
gestionali necessarie al risanamento.
- Piano
industriale di riconversione della siderurgia italiana. Va utilizzato lo
strumento della Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario
(VIIAS) per esaminare entro quali limiti produttivi lo stabilimento di
Taranto può operare senza arrecare danni significativi alla salute dei
lavoratori e degli abitanti. La capacità produttiva “eccedente” (ritenuta
“strategica” per la tenuta del nostro sistema produttivo) va ricollocata
negli altri stabilimenti italiani esistenti opportunamente riconvertiti, o
in nuove unità da realizzare secondo le più avanzate conoscenze tecniche
(es. processo Corex/Finex).
- Riduzione
dell’orario di lavoro, a parità di salario. Gli eventuali esuberi
strutturali vanno gestiti secondo il principio “lavorare meno, lavorare
tutti”, conservando i livelli occupazionali e salariali, come già avviene
in altri paesi europei (es. Svezia).
- Partecipazione
dei lavoratori. L’organizzazione del lavoro deve essere drasticamente
rivista: l’unico modo per eliminare le dinamiche prevalse fino a questo
momento è consentire ai lavoratori di partecipare al controllo delle
attività produttive, dai singoli reparti al vertice aziendale. E’ un
modello già ampiamente sperimentato in altre grandi realtà industriali
europee con esiti positivi in termini di garanzie sulla sicurezza.
- Un
“Piano per Taranto”. Il territorio jonico, prostrato dalla crisi, ha
urgente bisogno di un’alternativa economica che deve basarsi su progetti
solidi e duraturi, in grado di sollecitare le forze sociali ed economiche
locali. L’opera di bonifica, ancora agli albori, può rappresentare
un’opportunità, a patto che si promuovano iniziative legate al territorio.
L’ambito della cultura deve in ogni caso costituire un’asse strategico
fondamentale. Va dato seguito al decreto del 5 gennaio, con adeguati
finanziamenti e la creazione di una “cabina di regia” che comprenda le
forze vive del territorio, per elaborare una programmazione di ampio
respiro, che consenta ai tanti gruppi che oggi operano su base
prevalentemente volontaristica di valorizzare i propri sforzi.
Ci
rendiamo conto che l’attuale governo non può rappresentare il destinatario di
questa agenda. Renzi e i suoi continuano a lavorare per svendere la base
produttiva del paese ai principali concorrenti esteri, mentre sembrano del
tutto indifferenti alla sorte di intere parti di territorio nazionale ormai
quasi del tutto alla deriva.
Ci
rivolgiamo pertanto a chi, singoli o gruppi organizzati, non si rassegna a
credere che il destino di Taranto sia ormai segnato. In questo momento quanto
mai difficile vanno messe da parte tutte le pregiudiziali che hanno diviso fino
ad oggi i sostenitori dell’alternativa, e va avviata una stagione di
costruzione condivisa.
Rifondazione
Comunista è disposta a portare il suo contributo in questo senso in tutte le
sedi.
Il
futuro di Taranto dipende da noi.
Partito della Rifondazione Comunista - Federazione di Taranto
Comitato
Politico Regionale PRC Puglia