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Osservazioni e Proposte alla definizione del DPP per la redazione del PUG
venerdì 20 febbraio 2015

da dott. Fabio Millarte
WWF TARANTO ONLUS





Oggetto: Osservazioni e Proposte, da parte di Cittadini Militanti e Associazioni Socioculturali, alla definizione del DPP per la redazione del PUG

 

Dott.  Ippazio Stefano, sindaco di Taranto

E p.c.

 

Angela Barbanente Assessore Qualità del Territorio Regione Puglia

Martino Tamburrano – Presidente Provincia di Taranto

Dino Borri - Coordinatore / Progettista del DPP / P.U.G. di Taranto

Annarita Lemma - Consigliere Regionale Puglia

Fabrizio Nardoni – Assessore regionale alle risorse agroalimentari

Onofrio Introna Presidente Consiglio Regione Puglia

Pietro Bitetti- Presidente Consiglio Comunale

Giuseppe Mele - Direttore Generale Comune di Taranto

Segretario Generale dott.ssa Anna Maria Franchitto

Dott. Vincenzo Baio -    Assessore all’Ambiente del Comune di Taranto

Vincenzo Di Gregorio - Assessore Patrimonio Comune di Taranto

Arch.Cosima Lorusso–Assessore Urbanistica e Città Vecchia del Comune

Silvio Rufolo – Dirigente Urbanistica – Edilità Comune di Taranto  

Arch. Cosimo Netti - Dirigente Direzione Patrimonio del Comune di Taranto

Dott. Alessandro De Roma - Dirigente Ambiente Salute e Qualità della Vita

Arch. Mario Francesco Romandini – Direzione Urbanistica Comune di Taranto (*)

 Prof. Felice Uricchio Rettore Uniba 

Prof. Angelo Tursi Pro Rettore Uniba

Dott. Nicola Cardellicchio Presidente CNR Taranto

Dott. Vito Crisanti – Progettista del Piano Programma del Verde

Amat  Spa    

Ferrovie SudEst   Spa 

Sindaci e Consiglieri comunali dei Comuni del Tarantino

Italia Nostra

LipuTa.

Legambiente

Fai Ta.

Endas Puglia

Garden Club

WWF Puglia

Officine Taranto

Teichos

Club Il RiformistaTa.

Assocasa Taranto
CGIL-CISL-UIL-Ta.

Prof. Gregorio Andria, Presidente del Centro Interdipartimentale "Magna Grecia" e Preside della II Facoltà di Ingegneria di Taranto del Politecnico di Bari;

Presidente di Confindustria Taranto, Dott. Vincenzo Cesareo;

Presidente della Camera di Commercio di Taranto, Cav. Luigi Sportelli.

Salvatore Marzo Liceo Linguistico “Aristosseno”

Autorità Portuale Ta.

Organi di Stampa Regionali e Cittadini

 

Signor Sindaco,

se è  vero che il buon giorno si riconosce dal mattino, allora ci potrebbe essere qualche speranza che le cose, le nostre offuscate cose, tornino ad essere chiare come la luce del giorno e si potrà, con l’impegno di tutti, percorrere una strada sconnessa e tutta in salita per  giungere alla redazione del nuovo Piano Regolatore.

Un nuovo Piano Regolatore adeguato alle necessità sociali e alle potenzialità di sviluppo economico e culturale del territorio, elaborato con lungimiranza così come avvenne con quello redatto, subito dopo l’Unità Nazionale, dall’architetto Davide Conversano e approvato dal Consiglio Comunale nel 1864.

Un piano che fu degno, per i tempi, di una classe dirigente cittadina attenta e capace di una visione prospettica che, partendo dal trend demografico e dalle attività economiche presenti nel territorio, seppe pensare, con misura e con realismo, al proprio sviluppo urbanistico.

Ciò avvenne nel rispetto delle risorse naturali, sapendo cogliere il valore paesaggistico e produttivo dei Due Mari, comprese le prime balze che vi si affacciano, sapendo cogliere le opportunità offerte dall’Unità del Paese, a livello nazionale e geopolitico, prevedendo di:

 

1.    Connettersi con la rete delle prevedibili strade ferrate, attraverso una moderna stazione ferroviaria, per usufruire del nuovo rivoluzionario sistema di trasporto delle persone e delle merci;

2.    Potenziare il porto mercantile, in previsione dell’apertura del Canale di Suez (1869), un evento con conseguenze geopolitiche che avrebbero messo il Mediterraneo nuovamente al centro del commercio marittimo intercontinentale.

In quest’ultima scelta c’è tutta l’esperienza della presenza pluriennale a Taranto dell’esercito francese per la costruzione di un grande, strategico e sicuro porto commerciale. 

Napoleone, uomo con visione globale, che conquistò l’Egitto per aprire un nuovo percorso e insidiare i ricchi commerci inglesi con l’India, pensava che l’Inghilterra tenesse testa alla Francia grazie ai proventi economici dei grandi traffici intercontinentali, di allora e di sempre: quelli del Mediterraneo con l’Estremo Oriente, l’Australia e le Americhe.

La Francia, conquistato l’Egitto, avrebbe accelerato la costruzione del canale di Suez e controllato così la rotta più breve tra l’Asia e l’Europa: verso quella sudorientale, tramite i porti del Pireo e di Istanbul e, nel mezzo, il porto hub di Taranto da dove poter incanalare il traffico commerciale verso l’Europa sud occidentale, verso i porti di Genova, Marsiglia e Barcellona, proseguendo, attraverso lo Stretto di Gibilterra e il Canale della Manica, per toccare i porti del Nord Europa nel Mar Baltico.

Il disegno napoleonico fallì, ma la sua visione geopolitica rimane valida ancora oggi.

Infatti l’economia globale e la prosperità europea dipendono in maniera crescente dai collegamenti dell’Asia con l’Europa, che avvengono attraverso il canale di Suez e il Mare Mediterraneo, assumendo così un nuovo ruolo, che si aggiunge a quello da sempre avuto: essere cerniera tra Europa e Africa, condizione questa che oggi si ripropone con maggior forza ed evidenza.

 I due continenti devono, con urgenza, ritrovare le ragioni per un’intesa politica ed economica necessaria per garantire ad entrambe, come al tempo dell’Impero Romano, stabilità, sicurezza, condivisione e prospettive pur nella diversità temporale di un orizzonte comune di prosperità.

 In questo momento storico le aree più in subbuglio sono:

-        l’Africa settentrionale con la Libia mentre, in Medio Oriente, la Siria e l’Iraq sono in piena guerra civile, fomentata e foraggiata principalmente da Arabia Saudita ed Iran;

-       le tensioni tra Turchia, Libano, Palestina, Giordania, Cipro e Israele per lo sfruttamento del grande bacino di gas naturale, collocato in un braccio di mare -denominato bacino del Levante o Levantino-  che interessa più paesi, con la complicazione che sono, in parte, uno contro l’altro armato;

-       con le prospezioni già effettuate sono stati individuati, perimetrati e stimati –nel bacino del Levante- due giacimenti per l’estrazione -il Tamar e il Leviatano (riprendendo il nome del mostro marino biblico)- le cui capacità produttive garantirebbero migliaia di miliardi di metri cubi di gas.

-       l’Europa, suo malgrado, è incastrata nella partita in corso per il controllo del mercato energetico -                                                                                                                                          petrolio e gas - tra la Russia e gli Stati Uniti, che vede l’Ucraina nel ruolo di capro espiatorio;

-       la sorda rivalità tra Cina da una parte (impegnata a realizzare la Collana delle Perle, una rete di grandi porti, con l’attracco per navi da 20000 containers, e piattaforme logistiche per il controllo delle rotte marittime verso l’India, la penisola Arabica, l’Africa, il Mar Rosso e il Mare Mediterraneo dove ha già inserito la grossa perla  del porto del Pireo) e India e Stati Uniti dall’altra. Tale tensione è causata dalla costruzione in Nicaragua di un canale navigabile interoceanico -in concorrenza con quello di Panama- scavato tra il  Pacifico e l’ Atlantico con ingresso a Brito sull’Oceano Pacifico e uscita su 4 porti nel Mar dei Caraibi: Cayman Rock, Isla deVenado, Porto Gordo, San Juan de Nicaragua.

A tutto ciò si aggiunge la trasformazione dei conflitti da territoriali-nazionali in religioso- confessionali, con assalti alle sinagoghe, alle chiese, alle moschee.

 Un quadro di riferimento globale, tanto inedito quanto preoccupante, con cui occorre misurarsi, anche quando affrontiamo le nostre cose, le cose della nostra Città,  di oggi e di domani.

Aldilà di tutto questo, quello che ci fa ben sperare è, però, il giudizio espresso a tutto tondo dall’ingegnere Dino Borri in una sua recente intervista rilasciata alla Gazzetta del Mezzogiorno, al giornalista Fabio Venere partendo proprio dalla: “Taranto non è una città stremata dalla crisi.”

Si tratta di un’affermazione di grande importanza perché proveniente da persona informata dei fatti e dei misfatti  dei volti e dei risvolti della nostra questione ambientale, consapevole che  nel processo di   VAS (Valutazione Ambientale Strategica)  vi sono aree in cui oltre la VIA occorre presentare il RIR (Rischio Incidente Rilevante).

L’ing. Dino Borri è stato investito della massima responsabilità consentita alla Municipalità, nella sua qualità di autorità procedente: ossia quello di essere Progettista e Coordinatore –avvalendosi della collaborazione della Direzione Urbanistica Comunale- della redazione del DPP per il nuovo Piano  Regolatore (PUG).

Ciò induce a sperare nel diradamento dei cumulonembi che incombono, da anni, sulla città e nell’ inizio di un nuovo percorso virtuoso per farci uscire fuori dalla trincea in cui da tempo siamo impaludati.

Il giudizio  ottimistico del professionista è pieno di particolare valenza  in quanto è stata proferito dopo un primo giro di consultazioni con le forze vive della Comunità, un sopralluogo scrupoloso in tutto il territorio interessato –valutandone  e ponderandone tutte le potenzialità- ivi inclusa la constatata voglia di fare delle nuove generazioni.

L’ing. Borri, infatti, ritiene che sia ancora possibile redigere un Piano Regolatore all’altezza dei tempi, in spirito glocal commisurato ai bisogni della comunità e rispondente alla necessità di superare la monosettorialità siderurgica, orientandosi verso prospettive economiche alternative e a misura d’uomo.

L’umanità sino alle soglie dell’Ottocento ha operato e vissuto secondo principi olistici: l’uomo, pur considerandosi al centro del mondo, aveva tuttavia consapevolezza della limitatezza delle risorse naturali. Egli non aveva ancora acquisito le tecnologie per l’uso delle fonti energetiche fossili e perciò era più in sintonia con le ragioni della natura.

A partire dalla prima rivoluzione industriale, con l’invenzione della macchina a vapore e dell’energia elettrica, l’uomo si è invece considerato padrone assoluto, prefigurando la propria esistenza al di sopra e al di fuori di un rapporto rispettoso e fecondo con gli ecosistemi.

 Oggi ci accorgiamo che il modello industriale lineare non è più in grado di fare i conti con la scarsezza e la difficile reperibilità di alcuni beni - acqua, aria e paesaggio - in quantità e qualità adeguate al fabbisogno.

 Beni che, purtroppo, non vi sono nella medesima quantità e qualità per tutti, ma vengono percepiti come beni comuni e un nuovo diritto civile da rivendicare per le attuali generazioni e garantire a quelle future

Dalla metà degli anni ‘70 l’umanità abbandonava il paradigma meccanicistico-riduzionistico che aveva sotteso lo sviluppo industriale lineare per oltre due secoli, e si andava prefigurando la necessità di passare al modello circolare ecologico-olistico.

 

Alla fine dell’Ottocento, con la costruzione dell’Arsenale Militare nella nostra città, dai mitilicoltori e ostricoltori direttamente danneggiati, furono subito riscontrati gravi danni alla maricoltura.

Preoccupazioni condivise dalla parte più illuminata della classe dirigente che cercò di porvi rimedio; qualche parziale risultato si ebbe allorché l’Amministrazione Comunale, retta dal sindaco Francesco Troilo, istituì l’Istituto di Biologia Marina, diretto da Attilio Cerruti.

 Peccato che al momento dell’intervento delle Partecipazioni Statali, non ci furono persone della tempra e della sensibilità di quella classe dirigente. La scabrosa situazione si ripetette ahimè, in proporzione più grande, con gli interventi coordinati delle Partecipazioni Statali. Anche in questa circostanza, ben presto, la parte più attenta e sensibile della popolazione prese consapevolezza che un grande stabilimento industriale a ciclo integrale, quale quello dell’Italsider, per come veniva collocato e per le caratteristiche del  suo ciclo produttivo, diventava una struttura incompatibile da subire e da tollerare.

 Si cominciò con un gruppetto di pazzi malinconici ad alzare la testa prima, e la voce poi, per denunciare che lo stabilimento siderurgico era nato in quel luogo e in quel modo seguendo solo la logica del contenimento dei costi, della massimizzazione degli utili d’impresa e del minor tempo di realizzazione, mentre poca attenzione fu posta nel migliorare la qualità della vita delle persone, sia all’interno che all’esterno della fabbrica.

Alla denuncia degli intellettuali seguirono le manifestazioni di protesta popolare e momenti di pubblico dibattito con contributi di grande respiro come la partecipazione del geografo Pierre George alla conferenza dibattito sul modello industriale imposto, con riferimenti alla nostra realtà, organizzata dall’Università Popolare Jonica e dall’Alliance Francaise negli anni ’70 a Taranto.

Oppure,  come non ricordare l’intervento  del Prof. Giorgio Nebbia, al convegno di studi sul tema “Inquinamento ambientale e salute pubblica”, svoltosi il 27 e 28 aprile 1971 nel salone di rappresentanza dell’Amministrazione provinciale, con una “lectio magistralis” intitolata Progresso merceologico e Progresso Umano, che così cominciava: «Da alcuni mesi a questa parte la denuncia dell’uso irrazionale del territorio e delle risorse naturali, la scoperta dei guasti dell’ambiente e congestione urbana, hanno dato vita ad un movimento di opinione pubblica, ad una collera collettiva, come se la grande massa degli italiani si svegliasse dentro un incubo».

L’Amministrazione Provinciale provvide alla pubblicazione della relazione e del dibattito.

Un appello corale,  indice di presa di coscienza collettiva, si ebbe allorchè, ad opera di un gruppo di lavoro interdisciplinare, si procedette alla stesura del Manifesto sull’ambiente del 1985, - inserito nella pubblicazione “Taranto topografia e toponomastica”. Il lavoro, che fu editato in 20.000 copie, si ispirava ai principi della Carta Europea dei poteri locali per la salvaguardia ambientale e venne corroborato  dalla nostra sofferta esperienza, che iniziava con l’affermazione: Abbiamo tutti il diritto-dovere all’Ambiente Migliore […]. Il suolo, l’acqua, l’aria sono beni preziosi che appartengono a tutti. Contaminarli significa degradare non solo la natura, ma la nostra stessa vita. Significa: dilapidare un patrimonio che non si potrà ricostruire- mettere in pericolo la sopravvivenza di intere specie animali, minacciare direttamente la salute degli uomini.”

Oggi, le green city europee hanno già metabolizzato il concetto secondo il quale il verde deve costituire il tessuto connettivo della città e che questo, tra le reti infrastrutturali, debba avere la stessa importanza di quella energetica, idrica, elettrica, telefonica, della mobilità e della banda larga per la connessione veloce con la rete digitale del Web 3.0.

Ora tocca a noi dimostrare di saper interpretare la circolare della Regione Puglia n.1/2014 “Indirizzi e note esplicative sul procedimento di formazione dei Piani Urbanistici generali(PUG), facendola diventare l’alfa e l’omega per la lettura, ricucitura e riqualificazione del nostro straziato territorio.

 

 

Tale circolare prevede l’integrazione del processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) nel procedimento di pianificazione urbanistica. Il principale elaborato tecnico in materia di VAS è il Rapporto Ambientale, il quale “costituisce parte integrante del piano o del programma e ne accompagna l’intero processo di elaborazione ed approvazione”. Il Rapporto Ambientale deve essere elaborato sin dai momenti preliminari dell’attività di formazione del piano e deve essere coerente con i contenuti del piano stesso in ogni fase della sua elaborazione. Sembra utile ricordare qui che gli stadi di avanzamento del Rapporto Ambientale sono quattro:

1)         Rapporto preliminare di Orientamento, nel quale vengono definiti il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel Rapporto Ambientale, e programmate le modalità di svolgimento del processo di VAS (L.R. 44/2012, art.9);

2)         Rapporto Ambientale, corredato della proposta di programma per il monitoraggio e di una Sintesi Non Tecnica, il cui compito è quello di individuare, descrivere e valutare gli impatti significativi che l’attuazione del PUG potrebbe avere sull’ambiente e sul patrimonio culturale, offrendo altresì una valutazione comparativa delle ragionevoli alternative di piano considerate. Tale Rapporto Ambientale costituisce parte integrante del PUG da adottare in Consiglio Comunale;

3)         Documentazione che accompagna l’atto di approvazione definitiva del PUG da parte del Consiglio Comunale, a valle del procedimento di verifica di compatibilità regionale e provinciale, che deve comprendere la versione definitiva del Rapporto Ambientale, del Parere Motivato espresso dall’Autorità competente per la VAS, il Programma di Monitoraggio Ambientale del PUG e la Dichiarazione di Sintesi;

4)         I Rapporti di monitoraggio degli impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale derivanti dall’attuazione del PUG, contenenti le indicazioni delle misure correttive necessarie.    

Grazie al supporto del processo di VAS, i piani dovrebbero essere sostanzialmente orientati a “favorire le condizioni per uno sviluppo sostenibile, nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di una equa distribuzione degli effetti connessi all’attività economica [assicurando] che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non comprometta la qualità della vita e le opportunità delle generazioni future[1]”.

Perciò per avviare un processo di rigenerazione urbana integrale e diffuso, è indispensabile iniziare dalla riqualificazione del cospicuo patrimonio edilizio esistente concentrato nella Città Vecchia, Borgo, Arsenale Militare, (individuato come “ambito prioritario di rigenerazione urbana” dal Comune nel DPRU). 

Per quello che concerne il Rione Tamburi e i comprensori di edilizia economica e popolare costruiti ai sensi della legge 167 nei rioni Salinella, Talsano e Paolo VI occorrerebbe procedere tenendo conto della necessità di operare un  rammendo con le sfilacciate aree contigue destinate sulla carta a standars urbanistici per i comprensori di edilizia economica e popolare.

 Inoltre, sarebbe importante effettuare  un intervento esteso di forestazione urbana, finalizzato a colmare il  diradamento edilizio e a sostenere il restauro paesaggistico dell’affaccio sul Mar Piccolo.

Un piano del verde adeguato e funzionale, per avere senso di compiutezza ed efficacia, deve interconnettere tra di loro i vari interventi attentamente programmati, con i corridoi in una visione organica ed articolata.

 Per la gestione di questo complesso processo occorre individuare nuove forme d’ingegneria sociale, che siano capaci di assicurare  una piena fruibilità dei luoghi e degli spazi.

 Il verde come le  piazze, i percorsi per la mobilità a misura d’uomo incentrati sull’uso della bicicletta e sulle passeggiate a cavallo e, primariamente, per gite a piedi, vanno pensati, gestiti e fruiti come spazio e bene comune.”

Per procedere in questa direzione bisogna incominciare dalle perle ambientali sopravvissute lungo le sponde del primo seno del Mar Piccolo: il bioparco del fiume Galeso e le aree contigue, senza dimenticare  l’agognato Lungomare pedonale terrazzato da via Delle Fornaci al bioparco omonimo.

Il parco è stato progettato da Vito Crisanti su incarico dell’Amministrazione Provinciale (Presidente Mario Luciano D’Alconzo, Assessore all’Ambiente Vito Tommaso Donvito), con la deliberazione n. 1327 del 14 giugno 1994 dal titolo: “Incarico per la realizzazione del progetto esecutivo per la bonifica, il recupero idrogeologico, paesaggistico, naturalistico del fiume e del suo bacino topografico” nel primo seno del Mar Piccolo.  Il lavoro di Crisanti ha saputo leggere ed interpretare al meglio i valori storico-culturali, paesaggistico-naturalistici di un “biotopo” unico al mondo.

L’Amministrazione Provinciale ha già provveduto ad espropriare i primi 45 ettari e il Presidente in carica ha la ferma intenzione, in uno con l’Amministrazione Comunale di Taranto , di portare l’opera, entro il tempo del suo mandato, a compimento.

L’intesa è necessaria in quanto i 45 ettari del demanio provinciale confinano con:

- il compendio del vecchio macello comunale già oggetto di un progetto di riuso;

- il vivaio del Corpo forestale dello Stato;

- l’ex Batteria Galeso ristrutturata dall’Amministrazione Comunale come centro di educazione ambientale.

  E’ di per sé evidente che  tutte queste  strutture  vanno comprese in una visione unitaria nel perimetro del parco.

Nel secondo seno del Mar Piccolo occorre puntare a salvaguardare e valorizzare la zona umida protetta, denominata RORP Palude La Vela, gestita dal WWF dal 1992.

 La salvaguardia del biotopo, la sua valorizzazione e la sua fruibilità, costituiscono potenti strumenti di educazione ambientale, indispensabili per comprendere il contesto geologico, idrogeologico, paesaggistico dell’intero ecosistema del Mar Piccolo e del Mar Grande, Salina Grande e Salina Piccola.

 Sarebbe opportuno estendere sin da subito l’area della Riserva all’area della Sorgente Battendieri, un sito straordinario da mettere in sicurezza e da rendere fruibile, dove ancora oggi vegeta rigoglioso il saccione[2] (nasturzio), ottimo per un’insalata piccantina per palati raffinati da accompagnare con piatti di pesce e di carne.

 La Palude La Vela è viciniora al bene architettonico e storico-culturale della gualchiera dei Battendieri connessa con una sorgente perenne d’acqua dolce che, per secoli ha alimentato l’attività di tessitura e follatura dei panni per confezionare il saio dei monaci dell’Ordine dei Cappuccini.

 In tale area  vanno anche incluse le aree contigue alla foce del Canale Leverano d’Aquino, ossia il vero fiume Galeso come ipotizzato, attraverso lo studio dei toponimi Greci della Chora tarantina, da Giorgio Sonnante nella sua recente opera “Gravine e Tratturi, pascoli e campi di Crispiano, letteratura, economia, storia” di Giorgio Sonnante- Antonio Dellisanti Editore S.r.l.- 2013.

Nel progetto fatto redigere dall’Amministrazione Comunale, la perimetrazione della Riserva è stata opportunamente estesa all’area degli impianti dismessi di maricoltura dell’Ajvam Spa, in regime fallimentare da anni.

Con il recente passaggio delle aree della Riserva dallo Stato al Demanio Comunale comincia a prendere concretezza e slancio l’ipotesi di un grande Parco Territoriale che, partendo dalla Riserva Palude La Vela, si estenda ad alcune aree contigue d’interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale appartenenti alle Istituzioni pubbliche o ai privati, tutte di rilevante interesse pubblico.

All’interno di questo percorso, come messo in evidenza nel libro “Il Castello Aragonese di Taranto nell’evoluzione del paesaggio naturale” dal Prof. Giuseppe Mastronuzzi, Maurizio Milella, Cosimo Pignatelli, Arcangelo Piscitelli e Paolo Sansò, la falesia in località “Il Fronte”, sul secondo seno del Mar Piccolo, all’interno della perimetrazione dell’area regionale protetta, ha le caratteristiche per assurgere a identificare un geosito definito “Tarantiano”.

Una pagina geologica importante per la lettura e l’interpretazione di fenomeni su scala regionale e mondiale della stratigrafia del Pleistocene Superiore.

Grazie all’intenso lavoro  di educazione ambientale praticato dal Wwf Taranto nel Parco Regionale, va aumentando, di mese in mese, la presenza di visitatori, dei residenti e di turisti ambientalisti, tendenza che non va scoraggiata visto che non sono pochi gli studenti, anche stranieri, che vengono a visitare e studiare la Palude grazie alla presenza della numerosa e rara avifauna della riserva, frequentata da specie protette, come Aironi, Garzette, Cavalieri d’Italia, Falco Pescatore, Cormorano e Anatre Volpoche, e di specie botaniche soggette a tutela quali le Orchidee e la Salicornia, per citarne soltanto qualcuna.

I manufatti dismessi dell’Ajvam S.p.a. hanno inoltre tutte le caratteristiche -se bonificati, ristrutturati e attrezzati- per essere sede di un ecomuseo d’interesse regionale facendo perno sulla maricoltura, ai sensi della Legge Regionale 6 Luglio 2011, n°15 “Istituzione degli eco-musei della Puglia”, che all’articolo 1 del capitolo oggetto e finalità così   recita:

“La Regione Puglia, di concerto con le comunità locali, le parti sociali e gli enti locali e di ricerca riconosce, promuove e disciplina sul proprio territorio gli ecomusei allo scopo di recuperare, testimoniare, valorizzare e accompagnare nel loro sviluppo la memoria storica, la vita, le figure e i fatti, la cultura materiale, immateriale, le relazioni fra ambiente naturale e ambiente antropizzato, le tradizioni, le attività e il modo in cui l’insediamento tradizionale ha caratterizzato la formazione e l’evoluzione del paesaggio e del territorio regionale, nella prospettiva di orientare lo sviluppo futuro del territorio in una logica di sostenibilità ambientale, economica e sociale, di responsabilità e di partecipazione dei soggetti pubblici e privati”.

Gli ecomusei sono un presidio per svolgere azioni di sensibilizzazione collettiva al fine di considerare l’ambiente e i beni storico-culturali come “beni comuni” e diritti inalienabili per noi e per le future generazioni.  Per la realizzazione del grande Parco Territoriale è necessario avere  un approccio olistico: coniugare il sapere scientifico con quelli umanistico, le attività colturali agricole, silvicole e la “maricoltura” con le presenze geologiche, archeologiche ed architettoniche.

Quest’ipotesi farebbe il paio con quanto realizzato in Umbria, alle fonti del Clitumno, dove all’interno di un bioparco è stata allestita una struttura eco-museale di grande valenza culturale e di forte richiamo turistico.

Per quanto riguarda la sostenibilità energetica dell’intera struttura, considerato il protocollo d’Intesa stipulato dal Comune di Taranto con l’Università dell’Idrogeno H2U di Monopoli, sarebbe opportuno realizzare un progetto pilota per trasformare in idrogeno l’energia riveniente dai pannelli sistemati sul tetto dell’ Ajvam, da usare nelle ore notturne. Sarebbe altresì auspicabile il riuso come studentato del compendio militare dismesso denominato Manganecchia, situato tra il confine orientale della pineta Cimino e l’area dell’Aereonautica Militare, confinante con la Riserva. Questo manufatto, se ristrutturato e attrezzato, potrebbe essere destinato a campus universitario per gli studenti di geologia e biologia.

Anche all’interno della città costruita, c’è la possibilità di salvare, in extremis, una piccola perla: il relitto della antica palude della Salinella e delle sue aree limitrofe.

A tal fine, è sufficiente  procedere come prescritto nelle norme di attuazione della variante, in perequazione urbanistica, della Salinella e delle aree contigue, variante che contempla anche la salvaguardia e la tenuta in produzione del rigoglioso oliveto ivi presente.

In questa area sarebbe altresì auspicabile reperire e reimpiantare cultivar autoctone di alberi da frutto come riportato nella preziosa mappa disegnata dal regio tavolario Aniello Boccarelli o carta geodetica della masseria del Trullo.

La mappa, disegnata in passi napoletani, riguarda il fondo rustico confinante con un tratto della riva della palude Salinella e risale al 1765: il prezioso documento è allegato ad un rogito del Notaio Francesco Antonio Mannarini ed è conservato nell’Archivio di Stato di Taranto.

Nel documento  cartografico sono riportati con puntigliosa precisione i limiti delle proprietà, i tipi di coltura, il bacino della Salinella, facendoci immaginare come poteva apparire agli occhi di un viaggiatore del Grand Tour del livello del Barone tedesco Von Riedesel. Il Barone,  giunto a Taranto nel 1771, oltre a posare il suo sguardo sulla pesca  delle alici a Capo San Vito e sull’allevamento dei mitili e delle ostriche nel Mar Piccolo, sicuramente posò il suo sguardo sui luoghi pittoreschi della Salinella, della Salina Grande e del Galeso.

 Questo miracolo è ancora possibile in quanto il relitto della Salina Piccola, in contrada “Pilone”, inserito nel Piano Particolareggiato Salinella ed aree contermini, è accessibile dall’antica via del Trullo. Una strada che scorre tra il relitto della Salinella e le sedi della Questura, dei Vigili del Fuoco e del Comando della Guardia di Finanza: tutt’oggi, in questa area residuale sono ancora presenti salicornie, cannucce palustri, tamerici e numerose specie rare di avifauna, nonché anfibi, rettili e insetti.

 La via del Trullo e via Abateresta, sono vocate per costituire una rete di piste ciclabili che ci permetterebbero di raggiungere la contrada Manganecchia, la Palude La Vela e le aree contigue la pineta di Cimino. Le piste, per esigenze paesaggistiche, andrebbero corredate di siepi pluri-specifiche, arbusti e alberi a ceppaia che, così definite, funzionerebbero da piste ciclabili e da corridoi ecologici.

Le piste ciclabili unirebbero, come il filo di Arianna, fisicamente ed idealmente il previsto Parco urbano del relitto della Salina Piccola con il Parco Cimiteriale Letterario Leonida di Taranto e i parchi extraurbani collocati intorno al Mar Piccolo: l’area protetta della Palude la Vela, il bioparco del Galeso, la Pineta di Cimino, il parco della Rimembranza.

 Il Parco della Salinella, in contrada Pilone, ha tutte le caratteristiche per costituire un banco di prova per come si dovrebbe procedere per recuperare un relitto ambientale prezioso: sarebbe una ghiotta  occasione per sviluppare forme avanzate di agricoltura urbana e sociale, un esempio, tanto virtuoso quanto inedito, di nuova centralità e protagonismo di un quartiere periferico.

 Questo circostanza ci permetterebbe di avviare il recupero prima e la propagazione poi delle cultivar autoctone ancora salvabili di frutta e verdura, come a suo tempo auspicato dal Consiglio di Quartiere ed in linea con quanto prescritto dalla Regione.

Suscita malinconia constatare che mentre in Europa, in città come Vitoria Gasteiz nei Paesi Baschi, capitale europea del verde 2012, si vanno affermando modelli di eco-city ed eliopolis (vedi il grande anello verde esterno di Vitoria di circa 1500 ettari), a Taranto, ci attardiamo persino a sistemare il tanto auspicato relitto della palude Salinella il quale  -comprendendo anche le aree circostanti- si estende per appena 60 ettari. In particolare, trattasi di un’area destinata, dal Piano Regolatore vigente, a servizi che è collocata all’interno della città consolidata, in un’area salva per miracolo dall’avanzare dell’edilizia, non regolamentata e facente parte di un piano attuativo d’iniziativa comunale in perequazione urbanistica.

Il destino della Salina Grande, invece, merita un’attenzione particolare : è un area di circa mille ettari, di cui in passato il 70% apparteneva al Demanio, ma che recentemente è passata in mano a privati per una somma risibile, perché gli enti pubblici locali non hanno inteso esercitare il diritto di prelazione.

  Il Piano Regolatore vigente prevede –per la Salina Grande- o la forestazione integrale o il suo rinvaso attraverso l’utilizzo, dopo averle trattate, delle acque reflue dell’impianto di Gennarini: certo non di sversarle in mare –come avviene ancor oggi- con una condotta sottomarina piena di falle.

 Attuando questa seconda opzione prevista dal PRG, si creerebbe la naturalizzazione del bacino per resilienza: una fonte preziosa per la produzione di ossigeno e di abbattimento di CO2, utile alla  mitigazione climatica.

Questa destinazione andrebbe confermata e sostenuta  in quanto la Salina Grande, oltre a essere un sito d’interesse naturalistico da recuperare, ha anche un significativo valore storico. Per secoli, infatti, prima della sua bonifica a scolo naturale, è stata fonte di un cospicuo reddito con la pratica della coltivazione del sale e con la relativa esazione della gabella. Tale esazione, a partire dal Medio Evo, ha costituito l’entrata principale per l’abbazia di San Vito del Pizzo prima e poi per Università di Taranto e la Camera della Sommaria del Regno di Napoli.

Di altrettanto valore naturalistico e storico-culturale è il bioparco del Tratturello Tarantino.

Trattasi di un buon progetto redatto dal compianto architetto Vito Boccuzzi che interessa un’area a cavallo tra il Piano Produttivo Comunale allo svincolo autostradale Taccone e le Case Bianche a Paolo Sesto, compreso nella perimetrazione della Zona Franca Urbana.

Questo comprende un tratto del Tratturello Tarantino ed aree contigue, in parte afferenti al demanio comunale ed in parte ai privati. Nel suo dispiegarsi costeggia il C.I.S.I. (Centro Integrato per lo Sviluppo della Imprenditorialità), scavalca la strada Taranto-Martina Franca, per giungere  in un ampio spiazzo -relitto di un Riposo della Transumanza di fronte alle Case Bianche del quartiere Paolo VI- come testimoniato dalla presenza di un antica foggia per l'abbeveraggio e la sosta delle greggi di transito.

Secondo quanto previsto dal progetto, nelle aree del parco vanno salvaguardate le piante secolari di olivo e le numerose secolari aggregazioni arbustive della macchia mediterranea: il tutto deve essere preservato e strutturato per essere fruibile tramite camminamenti e aree di sosta. Per la sua originalità e modernità il progetto è stato di recente oggetto della Tesi di Laurea in Geografia della Comunicazione discussa da Stefano Ripoli alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” intitolata L’Agricoltura in Puglia come fattore di equilibrio ambientale, con relatore il Prof. Guido Luisi.

 In tale contesto, un gruppo di giovani soci del WWF Taranto e di altre associazioni ambientaliste si stanno organizzando in società di scopo per collaborare con l’Amministrazione comunale ad un primo intervento di forestazione e a dare inizio al bioparco del Tratturello Tarantino.

Percorso, questo, che va salvaguardato sia per gli aspetti botanici sia per quelli faunistici.

Il Parco comprende un uliveto secolare, all'interno del quale insiste un palmento ipogeo del 1700 di circa 500 mq per il quale se ne consiglia il riuso come centro di primo ristoro per i frequentatori mentre, nella parte restante, si potrebbe allestire una mostra permanente sulla civiltà della transumanza nella Provincia di Taranto.

La proposta è quanto mai attuale visto il rinnovato interesse sulla Transumanza, come dimostrato   dal percorso di ricerca, recentemente realizzato, della Dogana della Mena delle Pecore di Foggia: Tratturi, Tratturelli, Bracci, Riposi, Locazioni; pratiche di allevamento e produzione su scala industriale di carne, lana e formaggi praticata per secoli in un area molto estesa tra gli Abbruzzi, le Puglie, la Basilicata che, per mezzo dei tratturelli Tarantino e Martinese, si ricomponeva in un unico tragitto che dall’agro di Grottaglie conduceva sino alla Locazione dell’Arneo nel Salento.

 La circostanza che l’area dal bioparco comprenda anche una parte della lussureggiante macchia mediterranea della gravina Mazzaracchio - un camminamento naturalistico che sbocca sul bioparco del Galeso-  ne accentua ancor più l’importanza.

Il progettista lo ha redatto pensando ad un Tratturo fruito da  persone, usato anche  per interconnettere, con puntuali e mirati interventi di risanamento ambientale e rimboschimento, quartieri contigui sorti in periodi e con logiche e spinte sociali diverse, ma che oggi sono affetti dal medesimo disagio socio-economico e degrado ambientale.

In tal modo, a fronte di un tessuto urbano e periurbano sfilacciato comprendente i quartieri di Città Vecchia-Porta Napoli, Tamburi-Croce, Piano Produttivo Comunale Taccone e Case Bianche-Paolo VI, avremmo un cordone verde di ricucitura che partirebbe da via Delle Fornaci a Porta Napoli,  proseguirebbe per via Mar Piccolo nel Rione Tamburi, giungerebbe sino al bioparco del Galeso e, da qui, attraverso il camminamento pedonale nella gravina Mazzaracchio, si collegherebbe  con il bioparco del Tratturello Tarantino, sviluppato a cerniera tra il Piano Produttivo Comunale in contrada Taccone e le Case Bianche al quartiere Paolo VI.

Un altro intervento di grande respiro storico-culturale, ambientale, paesaggistico e d’ingegneria sociale per la sua gestione, è il nuovo Parco Cimiteriale-Letterario Leonida di Taranto.

Questo è stato proposto in progetto di finanza da una società di scopo composta da alcune Società di Mutuo Soccorso e altri soggetti qualificati. Il progetto è stato già inserito nel piano comunale triennale delle opere d’interesse pubblico per la prima annualità.

Esso è collocato nell’amena contrada Massarotti e vi si accede percorrendo, per un tratto, l’antica strada panoramica Abateresta collegata con la tangenziale Sud da due svincoli: uno a Nord all’incrocio con via Lago di Levico e la strada provinciale 164; l’altro a Sud, all’altezza della masseria Abateresta, con un affaccio panoramico sulla Salina Grande da valorizzare.

 Ciò è stato ben evidenziato da Pasquale Ricci, presidente della società di mutuo soccorso “Ferrovieri” nella sua relazione in occasione dell’Assemblea dei soci del  6 giugno 2012: “Il progetto del Parco, così come proposto, oltre ad andare incontro alle esigenze di culto dei morti di una società sempre più multietnica e plurireligiosa[3], prevede, per poter meglio vivere la sua matrice ambientalista, percorsi pedonali e ciclabili con attrezzati punti di sosta nel verde, collegati con il Parco attraverso il sovrappasso della Tangenziale Sud, all’altezza della Masseria Massarotti.

L’arredo nel campo prevede cippi funerari per la tumulazione e urne cinerarie per la cremazione in ceramica artistica; per Puglia, Calabria, Campania e Lucania v’è un solo impianto crematorio, quello di Bari, nonostante Taranto, sia da Polis greca sia da Municipio romano, abbia contestualmente praticato il sistema della tumulazione quanto quello della cremazione.

Ciò è dimostrato dalla grande quantità di oggetti di culto rivenienti dagli scavi archeologici quali immagini di Dèi, oggetti appartenuti al defunto per la tumulazione, raffinati servizi per il simposio nell’aldilà, artistiche coppe cinerarie in argento o in argilla. Oggetti esposti, oltre che nella nostra città, nei più grandi musei del mondo”.

Sarebbe opportuno nella fase costruttiva sussumere gli aspetti ecologico-paesaggistici  e storico-culturali (a mezzo del Parco Letterario dedicato a Leonida) al fine di agevolarne la fruibilità, non solo in relazione ai riti funebri secondo le diverse religioni ma anche in relazione alla ridefinizione e godimento del verde e del diverso rapporto fra rumore e silenzio, tra  parola e  meditazione, alla ricerca di risposte rassicuranti alle numerose domande del mondo contemporaneo, sempre più multietnico e alla ricerca di  una nuova dimensione dello spazio-tempo, nello spirito dell’imperituro messaggio poetico di Leonida, il quale stilò per il proprio epitaffio il seguente epigramma, qui riportato nella magistrale traduzione di Salvatore Quasimodo:

«Riposo molto lontano dalla terra d’Italia

 Di Taranto mia Patria E ciò m’è più amaro della morte.

Tale destino hanno i nomadi

A conclusione della loro inutile vita!

Le Muse però mi hanno caro!

Ed a compenso delle mie afflizioni

Mi offrono una dolcezza di miele.

Il nome di Leonida non tramonta per Esse:

I loro doni lo testimoniano sino all’ultimo sole».

A maggiore significanza del messaggio universale di particolare attenzione verso gli umili e la natura del nostro Leonida, è stata una scelta felice che l’ampia fascia di rispetto del Parco Cimiteriale - in ottemperanza alla legge n.10 del14 Gennaio 2013 che obbliga i comuni a piantare un albero per ogni nuovo nato o bambino adottato dandone il nome – venga boscata con piante sempreverdi della macchia mediterranea: ulivo, alloro, leccio e carrubo. Tutte cultivar di alberi longevi sino a mille anni e oltre! In tal modo, si fortifica l’antica alleanza tra Natura e Uomo, che rimane anche dopo la fine di quest’ultimo e che continuerebbe, intatta, con la sua discendenza.

Questo sarebbe l’indicazione di un radicamento per coltivare il senso di appartenenza, anche per quanti, per motivi di lavoro o per esigenze di vita, si allontaneranno dalla città. L’albero, messo a dimora in coincidenza con la nascita, assumerebbe il nome ed il cognome del nuovo nato e, attraverso la geo-localizzazione ed il web, questi potrà visionare in ogni momento e da luoghi distanti.

 Questo legame sarebbe goduto nel significato per sé e come ancoraggio di certezza di origine per i discendenti. Un bel modo di fidelizzarsi con la città!

 Altrettanto opportuno è stata la risposta alle attese degli amici degli animali da compagnia al momento della morte del proprio caro amico animale. Per questo, in un aria separata, è stato previsto un apposito impianto di cremazione adiacente ad un boschetto piantumato con un albero a lunga vita vegetativa per ogni animale morto prendendone il nome e perpetrando il caro ricordo per l’amico padrone.  

  Il recupero del senso della memoria, della solidarietà è quanto mai utile per traguardare l’agognata meta di una città a misura d’uomo, dove il senso civico è la base dell’impegno sociale ed amministrativo indispensabili per a far lievitare l’etica pubblica e così risalire nella graduatoria nazionale delle città a migliore qualità della vita.

Certo, per risalire la china, non ci aiuta la presenza, a ridosso della città, di una vastissima area industriale che comprende:

- l’acciaieria a ciclo integrale più grande di Europa definita, con decreto legge, impresa di interesse strategico nazionale, la quale continua ad usare il carbon fossile, la fonte energetica più inquinante;

- una grande raffineria;

- un cementificio che ricicla la loppa dello stabilimento siderurgico - uno scarto della lavorazione dell’acciaio che, unito all’argilla di cava, dà un ottimo cemento

- la presenza di numerosi compendi industriali, civili e militari dismessi, disseminati in punti nevralgici all’interno della Città Consolidata, abbandonati da decenni, per conclusione del loro ciclo produttivo o per fallimento della proprietà o per sospensione dei lavori da parte della magistratura, per vizi amministrativi.

Il nuovo Piano Regolatore, per rispondere alle necessità e alle aspettative degli abitanti e costituire un nodo della rete infrastrutturale del Mezzogiorno d’Italia - avamposto dell’Europa nel centro del Mediterraneo - per essere propulsivo deve poggiare sulla:

·      Tutela attiva della biodiversità e del suo complesso ecosistema;

·      Cura nel salvare quanto è rimasto del paesaggio sapientemente antropizzato, nel corso della sua storia millenaria; 

·      Attenta lettura della valenza identitaria del patrimonio storico-culturale;

·      Riflessione scrupolosa sulle sofferte esperienze di 150 anni di sviluppo industriale lineare in contrapposizione con un modello circolare praticato, nella città dei Due Mari, per secoli come codificato nel Libro Rosso del Principato di Taranto degli Orsini.

  Il Mar Grande e il Mar Piccolo, già a partire dal diciottesimo secolo, sono siti dove si sperimentò e attuò, su larga scala, la maricoltura moderna, su base industriale, con la coltivazione di ostriche e di  mitili; con l’allevamento di murici (‘u cuèccele gendile e’u cuèccele vellane) per l’estrazione della porpora e per la colorazione dei tessuti,  merce pregiata che veniva utilizzata negli scambi commerciali con la Cina tramite La Via della Seta; con la lavorazione della  Pinna nobilis (‘a parecedde) per il filo di bisso con il quale si otteneva un tessuto diafano e trasparente  per confezionare le Tarentinidie: il sogno di ogni fanciulla del ceto gentilizio al tempo della Magna Grecia e dell’Impero Romano. Inoltre, dalla superficie interna delle valve della Pinna Nobilis si otteneva la madreperla usata per gli intarsi e per i bottoni dei capi di lusso.

Le tecniche di allevamento e di trasformazione, sperimentate nella città dei Due Mari, si diffusero in tutto il Mediterraneo perché innovavano senza depauperare il territorio e senza arrecare danno alla vita.  

In questa logica va recuperata un’idea di economia comunitaria e circolare, un nuovo stile di vita ispirato alla nostra ricca tradizione del nostro vissuto quotidiano. Una traccia, tanto inedita quanto sorprendente, potrebbe essere lo studio della nostra toponomastica, utile per rintracciare i numerosi lueche sàrve [4]“– porzioni di mare e di terra dove per poter pescare e cacciare bisognava essere autorizzati ed usare attrezzi regolamentati e nelle stagioni opportune -.

Dipende tutto dalla nostra volontà, perspicacia, dalla lungimiranza della classe dirigente, dall’apporto della ricerca applicata, dalla capacità di sapersi relazionare con il Governo Regionale, Nazionale, Europeo ed inserirsi in rete, con le città del Mezzogiorno d’Italia e oltre, che sono impegnate ad affrontare le medesime problematiche.

 Per raggiungere questa meta, bisogna sventare il pericolo, sempre latente a casa nostra, che dopo molti patimenti, tanti tramestii, strepiti, mobilitazione sociale, promesse di soccorso da padreterni di passaggio non mantenute, la città finisca, ancora una volta, per assumere un atteggiamento nichilista all’insegna   dell’ignavia e della rinuncia a prenderne il destino nelle proprie mani.

  A ben guardare ci aiuta molto la fortunata posizione baricentrica di Taranto nel Mediterraneo.

La Città, nel corso della sua storia millenaria, è stata da sempre punto di approdo privilegiato per le genti giunte da terre lontane che, con la loro cultura, unita alla feracità del territorio ed al sapiente uso delle risorse, hanno creato un modello socio-economico di successo che, ancor oggi, può essere riproposto per guidare Taranto verso un modello industriale circolare, foriero di una società diversamente ricca.

E’ giunto il momento di “filare la lana”, la nostra antica buona lana, selezionarne il filo per cominciare a tessere il panno, nella qualità e ampiezza necessaria, perché l’urbanista Dino Borri, novello maestro sartore, possa cucire un mantello su misura per affrontare la rigidità della cattiva stagione che la città si trova a vivere: forse la peggiore a memoria d’uomo.

Per affrontare di petto l’inquinamento, occorre risalire dagli effetti alle cause e, non solo per additarne la pericolosità e le responsabilità, ma precipuamente per rimuoverle.

 A cominciare dalla presenza sul territorio di alcune grandi realtà industriali che, esaurita la fase propulsiva per cui erano state realizzate, sono ora anche mal percepite dalla popolazione. Queste realtà industriali, invece, se ben osservate, comprese ed elaborate potrebbero promuovere linee di ricerca applicata alle nuove tecnologie, al fine di trovare nuovi sistemi produttivi sostenibili, che possono essere assicurati solo con la nascita di un grande ed efficiente Centro di studi scientifico-tecnologico caratterizzato da attività di ricerca di base, laboratoriale ed applicata, che sia all’altezza del compito e capace di attrarre  risorse umane e finanziarie provenienti da ogni parte del mondo: un Centro di studi internazionale che potrebbe trovare adeguata destinazione  nell’Arsenale Militare di Taranto.

 Così cogliendo, al volo e al meglio, le opportunità del decreto-legge 5 gennaio 2015 n. 1: “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto” che prevede, all’art. 8 c. 3, che sia affidata a due Ministeri, MiBAC e Difesa, la predisposizione, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, di un progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale Militare di Taranto, "ferme restando la prioritaria destinazione ad arsenale del complesso, e le prioritarie esigenze operative e logistiche della Marina Militare".

Le prioritarie esigenze operative e logistiche della Marina Militare, che devono conciliarsi con una razionale ed equilibratrice pianificazione del territorio cittadino, andrebbero tutte verificate mediante una intelligente valutazione delle reali, attuali e future, esigenze di difesa e procedere, previa una obiettiva valutazione dei costi-benefici, al loro trasferimento nella nuova base navale a Mar Grande.

 Va tenuto certamente presente il grande valore storico-culturale dell'Arsenale di Taranto che, con le mutate esigenze militari di difesa, oggi può essere convertito come Centro di studi scientifico-tecnologico internazionale.

 Nel mentre si avvia la conversione delle strutture ed infrastrutture dell'Arsenale di Taranto, potrebbero, per il momento, coesistere –ancora in loco- le residue attività manutentive del naviglio militare.

L'attività di ricerca scientifico-tecnologica potrebbe fornire impulsi con esiti ora inimmaginabili:

Procedere per l'innovazione dei sistemi di difesa e per la progettazione di innovative unità navali, civili e militari;

Puntare su temi quali i materiali innovativi avanzati, il calcolo parallelo e le reti ad alte prestazioni, ormai indispensabili nelle ricerche di aerodinamica e di fluidodinamica, di chimica e fisica computazionale, nei progetti di reti neurali, nei modelli di meteorologia e di climatologia, nelle ricerche di biologia e di medicina -con interessanti ricadute nella la linguistica computazionale- senza dimenticare ambiti relativi alla geologia e ai processi geologici, all’ingegneria ambientale ed aerospaziale e all’ampio settore del  telerilevamento.

 Insomma, esistono tutte le condizioni logistico-organizzative per struttura un’ampia di Area della Ricerca Scientifico-Tecnologica del Mezzogiorno, localizzata nell'attuale Arsenale M.M. di Taranto, patrimonio immobiliare di tutto rispetto e ben infrastrutturato.  .

Alla predisposizione del progetto di valorizzazione culturale e scientifica, del complesso costituito dall'Arsenale di Taranto, dovrebbero essere coinvolti partner nazionali quali: il MIUR, il CNR, INFN, ENEA, con coinvolgimento di partners internazionali.

L’integrazione dei due Ministeri, MiBAC e Difesa, con il MIUR, dovrebbe essere prevista in sede di conversione in legge del decreto.

La predisposizione progettuale sarà facilitata se si terranno in considerazione le migliori pratiche già utilizzate dal Consorzio per l'Area di Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trieste, che gestisce e promuove l'Ente Parco della Regione Friuli-Venezia Giulia, riconosciuto dal MIUR come Ente Pubblico Nazionale di Ricerca.

Nei suoi due campus di Padriciano e Basovizza (Trieste) sono ospitati  87 centri, società ed istituti con oltre 2200 addetti impegnati in attività di ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico, formazione e servizi qualificati. Adottando modalità operative originali, AREA Science Park ha sperimentato sul campo un percorso innovativo per trasferire competenze e tecnologie alle piccole e medie imprese, valorizzare i risultati della ricerca e sostenere la nascita di nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza.

In sintesi, la mission di AREA Science Park di Trieste si può suddividere in quattro filoni:

1)   INNOVATION NETWORK - Per far fronte alla crescente domanda di innovazione in ambito regionale, è la prima rete italiana per il trasferimento tecnologico citata come best practice europea. È una struttura articolata in Centri di Competenza specializzati, attiva su tutto il territorio in collaborazione con le realtà imprenditoriali, che opera su tematiche di interesse trasversale (energia, efficienza produttiva, nuovi materiali) o su specifici settori produttivi (legno-arredo, agroindustria, cantieristica e nautica).

2)   INNOVATION FACTORY – È una iniziativa che mette a disposizione strumenti, risorse e competenze per affiancare i futuri imprenditori nella fase critica compresa tra la nascita dell’idea imprenditoriale e la costituzione dell’impresa. Offre il supporto necessario per l’analisi di scenario tecnologico, mercato potenziale e possibilità di successo, i servizi di base per la gestione dell’impresa, nonché possibili apporti di capitali di rischio, selezionando le iniziative con la maggiore possibilità di successo.

3)   INNOVATION CAMPUS – Nata dall’esigenza di formare una nuova figura professionale, il  broker tecnologico, Innovation Campus è la prima scuola italiana di trasferimento tecnologico. Agli operatori di enti e istituzioni nazionali offre corsi di formazione continua, approfondimenti in singole aree specialistiche e un laboratorio di supporto per l’affiancamento e la consulenza su temi legati al trasferimento tecnologico.  

4)   DOMOTICA FVG – Indirizza lo sviluppo della tecnologia verso applicazioni che rendano più facile, sicura, piacevole la vita delle persone negli ambienti in cui vivono. Il progetto intende rendere la regione Friuli-Venezia Giulia il riferimento internazionale per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la diffusione dei sistemi domotici, favorendo il trasferimento di tecnologie tra contesti industriali diversi con l’obiettivo di sviluppare nuove applicazioni a costi competitivi.

Aziende innovative e centri di ricerca, pubblici e privati, trovano in AREA Science Park l’ambiente ideale dove sviluppare e far crescere le proposte di ricerca e di sviluppo tecnologico a scala globale.

Si è avviato un processo in cui la fatica fisica dell’uomo sarà sostituita dalla robotica, potenziando una crescente attitudine da parte dell’uomo: immaginare, inventare, programmare e gestire.

 L’esperienza di AREA Science Park potrebbe oggi essere replicata nel Mezzogiorno d’Italia, a Taranto, traendo occasione dalla favorevole disponibilità proprio delle strutture e delle infrastrutture del pregevole complesso costituito dall’Arsenale M.M.

 Ad oggi la questione più complessa, ma anche più stimolante e, con buone probabilità di successo, è quella del riuso creativo per la “produttività” dell’ARSENALE MILITARE, croce e vanto della città, oggi percepito –ormai dai più-  solo come un intralcio, un “bubbone” - e quando va bene, “un carciofo da sfogliare” , che potrebbe, con un colpo d’ala, trasformarsi nel cuore pulsante della città, in un  futuro prossimo all’altezza dei tempi e delle nostre attese, che  consentirebbe l’arresto dello scivolamento del Borgo sul piano inclinato dell’abbandono, verso la sua catalessi.

 Infatti, a ben considerare, potrebbe essere questa la sede ideale per il Parco Scientifico Tecnologico “Magna Grecia”. Questo, se così pensato e collocato, potrebbe divenire il contenitore adeguato, vista la consistenza dell’Arsenale Militare, di un Polo d’eccellenza di ricerca applicata per ambiente, salute e nuove tecnologie a respiro globale, capace di contribuire in maniera determinante a strutturare un modello industriale circolare non più rimandabile. Una preziosa occasione per superare la monocultura dell’industria di base a ciclo integrale che nel prossimo futuro, oltre a dover funzionare per mezzo di energia rinnovabile, vedrà l’impiego diffuso della robotica: l’occupazione, la buona e copiosa occupazione, dovrà orientarsi sempre più nelle attività di programmazione  e verso i settori terziario e quaternario, ambiti –questi- obbligati per la costruzione dei progetti del nostro futuro.  

L’ambizione del Parco Scientifico Tecnologico è di far sì che l’area industriale di Taranto sia all’avanguardia nella corsa all’innovazione tecnologica, l’unica strategia che ci possa garantire una presenza industriale di tipo circolare: sostenibile, competitiva in qualità e –decisamente- molto  meno impattante sull’ambiente.

Questo percorso è praticabile in quanto, per esigenze sopravvenute, la base navale è stata trasferita dal Mar Piccolo al Mar Grande, per continuare a garantire la pace nell’area del Mare Mediterraneo, oggi epicentro delle maggiori turbolenze politico-sociali  con scontri religiosi su posizioni radicali. Nel contempo, diventa possibile assegnare un nuovo ruolo al grande Arsenale Militare del Mar Piccolo, depositario di oltre un secolo di esperienza tecnologica di successo, esperienza che ha permesso l’epico evento del recupero della corazzata Leonardo da Vinci affondata in Mar Piccolo, nel corso della  prima guerra mondiale, il 2 agosto 1916 .

Il compendio dell’Arsenale Militare comprende il canale navigabile, la Stazione Torpediniere, il Circolo sottufficiali, il Circolo ufficiali, l’Ospedale Militare a Santa Lucia, la Direzione, le officine, i bacini di carenaggio, le strutture di logistica e, senza soluzione di continuità, sino a Punta Penna, si affaccia sul Primo Seno del Mar Piccolo.

Si tratta di un quadrante urbano del Borgo di alto valore paesaggistico, di buona qualità edilizia ed architettonica, sia degli impianti industriali che degli uffici: un grande patrimonio immobiliare da mettere a valore sia come Parco Scientifico-Tecnologico, sia come Grande Officina Culturale per la valorizzazione dell’ingente e prezioso patrimonio archeologico proveniente dal nostro territorio e conservato, nei più prestigiosi musei pubblici e nelle maggiori collezioni private, in tutto il Mondo. Una grande realtà che se convertita potrebbe costituire un grande attrattore turistico, per le Terre Joniche, la  Valle D’Itria ed il Salento, sino ad Otranto.

 Tanto più che il compendio militare è servito da una propria ferrovia di servizio: la Circumarpiccolo, che se convertita in Metropolitana di superficie, è già connessa, tramite la stazione Galeso al rione Tamburi e con le Ferrovie Regionali Sud Est, a Gagliano Capo di Leuca.[5] Un collegamento, quindi,  con i poli turistici regionali più promettenti: la Valle d’Itria, sito Unesco, e la Penisola Salentina, che attraverserebbe il cuore della Chora tarantina. In tal modo,  l’intera cittadinanza, e non solo, avrebbe la possibilità di muoversi meglio e di godere, per la parte salvata, di quanto ameno potesse apparire il paesaggio agli occhi incantati di Virgilio, Orazio, Mecenate e Columella.

L’antica ferrovia militare convertita in metropolitana di superficie congiungerebbe, inoltre,  la stazione centrale con il Borgo.

Essa utilizzerebbe per il primo tratto il tracciato poco frequentato della tratta Taranto-Brindisi, - con affaccio sul primo seno del Mar Piccolo; da qui passerebbe a monte di Buffoluto sul secondo Seno, alle  spalle  della sorgente dei Battendieri; a valle dell’ex masseria S. Pietro – attuale Relais Histò – scavalcherebbe il canale d’Aiedda  Leverano d’Aquino e toccherebbe la struttura agroturistica San Giovanni in agro di San Giorgio; poi passerebbe a monte della Palude La Vela  e proseguirebbe per la contrada Manganecchia,  la Pineta Cimino sino all’interno dell’Arsenale nel centro del Borgo.

Circostanza, questa, di grande rilevanza  in quanto è in corso la rivalutazione e l’adeguamento tecnologico di tutta la linea ferroviara,  sia come TPL che per  fini turistici e per le merci.

In questa ottica ci si propone:

- di rivitalizzare la direttrice Lecce-Manduria-Sava   (già finanziata per la elettrificazione) con scambio in questo scalo e l’inserimento della linea TA- BR, da Francavilla Fontana verso Grottaglie-Monteiasi-Taranto con traffici pendolari, turistici e di trasporto merci;

- la linea Sud Est da Francavilla a Martina Franca –più vocata alla mobilità turistica;

-la linea Martina Franca- Crispiano-Statte-Taranto, da destinare sia al  traffico passeggeri, che turistico.

  L’ammodernamento delle Ferrovie Sud-Est comporterebbe tra l’altro, finalmente, l’eliminazione del passaggio a livello di via Galeso nel rione Tamburi, che costituisce una strozzatura per il collegamento della città capoluogo con la popolosa Martina Franca e con la Valle d’Itria, ossia un polo turistico di eccellenza che comprende i Trulli di Alberobello tutelati dall’ Unesco.

 Un treno da non perdere ed è perciò il caso di prevederlo nel progetto Piano Pluriennale Economico e Sociale Art. 21 Legge Regione Puglia n.19 del 24 luglio 2007.

 La linea ferroviaria è connessa con la rete dell’antica viabilità minore idonea, oggi,  per strutturare una moderna rete di percorsi escursionistici tra il Mar Piccolo di Levante e i Comuni dell’Arco Jonico che gli fanno da corona. Per dare una risposta in alterità alla mobilità urbana ci viene in aiuto il possibile riuso, come metropolitana di superficie, del tracciato della Ferrovia Circumarpiccolo, passata di recente al Demanio comunale. Questa metropolitana potrebbe essere la struttura di connessione delle aree di pregio ambientale e paesaggistico, urbane e preurbane, affacciantesi sul primo e secondo seno del Mar Piccolo e darebbe respiro, forza e funzionalità al nuovo Pug per la mobilità delle persone.

Lungo il tracciato i caselli di servizio sarebbero tutti da riattivare:  uno di questi è vicino l’ex Masseria S. Pietro – una struttura agrituristica 5 stelle con accluso un relitto di un giardino etnobotanico settecentesco con alberi plurisecolari di cultivar autoctone – fico, mandorlo e giuggiolo, limone, carrubo e intere pareti coperte di edera per il nettare necessario alle api per la produzione del miele. [6]

E’ ora che ci si renda conto che l’avanzamento della civiltà umana non è determinata esclusivamente dalla produzione di beni materiali, ma soprattutto dall’elaborazione e fruizione dei beni immateriali e dal sapersi rinnovare. Sono queste ultime attitudini a far progredire la conoscenza, la ricerca applicata.

 Le strutture per le attività culturali e per la ricerca scientifica ed i grandi centri direzionali sono necessari per la produzione e la fruibilità dei beni immateriali, gli unici di cui l’umanità dispone in modo illimitato e costituiscono gli elementi fondanti di una società diversamente ricca, inclusiva, solidale e di respiro glocal.

Pertanto è necessario verificare  da subito, la disponibilità dell’A.N.V.R, coinvolgere il CNR, le facoltà scientifiche ed i centri di ricerca pubblici e privati della Regione, in connessione con i centri di ricerca di altre città siderurgiche del Mondo afflitte dalle nostre stesse problematiche e alla spasmodica ricerca per un modello di sviluppo industriale circolare.

Perciò i tarantini, all’unisono, dovrebbero recuperare il senso di sé, attraverso una rivisitazione delle nostre radici storico-culturali e della sofferta esperienza d’industrializzazione di quasi 150 anni.

L’idea del Parco scientifico tecnologico è nata con limitata ambizione e differenti orizzonti, nell’ambito della Programmazione Strategica di Area Vasta Tarantina, con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa per un tavolo tra il Comune di Taranto, la Provincia di Taranto, il Politecnico di Bari, l’Università degli studi di Bari, l’Arpa Puglia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Confindustria, l’Asl Taranto e  l’Asi, salvo poi, quest’ultimo, a issare per primo la bandiera al momento degli appalti.

Peccato che il protocollo non sia stato sottoscritto dai soliti “retepete” del calibro di Ilva, Eni, Cementir, Marina Militare, Alenia, Vestas, Marcegaglia.

Quando ci si accinge a concepire un Parco Tecnologico a Taranto, va considerato che oltre alla grande industria a ciclo integrale, vi sono tre interessanti realtà industriali innovative per la filiera dell’energia rinnovabile e per l’uso di nuovi materiali per l’aeronautica che potrebbero trovare linfa ed impulso dall’attività di ricerca del Parco Scientifico Tecnologico:

 

a)    una fabbrica della Vestas, società danese che dà lavoro a circa 700 addetti, si occupa dei sistemi eolici, producendo pale W90 e W52, rispettivamente con eliche di 44 metri e di 25 metri, con un ritmo di produzione di 5 grandi e 12 piccole ogni settimana;

b)   una fabbrica del Gruppo Marcegaglia, che ha installato una nuova linea produttiva destinata alla produzione di laminati flessibili a film sottile in silicio amorfo, per pannelli fotovoltaici atti a catturare l’energia solare;

c)    lo stabilimento dell’Alenia, collocato al confine del comune di Monteiasi connesso con l’aeroporto Arlotta, per la produzione di grandi fusoliere in fibra di carbonio per aerei di grande dimensione.                                                                                                                                                         

 II Parco tecnologico scientifico è un’ipotesi di lavoro di ampia e profonda portata culturale, industriale e sociale, un’opportunità per l’apparato industriale pugliese e non solo.

La Municipalità di Taranto, la Regione Puglia, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed i prossimi commissari - nominati dal Governo per la gestione temporanea dell’Ilva -, per rendere sostenibile la produzione dell’acciaio ed affinché il tutto non si riduca nel mettere la solita “pezza a colore”, devono prendere atto che si necessita di un panno adeguato per un vestito cucito su misura e da un maestro sartore “cime d’artiere.”

Per le prospettive dell’area industriale ed, in particolare dello stabilimento siderurgico, per uscire dalla provvisorietà e dalle scorciatoie, sarebbe opportuno coordinare e concentrare gli sforzi per strutturare il territorio, per sostenere e sviluppare un nuovo modello produttivo per il futuro.

Sarebbe opportuno, in questa fase, adoperare i migliori sistemi esistenti: Corex, Finex e Meros (Maximized Emission Reduction of Sintering), come hanno fatto le acciaierie coreane Posco, in collaborazione con la Siemens Vai, che hanno realizzato un impianto Finex.  

Per trarre il massimo beneficio dalla promulgazione del decreto governativo sull’ILVA, sarebbe stato prezioso disporre del nuovo P.U.G. affinché, si potessero cogliere le opportunità del passaggio dell’IlVA spa - considerandola un bene di interesse strategico nazionale -, all’amministrazione straordinaria dello Stato, per le necessarie bonifiche e ammodernamenti strutturali da realizzarsi entro 36 mesi.

Vogliamo sperare che questa volta non si cada nello stesso errore che si compì con il Piano Regolatore vigente redatto secondo l’adagio “doppe vippete bona salute!”.

Invece, è questo il momento per definire quale indirizzo dare, per quali obbiettivi, con quali priorità, con quali risorse umane e finanziarie, come procedere, in che tempi traguardare migliori condizioni di vita e di lavoro, senza ricorrere ai soliti provvedimenti tampone.

Il nuovo Piano Urbanistico Comunale, per il futuro, deve lasciare posto solo a modelli d’industria circolare - i soli sostenibili- ed agire per tempo.

 Continuare la produzione dell’acciaio è un’ impresa asperrima ma non impossibile a patto di avere il coraggio di provarci percorrendo la strada giusta e con mezzi adeguati; non è il caso di buttare la spugna, perché ci dovrà pure essere un motivo se le Direttive Europee producono comportamenti ed effetti differenti in Germania, Francia, Belgio e Italia. È questione di perspicacia, volontà, coerenza, responsabilità, coordinamento e tempismo.

 

L’acciaio sarà ancora necessario, per costruire le programmate nuove reti ferroviarie intercontinentali per il trasporto merci come quella che, partendo da Seul congiungerà Pyongyang, Pechino, Mosca prima e proseguire per Berlino e da qui a Parigi, quella che dal porto del Pireo giungerà a Belgrado e quella che dalla costa sull’Oceano Indiano dell’Africa giungerà sulla costa atlantica. Per lo sviluppo delle megalopoli occorre l’acciaio, non solo per gli edifici, ma anche per le metropolitane e la costruzione di acquedotti lunghi migliaia di chilometri.

Con uno scatto di reni collettivo potremmo disporre di uno strumento operativo idoneo per avviare un processo rigenerativo, non solo edilizio ed urbanistico della città; si darebbe una concreta risposta alla questione ambientale che grava sul nostro territorio e alleviare le inquietudini esistenziali che assillano la popolazione.

Antonio Rizzo soleva ammonire in simile ambascia che:” l’acque s’accogghie quanne chiove ma le rezzole se preparene apprime!”

Il   recente decreto presidenziale potrebbe costituire una pioggia benefica se, ancora una volta, non ci trovassimo con poche, vecchie e incapienti giare!

Nell’approntare Il Decreto, il Governo, nel preambolo, ha ritenuto la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per l’attuazione di interventi di bonifica, nonché di riqualificazione e rilancio della città e dell’area di Taranto, anche mediante la realizzazione di progetti infrastrutturali e di valorizzazione culturale e turistica”.

Più avanti prosegue: Il Comune di Taranto adotta ad integrazione del progetto presentato per il Piano nazionale delle città un Piano di interventi per il recupero, la riqualificazione e la valorizzazione della città vecchia di Taranto e lo trasmette al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine dell’acquisizione degli atti di assenso, comunque denominati, di competenza. Il Ministero, entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti, valuta la compatibilità degli interventi con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.”

Pertanto, sarà necessario procedere, con perspicacia, discernimento, piena cognizione di causa, senso della misura, gradualità e basandosi precipuamente su se stessi.

Visto come sono andate le cose sino ad oggi, con ritardi culturali, la perniciosa presenza di “portastendardo” del circolo delle certezze assolute per effettuare la palingenesi universale, mancanza di senso civico, inconcepibili distrazioni foriere di guasti indicibili, si deve mettere mano ad una rigenerazione urbana integrale e diffusa.

La città deve smettere di crescere, ora per affastellamento ora per “irraggiamento stellare”, perché così non aumenta la ricchezza pubblica (e non si asseconda nemmeno la privata), né si determina la sua funzionalità, sostenibilità e attrattività.

Il diritto all’ambiente, alla salute e alle condizioni di lavoro sempre migliori, è ormai una conquista antropologica ed è destinata ad affermarsi nel mondo: basta considerare l’accordo Cina-America sull’emissione dei gas serra del Novembre 2014 e l’agenda della prossima conferenza sul clima a Parigi.

La diffusione delle buone pratiche non avverrà negli stessi modi, nel medesimo tempo nei vari contesti geografici per ragioni socio-economiche e tecnico-industriali.

 

L’essenziale, per noi, è non segnare il passo ma mettercela tutta per non essere gli ultimi della classe!

Inoltre, va incentivata la vita di relazione, per vivere la città come “Bene Comune”, farla divenire nel suo insieme fonte di creatività individuale e collettiva; per realizzare uno stile di vita attrattivo si deve adottare un metodo di lavoro e di governo partecipato, tra il Comune ed i cittadini, per arrivare ad interventi concreti, mirati e coordinati sul territorio.

 In questo contesto si potranno prendere le giuste e tempestive decisioni per:

-       tutelare e rendere fruibili i biotopi di interesse regionale;

-       il riuso creativo e rigenerativo dei compendi civili e militari dismessi;

-       garantire la produttività d’impresa con l’innovazione radicale di processo e di prodotto dell’intero apparato industriale della città;

-       riempire i vuoti urbani con interventi di piantumazione di aree boscate da mettere, con corridoi ecologici, in connessione con la cintura di verde sviluppata intorno al Mar Piccolo;

-       intervenire con progetti di valenza urbanistica ed edilizia-architettonica per spazi e strutture d’interesse pubblico, per creare nuova centralità nei quadranti urbani periferici costruiti ai sensi della legge 167 nei quartieri di Paolo VI e Salinella;

-        collocare il nuovo ospedale all’interno della città costruita, in prossimità dello svincolo autostradale della Tangenziale Sud Abateresta;

-       sperimentare forme di gestione partecipata delle strutture culturali, dello sport di base e del verde pubblico e infrastrutture di servizio di interesse pubblico, realizzate e gestite dal privato sociale organizzato, a servizio di un Area Vasta.

Per questa ultima esigenza, nel tempo è stata proposta al Comune, da società di scopo qualificate, una richiesta per colmare una lacuna di Area Vasta.

La richiesta veniva avanzata all’Amministrazione per realizzare - su area del Demanio comunale, facente parte del Piano particolareggiato attuativo della Variante generale al Piano regolatore CEP-Salinella ed aree contermini, destinata a Parchi, giochi e sport- una pista per la guida sicura, difensiva, ecologica e per i diversamente abili, basata su standard europei con annessa stazione di rifornimento di veicoli elettrici e a metano. La struttura -di evidente interesse pubblico-  nel mentre migliorerebbe la preparazione dei conducenti, perseguirebbe anche l’obiettivo economico di ridurre il costo delle polizze assicurative e gli oneri sanitari della incidentalità stradale.

Tale struttura –capace di soddisfare le esigenze non solo della provincia di Taranto ma anche di parte delle provincie di Brindisi e Matera, dovrebbe essere predisposta per:

a)             migliorare gli assetti e le competenze professionali dei patentati;

b)             realizzare corsi di formazione professionale per conducenti di macchine operatrici industriali;

c)             allestire percorsi e mezzi idonei per le esigenze dei diversamente abili.

Altra proposta significativa in quadrante urbano diverso nel PIRP di Paolo VI affianco alla Casa di riposo delle Opere Pie Riunite V. De Cesare sarebbe la realizzazione di un impianto di tiro a segno proposto dalla società “Vivere Solidale 2000 Srl”, opera già inserita nel PIRP ed approvata dall’Amministrazione Comunale.

 Il progetto, fortemente sostenuto dal Consiglio di Quartiere, anche se è stato redatto d’intesa con il Comune, il CONI e l’UITS, si è perso nelle nebbie di un infinito quanto specioso contenzioso amministrativo.

 È una enormità il fatto che Taranto, città con una forte presenza militare, non abbia una struttura adeguata alle necessità di migliaia di operatori, visto che perfino i Vigili Urbani della nostra  città devono recarsi a Brindisi per le esercitazioni di tiro stabilite dalla legge.

È auspicabile che l’Amministrazione provinciale, alleggerita di molti compiti d’ufficio, collabori attivamente con l’Amministrazione comunale per la realizzazione di strutture di interesse pubblico a spettro comprensoriale, colmando una grave lacuna.

Taranto dovrebbe diventare un Eco-City, in cui dovranno allignare modelli di vita post-consumistici orientati, da un lato all’accesso ai beni materiali, ma con un uso parsimonioso, e, dall’altro, al recupero della pratica dell’otium romano, per meglio fruire degli spazi e dei beni comuni, comprendenti beni naturali, paesaggistici e contenitori per le attività culturali.

Per imboccare questa strada si deve stabilire con chiarezza quello che non si deve più fare e pensare e poi passare a quello che si può e si deve fare, specificando tempi e modi degli interventi ed il tutto codificato nel nuovo Piano Regolatore.

Non è concepibile che la città di punta per l’intervento delle Partecipazioni Statali del Mezzogiorno, capitale dell’acciaio, da oltre mezzo secolo, non abbia ancora provveduto a dotarsi di:

-       una sezione della Biblioteca Nazionale;

-       una sede propria per l’Archivio di Stato;

-       un Teatro di innovazione.

Purtroppo, negli ultimi decenni, se si escludono la Scuola sindacale della Cisl a Paolo Sesto, la nuova direzione dello stabilimento siderurgico dell’ILVA, la nuova Cattedrale di Giò Ponti in viale Magna Grecia, di grande valore funzionale e di segno architettonico, si è visto ben poco.

Per giunta, non sono stati sufficientemente apprezzate e rispettate in quanto:

·      la prima è stata venduta e ora vi si svolge un’attività diversa dallo scopo per cui era stata costruita; 

·      la seconda ha subito un destino peggiore perché, al momento del passaggio dello stabilimento dalle Partecipazioni Statali ad Emilio Riva, questi, non capendone la valenza, non intese acquisirlo ed oggi è rimasto in capo alla Fintecna Immobiliare srl e, separata dallo stabilimento, ricade negletta nel territorio di Statte;

·      la terza è stata soffocata dalla costruzione, a poca distanza, di enormi edifici e, con una parte delle aree alle sue spalle, ancora libere che - per il Piano Regolatore vigente – risultano edificabili; andrebbero acquisite dal Comune, in compensazione urbanistica, riconoscendo la volumetria di piano all’attuale proprietà, ma spostandola in un altro quadrante urbano su aree del Demanio Comunale, consentendo la loro sistemazione in funzione della chiesa. Così scongiureremmo, una volta per sempre, il pericolo, sempre incombente, dell’edificazione di un nuovo grattacielo, per completare l’opera.

Per raggiungere queste mete devono cambiare le coordinate dell’immaginario collettivo, l’impegno della classe dirigente e la collaborazione della cittadinanza tutta, passaggio questo, quanto mai stretto, ma necessario.

Per come, nel passato, si siano svolti gli accadimenti, su quali strategie nazionali e quali necessità e spinte local,i ora militari,  ora di sviluppo industriale, ora di necessità occupozionale - e quanto sia da attribuire a merito o a demerito delle scelte operative  Statali o dagli Enti Locali “atterrate” sul territorio e come si siano affastellate,  Le sono state già ampiamente evidenziate nella lettera documento inviataLe, il 25 Marzo 2012, da Carlo Marchese, presidente del Club il Riformista. Perciò, per il passato, come consigliava Diego Marturano: “còfənə sòttə e còfənə sùsə!”[7]

Oggi, spetta alla nostra generazione decidere su quale livello di partecipazione, condivisione, concertazione si dovrà redigere il nuovo Piano Regolatore, idoneo a superare l’attuale modello di sviluppo industriale lineare, non più sostenibile, ed avviarsi,” sullette sullette”, verso quello circolare.

Per bene cominciare, il nuovo Piano Regolatore non deve essere sovradimensionato, asimmetrico e sfilacciato come quello vigente, che risulta superato per il suo approccio culturale, disatteso in gran parte, compromesso da interventi non regolamentati, tra loro contraddittori e incongrui, fuori posto e fuori scala, punteggiato dalla presenza di infrastrutture lasciate incompiute, e non solo, per mancanza di fondi.

Per questi motivi, è necessario lavorare su previsioni demografiche attendibili, valutazione attenta dei dati statistici,  per quantità e qualità, procedere con le analisi geopolitiche globali, al fine di posizionare la città in modo da coglierne le opportunità. E’ necessario, altresì, riflettere sulle ragioni dell’instabilità politica, generata dai conflitti religiosi -su posizioni radicali- che investono tutta la sponda sud del Mediterraneo e l’attiguo Medio Oriente, tra le tre religioni monoteistiche - “le religioni del libro” -  e le loro varie ramificazioni. Analoghe dinamiche si registrano in Asia, tra Sikhismo, Induismo e Buddismo, generatori di ondate di profughi che si riversano sulle nostre coste, per poi espandersi in tutta Europa  - un’area di maggiore stabilità politica, di prosperità e in forte calo demografico. Quindi, il nuovo Piano Regolatore deve rispondere anche alle esigenze di una città multietnica e multiculturale.

Per la nostra amara realtà è una grande montagna da scalare! E quindi “Mò te vògghie, ciùcce mie, a sta nghianate”! una sfida per tutti! e, speriamo, una fatica comune da compiere secondo l’insegnamento che “non esistono situazioni del tutto vantaggiose o svantaggiose: tutto dipende da come le si osservano e con quali tensioni e forze si affrontano” (Sunzi).

Dopo aver preliminarmente separato il grano dal loglio e individuato i punti di forza per attirare interessi culturali e investimenti di capitale umano ed economici, superata la pars destruens con analisi serrate, impietose e puntuali che valutino lo stato dell’arte dell’inquinamento del suolo, sottosuolo, acqua ed aria per individuarne le cause, scegliere i rimedi più opportuni e praticabili per rimuoverle o almeno attenuarle, preferibilmente per resilienza, si programmi come separare la commistione tra aree residenziali e aree industriali.

In tal modo, diviene più agevole passare alla “pars construens”, puntando a progetti di futuro a livello micro e macro, che siano replicabili. A livello micro: cominciando la catena dei giardini etnobotanici del Vecchio di Còrico; a livello macro: la conversione del grande arsenale militare in centro di ricerca applicata, cercando di inglobare nel nuovo Piano Regolatore la cospicua eredità storicoculturale, le risorse naturali, le bellezze paesaggistiche ed il consistente patrimonio etnobotanico ed etnozoologico nella catena di valore del territorio.

Questo ci permetterebbe di intercettare e appagare l’anelito al cambiamento della gran parte della popolazione, desiderosa di vivere in una città green partecipata, inclusiva, con il culto del senso civico, necessario per il radicamento del senso del bene comune e dell’etica pubblica.

Vanno rimosse le cause materiali ed immateriali di tutto quello che sconcerta, scoraggia, indigna la cittadinanza e genera ora ribellismo ora nichilismo, ma quasi mai decisioni ponderate e risolutive.

 Se si continuerà, more solito, nonostante le geremiadi, le grida, gli strepiti e le millantate soluzioni miracolistiche, non riusciremo a cavare il ragno dal buco: invece, occorre cambiare spartito, orchestra e direttore, pensare a comportamenti e soluzioni in alterità.

 In questa logica dobbiamo individuare le ragioni del perché:

1.    la stazione merci di Nasisi, di proprietà di Treni Cargo Italia S.p.a., sia poco utilizzata;

2.    la ferrovia della Circummarpiccolo, un tracciato di grande pregio panoramico, non venga ripristinata come metropolitana di superficie, per una migliore mobilità della città di Taranto e San Giorgio, un’idea vecchia quanto il cucco che stenta a materializzarsi;

3.    il bioparco del Galeso, un ameno polmone di verde di 50 ettari, debba essere tanto propagandato e agognato, ma restare l’eterno incompiuto;

4.    il Parco delle Rimembranze sulla riva del Primo Seno del Mar Piccolo debba languire in semi-abbandono;  

il Parco del Tratturello Tarantino, una volta progettato e viene lasciato dormiente nell’archivio edilziocomunale, parte integrante del Piano Produttivo Comunale allo svincolo Taccone;          

5.    la ex batteria Militare del Galeso, passata dal Demanio Militare a quello comunale, ristrutturata come centro di educazione ambientale, or sono un decennio, non è mai entrata in funzione, nonostante le sollecitazioni del WWF Taranto e di Italia Nostra;

6.    non debba trovare collocazione la nuova struttura ospedaliera nel compendio di logistica militare dismesso, di 12 ettari di estensione, posizionato in un quadrante urbano della città consolidata e ben collegato con lo svincolo autostradale abbate Resta, invece di posizionarla in piena campagna in contrada La Cicoria.

Allo stesso modo, non ci possiamo capacitare della presenza di veri e propri ascessi edilizi, edifici iniziati e non finiti, spesso collocati o nelle strade d’ingresso alla città o adiacenti a luoghi di intensa frequentazione, che non è proprio un bel guardare quali:

1.     l’oleificio Costa e il cementificio dello Jonio ammantati d’amianto, sulla litoranea 106 Taranto-Reggio Calabria;

2.    nel quartiere Salinella, a fianco allo stadio Jacovone, in via Lago di Como, da oltre un trentennio, fa bella mostra di sé lo spiccato in cemento armato dell’edificio per la nuova sede del liceo artistico[8];

3.    allo svincolo Abate Resta della Tangenziale Sud, in costruzione, spicca una struttura di logistica militare in disuso, un vuoto urbano di dodici ettari, prospiciente Taranto Due – già servita da tutte le reti dei servizi urbani -, inserita nell’ elenco dei beni demaniali della marina militare alienabili, che, per lo spazio di un mattino, fu indicato come sito idoneo per  collocare la  nuova struttura ospedaliera – al servizio della città e della vicina base navale – ma che invece, per “l’uzzolo” di qualche scapestrato, si è pensato di sbatterlo in piena campagna, nella ubertosa contrada La Cicoria;

4.    sulla strada Taranto-Martina l’ex macello comunale all’ingresso del rione Tamburi, edificio da anni dismesso nonostante sia stato oggetto di un ottimo progetto di restauro conservativo e riuso già nel 1996, con sigla P.P.U. ’96-Ta2 (Urban Pilot Projects 1994-1999), intitolato Affaccio costiero sul Mar Piccolo - redatto dall’arch. Vincenzo De Palma, dall’arch. Mario Romandini, dall’arch. Angelo Catapano, dal Perito Industriale Gianfranco Sperti, con la consulenza di esperti esterni: l’arch. Claudio Adamo e l’arch. Francesco D’Elia. Il progetto di ristrutturazione e riuso era finalizzato alla creazione di un Polo Informatico Urbano per la programmazione, pianificazione e gestione degli interventi di riqualificazione territoriale:  un vero peccato che non sia andato a compimento visto la utilità per la città.

Quello che è del tutto “incomprensibile”, quanto intollerabile per la sua assurdità e “oscenità amministrativa”, perché nel contempo, ci sconforta, angoscia e umilia, è l’arcano del come,  perché e per chi, da oltre un trentennio,  si siano fermati i lavori – pur essendoci, al tempo, i finanziamenti dalla Cassa per il Mezzogiorno -  del tronco della Tangenziale Nord di Taranto con tracciato dallo svincolo Taccone, sulla strada statale Taranto –Martina Franca, comune di Statte, aggiramento dell’area industriale ed uscita sulla S.S. 100  Taranto- Bari, all’altezza della masseria Gravinola Vecchia, al confine tra il territorio di Massafra e quello di Statte.

Tronco autostradale necessario per il completamento della grande e tanto propagandata arteria interregionale la Bradanico- Salentina da Nardò a Candela,  indispensabile per l’affrancamento dei cittadini di Taranto e della zona orientale  della Provincia dall’attraversamento dell’area industriale, per tutta la sua lunghezza, per raggiungere il capoluogo regionale - una vera enormità, una sorta di  “forche caudine tarantine” - che non sono riusciti ad eliminare sia il Comune di Taranto sia l’Amministrazione Provinciale e che, oggi, si trova scaricata sulle gracili spalle del Comune di Statte, che è il primo ad esserne danneggiato,  lasciandolo imbottigliato.

Per questo motivo, opportunamente, il tracciato è stato confermato dal Comune di Statte nel proprio Piano Regolatore ed   attualmente è all’esame della Regione.

Per procedere nella fatica di separare il grano dal loglio e cambiare verso, occorre, visto il magro risultato dell’operato di organismi consortili di scopo, provvedere alla trasformazione dell’ASI – organismo che sin dalla sua costituzione, ininterrottamente, ha svolto un ruolo meramente ancillare a sostegno delle strategie e del comodo della grande industria pubblica e privata, nonché provvedere all’ apertura del capitale azionario delle società Distripark spa ed Agromed spa, con allargamento   ad operatori  con interessi nella filiera della logistica e ruolo globale: una strada, questa,  obbligata per rilanciare le due società..

Questa “scabrose” ma necessaria operazioni sono di ausilio nel ricomporre un quadro sociale di riferimento coeso, “alleggerito” e motivato, indispensabile alla città per ritrovare tutto il senso di sé.

Frugando nelle nostre radici storico-culturali e attingendo all’esperienza di cento anni di industrializzazione, potremmo meglio individuare gli obiettivi prioritari da traguardare in un orizzonte comunemente condiviso.

 

Un’altra difficoltà da considerare è la presenza di edilizia non regolamentata di ogni tipo e sparsa per ogni dove, facendo di Taranto, in proporzione agli abitanti residenti, la città con la percentuale di edilizia spontanea più alta d’Italia.

Per superare fatti urbanistici tanto incongruenti quanto disturbanti si dovrà adottare un diverso approccio con l’ambiente, in considerazione del risparmio del suolo agricolo e dell’acqua, del risparmio energetico, dell’abbattimento dei gas serra per far fronte al riscaldamento climatico. La salvaguardia della biodiversità è una vera e propria emergenza: in un secolo il 50% delle specie marine si sono estinte, causa l’antropizzazione sfrenata e l’uso sconsiderato delle risorse ittiche -.     

Un segno di vitalità, di cambiamento di passo e di ritrovata sensibilità ambientale e volontà sociale l’iniziativa avviata dalla rete “aperta” di scuole statali dell’arco Jonico denominata: “La Nuova Magna Grecia,”, costituita al fine di recepire le sollecitazione del Protocollo d’Intesa sottoscritto tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ed EXPO 2015 S.p.A. in accordo con il Padiglione Italia.

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Se vogliamo fare un buon lavoro, non è più tempo per “le chiange chiange”,  le zizzanuse ma è solo il tempo pè l’uemmne mbarate, de cocchere, de ciappe e, apprìm’apprìme, l’uemmene de core!

La fruizione deve essere tanto appagante quanto esperienziale! Così i Parchi Naturali Nazionali e Regionali, le nostre aree agricole ubertose, la cui messa a colture risale alla riforma agraria di Archita o alle centuriazioni romane, i nostri giardini etnobotanici della catena del Vecchio di Còrico arricchiscono la catena di valore del territorio e perciò dovranno essere percepite come le cose più preziose da difendere, con le unghie e con i denti, se necessario contro tutti e tutto, per noi e le future generazioni.   L’occasione propizia per leggere e raccontare la memoria in uno con il nostro tempo e con le sue ombre e le sue luci!

Perciò, sarebbe d’uopo:

·      evitare lo sciupio del suolo agricolo e ridurre, il più possibile, inutili quanto dispendiosi interventi smisurati di superfici impermeabilizzate con stradoni fuori scala – una viabilità faraonica già censurata dalla Regione in occasione dell’approvazione della vigente variante generale al Piano Regolatore;

·      considerare meglio gli aspetti strutturali geologici e idrogeologici, prevedere precise misure per la mitigazione e gestione dei rischi naturali ed antropici e mettere in essere strategie adattive e di resilienza, incoraggiati da quanto accade nel secondo seno del Mar Piccolo con la ricomparsa massiva dei cavallucci marini – animali di riferimento per la qualità delle acque -, grazie anche all’azione feconda della zona protetta gestita dal WWF Taranto;

·      pianificare la sistemazione dei compendi industriali civili e militari dismessi, con prescrizioni cogenti nei modi e nei tempi, per un uso razionale e contenuto del suolo, con diverse ipotesi di recupero, con il riuso dell’immobile e rinaturalizzazione delle aree libere, con inserimento nel sistema urbano, a completamento di standard urbanistici per strutture di nuova centralità o di ampliamento della rete infrastrutturale del verde e dell’impiantistica sportiva di base;

·      ricucire, attraverso il potenziamento e il raccordo con corridoi ecologici del verde, delle aree sfilacciate destinate a servizi -ma che risultano essere solo  disegnate sulla carta- intorno ai comprensori di edilizia economica e popolare.

 In questa logica è opportuna la valorizzazione, attraverso ristrutturazione e riuso, delle antiche masserie collocate in area urbana e preurbana adibendole ad attrattive strutture agrituristiche, con annessi giardini etnobotanici fruttiferi a gestione partecipata - da ampliare ed arricchire con varietà colturali autoctone -, espressione di autenticità, socialità e riconoscibilità, fruibili dalla cittadinanza ed elemento di richiamo per il turismo esperienziale, quali:

1)   la Masseria “La Mutata”, all’ingresso della città nel rione Tamburi sulla strada Taranto-Martina Franca, vicinioria alla stazione ferroviaria di testa delle ferrovie regionali Sud-Est, inserita in un uliveto secolare di due ettari affacciato sul Mar Piccolo all’altezza della presa d’acqua dell’idrovora Ilva, di proprietà delle Opere Pie Riunite S. Zuccaretti e V. De Cesare, un tratto indubbiamente suggestivo dell’ipotizzato Lungomare pedonale terrazzato;

2)   la Masseria “Massarotti”, sulla Vicinale della Salinella, casa padronale, cappella, trappeto, ampie stalle voltate e giardino con esemplari di cultivar autoctoni di alberi di pero, albicocco e susino;

3)   la Masseria “Il Pilone”, sulla strada vicinale del Trullo all’interno del Piano attuativo in perequazione urbanistica  “La Salinella ed aree contigue”, per la quale il restauro conservativo e il riuso devono considerare i riferimenti storico-culturali  collegati all’antica  struttura che ha preso il nome dall’antico abbeveratoio pubblico posto all’esterno , al limite di via del Trullo. Questa Masseria per secoli è stata percorsa da carovane di bestie da soma per il trasporto del sale dalla Salina Grande al Porto di Taranto:  attività lucrosa assegnata ai tempi di Re Manfredi al potente Monastero Italo-Greco di San Vito del Pizzo, e successivamente  trasferita direttamente all’Università di Taranto, e da questa mantenuta per secoli;

4)   la Masseria “Torre Rossa”, antica masseria armentizia, ristrutturata per un moderno agriturismo esperienziale sulla enogastronomia della civiltà della transumanza e con maneggio con cavalli. Un luogo prezioso per godere del paesaggio del territorio, percorrendo gli antichi tracciati stradali che consentono di visitare la rete delle grandi masserie, in parte recuperate, intorno al Mar Piccolo, con tappa fondamentale al Parco Regionale Palude La Vela. La Masseria, posizionata sulla parte finale della Gravina Torre Rossa, sul secondo seno del Mar Piccolo, è dotata di una piccola sala ricevimento ed è impegnata nella produzione di uova, formaggio,

5)   la Masseria “Il Mucchio” collocata lungo la via Appia di fronte alla vecchia direzione dello stabilimento ILVA spa;

6)    la Masseria “San Pietro”;

7)    la Masseria “San Giovanni”;

8)   la Gualchiera dei Battendieri;

9)   la Masseria “Le Lamie”, antica masseria armentizia, ubicata intorno al secondo seno del Mar Piccolo composta da casa padronale, stalle, trappeto, jazzo completo di camino per la lavorazione del latte e di locale per la stagionatura del formaggio e con un oliveto attiguo di 12 ettari con patriarchi vegetali di 500 anni, nonché numerosi siti di interesse archeologico a datare dal Neolitico e poi dal periodo greco, romano, bizantino,  interessata da un tratto della via Appia che  conduceva a Carosino passando a nord del Mar Piccolo,

10)             il Casino Colella in contrada San Donato,[9] nell’agro orientale di Taranto. Collocato sull'asse stradale Talsano-Faggiano, contornata da una piantata di ulivi secolari, la Masseria si presenta con l'abitazione padronale “palazzata”, a “corte chiusa”, con   impianto per la lavorazione delle uve e per la conservazione del vino. La cappella con una graziosa facciata barocca è inserita nel corpo di fabbrica padronale ed accessibile anche dall'esterno -. La parte meno vistosa ma più interessante sono le ampie e complesse strutture ipogee (locali per la raccolta delle acque meteoriche, cisterne per la conservazione del vino, pozzi interconnessi con camminamenti ipogei). Nell’annesso giardino insistono patriarchi vegetali di cultivar di albicocco, di arancio, di limone, di mirto tarantino, di olivo, di susino, di pero, di melo, di albicocco, di fico, di bergamotto, di corbezzolo, di giuggiolo e di alloro.

 

E’ di per sé evidente che debba essere quanto meno doveroso tutelare e valorizzare questi beni, in ossequio alle indicazioni del decreto-legge sul Piano nazionale della città del 22/06/2012.

Il nuovo Piano Regolatore dovrà essere costituito da una parte strutturale ed una operativa, per tutto il territorio, che normi in modo differenziato,  per poter  intervenire nei diversi quadranti urbani:

- la Città Vecchia, il Borgo e l’Arsenale;

  - la città consolidata, con conformazione è già avvenuta come comprensori di edilizia economica e   

    popolare e piani di lottizzazione convenzionata;

  - le are sfilacciate interessate dalla edilizia non regolamentata.

 

Nella città consolidata si deve tendere ad un piano per la realizzazione di una Smart city: parcheggi interrati, stazioni di ricarica per le batterie per i mezzi di trasporto elettrici o per l’erogazione dell’idrogeno, necessari  per abbattere l’emissione CO2 e gli altri gas serra .

Per l’introduzione delle merci, invece, diventa  necessario realizzare due piattaforme logistiche minori, una ad Occidente e l’altra ad Oriente della città, in prossimità degli svincoli di accesso alle Tangenziali Sud e Nord, per il trasbordo delle merci da e per il centro urbano.

 Oggi per avviare un concreto ed efficace processo di riordino e di corretto uso del territorio ci viene in aiuto la perequazione/compensazione urbanistica che rimette al centro del governo del territorio l’Amministrazione Comunale: si tratta di uno strumento efficace da applicare a tutte le aree oggetto di trasformazione urbanistica.

Per gli interventi nei complessi dismessi, gli indici perequativi territoriali, le compensazioni ed eventuali premialità incentivanti da riconoscere ai proprietari, devono essere proporzionati alle opere da realizzare e alla bonifica e naturalizzazione della intera area di pertinenza ed all’interesse sociale.

 Se ciò andasse in porto senza ulteriori tentennamenti e “ripensamenti”, si potrebbe mettere la città nelle condizioni di poter ripensare, tonificare e gestire il già costruito, collegandolo, in sinergia, alla nuova, limitata, mirata e controllata espansione urbanistica.

Ciò significherebbe, per i  tarantini, alzare la testa tutti insieme, rimboccarsi le maniche, concorrendo in prima persona al bene comune, tenendo a mente il proverbio “chi fa da sé fa per tre”, che –solitamente- vale quando si tratta di interessi individuali ma non quando si tratta di quelli collettivi e, soprattutto, quando trattasi della fruizione dello spazio pubblico sia nel Centro Storico che nei quartieri periferici. Oggi, il principio perequativo\compensativo permetterebbe all’Amministrazione Comunale di promuovere e accompagnare l’iniziativa privata e, nel contempo, salvaguardare gli interessi generali e diffusi.

 Infatti, partendo dalle situazioni di fatto e di diritto degli immobili e delle aree di pertinenza, sollecitando il coinvolgimento degli attori interessati, conciliando e regolando gli interessi plurimi coinvolti si può intervenire per:

-       regolare e contenere la rendita fondiaria, in una logica di equità;

-       evitare che nelle procedure di esproprio per pubblica utilità si ricorra alla Giustizia Amministrativa che, in alcuni casi, ha tempi più lunghi dello stesso mandato amministrativo della Giunta in carica e, spesso, con esito imprevedibile;

-       procedere con uno strumento giuridico adatto per definire alcuni rapporti sia con l’istituto di diritto pubblico dell’accordo e della convenzione, sia con l’istituto di diritto privato del contratto;

-       spostare la volumetria di edifici per civili abitazioni, attività produttive e per servizi, da un quadrante urbano all’altro in una logica di riequilibrio complessivo della città per motivi ambientali, paesaggistici e storico-culturali e di mobilità.

Con queste procedure è più agevole cogliere le interconnessioni e le sinergie tra i quadranti urbani oggetto di riqualificazione - centri storici e periferie - dove le volumetrie dei fabbricati degradati da demolire per la pubblica e privata incolumità, da anni dismessi, previa cessione dell’area di sedime degli immobili demoliti al Comune, potrebbero essere trasferite su aree già nella disponibilità dell’Amministrazione Comunale nei piani particolareggiati di frangia, comprese quelle dei privati cedute in perequazione urbanistica.

Alcune aree delle città consolidata, nella disponibilità del nostro Comune , in altre città, sono state cedute -in base alla legge Tognoli-bis- ai gruppi di residenti dei centri storici, organizzatisi in società cooperative di scopo per la realizzazione di parcheggi interrati di pertinenza agli alloggi, destinando la superficie di calpestio a parcheggi a rotazione d’uso pubblico.

 

Mal si concilia l’impegno corale, a parole, di salvaguardare e rivitalizzare la Città Vecchia con lo stato di abbandono in cui versano i moli galleggianti collocati lungo il fronte della Marina di via Garibaldi, dove molte tavole sono sconnesse e/o divelte e molti bracci snodati di ancoraggio della  banchina, risultano, inopinatamente, sganciati correndo il rischio che, alla prima mareggiata, il tutto si sfasci.

Se si vuole invertire la rotta bisogna agire con sollecitudine, altrimenti tutto potrebbe andare in malora, nonostante il vociare delle solite “anime belle” che, a parole, indicano come obiettivo prioritario la riqualificazione del Borgo e della Città Vecchia senza domandarsi sulle ragioni per cui circa il 50% dei locali del centro commerciale e direzionale della città dei Due Mari (il Borgo), un tempo orgoglio e vanto della città, quando affluiva una clientela da un ampio bacino, sono serrati. Tantomeno ci indicano da dove partire, in che modo, con quali progetti praticabili, con quale organicità e sostenibilità.

Nel caso della cessione al Comune di edifici compresi nel centro storico o in area oggetto di recupero dovrebbe essere riconosciuta l’intera volumetria da spostare nei  piani esecutivi di Nuova Centralità Urbana del nuovo piano urbanistico attuativo in aree che sono nella disponibilità del demanio comunale ai quartieri di Paolo Sesto e Salinella.

Uno dei problemi annosi è quello di arrestare il degrado e l’abbandono della Città Vecchia.

Nonostante gli sforzi i tentativi di venirne a capo, ad oggi, nel suo perimetro, se si esclude Piazza Castello, pochi sono i casi di restauro da parte dei privati e gli interventi pubblici risultano spesso incoerenti con il Piano di Restauro Conservativo ed inefficaci per l’inclusione sociale.

 Nell’insieme si salvano l’ex Caserma Rossarol, già Convento S. Francesco, ora destinata a sede universitaria che, pur comportando un’intensa frequentazione di giovani non ha risolto il problema della sosta,  il palazzo Pantaleo, il palazzo Latagliata, il palazzo Amati, la torre dell’orologio, il Palazzo di Città.

Altri edifici purtroppo sono stati lasciati a metà dell’opera, come nei casi eclatanti:

-       del convento San Michele, di proprietà dell’Amministrazione provinciale, restaurato a piano terra e primo piano e adibito a sede del Liceo musicale Giovanni Paisiello, mentre il secondo piano è a disposizione di colonie di piccioni e caccole. Tuttavia, sembra che l’Amministrazione Provinciale, dopo la sua ristrutturazione, abbia messo in agenda un radicale ed organico intervento per proseguire nell’opera di restauro e di uso a favore del liceo intestato ad uno dei tarantini più illustri e compositore più rappresentativo del Secolo dei Lumi;

-       del Tartarugaio, appartenente al demanio comunale: una palazzina destinata a baluardo per la difesa di una specie marina in pericolo di estinzione, la tartaruga Caretta Caretta. Da tempo, però, sono stati sospesi i lavori dall’Autorità Giudiziaria per vizi delle procedure amministrative e per sottovalutazione, da parte di tutti i soggetti coinvolti, dell’impatto paesaggistico-urbanistico. Considerato che l’attore principe in questo caso è il Comune, cioè tutta la cittadinanza, e che è, nel punto in cui è collocato, giornalmente sotto gli occhi di tutti, buon senso vorrebbe che, riconosciuto l’errore per “svista” grave di più attori, , si completasse l’opera con un intervento creativo, quale  azione riparatrice collettiva. In tal modo, l’edificio - inopinatamente progettato e costruito di fianco al porto turistico sul Lungomare Vittorio Emanuele- potrebbe essere dissequestrato, completato e ricucito col tessuto urbano e ricongiungersi con l’anima profonda della Città Vecchia. Si genererebbe così un fecondo rapporto biunivoco tra il nuovo edificio e l’Isola, tramite un ponticello, non solo fisico ma anche ideale, tra il marciapiede della ringhiera con il terrazzo belvedere della palazzina: un affaccio per osservare la forza della natura che si sprigiona dall’Anello di San Cataldo – l’unico citro del Mar Grande.

 Per dare spessore all’intervento, il WWF in uno con la Coop. Culturale Punto Zero, propone di avvalersi dell’opera feconda di due maestri dell’arte contemporanea Raffaele Bova e Aldo Pupino.

L’ipotesi progettuale prevederebbe la sistemazione di sei opere progettate da Raffaele Bova “Omaggio ai citri del Mar Piccolo e del Mar Grande” in formato 2,40 x 2.40 mt da realizzarsi o in marmo mischio o in ceramica serigrafata, policroma e cotta al terzo fuoco.

 Le opere restituiscono in modo efficace i citri del Mar Piccolo: il citrə d’u jumə d’u Galesə, citrə braccəfortə, citrə də ciambə, citrə cascionə, citrə d’u curnlecchiə, citrə ajeddə, e l’Anello di San Cataldo a Mar Grande, ipotesi avanzata da Cosimo Dellisanti, socio del WWF Taranto, di recente laureatosi a pieni voti con la tesi “Il Galesus Piscator di Tommaso Niccolo D’Aquino”.

Il Maestro Raffaele Bova ha approfondito il fenomeno naturale nel 1987 durante un suo soggiorno a Taranto, che ha dato i suoi frutti con la riproduzione in tutta la loro potenza e bellezza del fenomeno dei citri. Le opere colgono in modo magistrale l’effetto del mescolamento dell’acqua dolce sgorgata dal citro con quella salata, determinando nei gorghi diverse tonalità dell’azzurro dell’acqua.

Operazione che, sussumendo l’anima segreta dei mari di Taranto, attraverso l’opera del Maestro, in visione permanente sul terrazzo, potrebbe sanare la dicotomia tra l’opera realizzata e la Città Vecchia.

Le opere, che erano state progettate per la collana di multipli ceramici al terzo fuoco “Gli Ori di Taranto” edita dalla cooperativa Punto Zero e diretta da Franco Sossi ed Arturo Tuzzi e oggi, messi a disposizione dalla Cooperativa culturale “Punto Zero,” ci vengono in soccorso per riparare ad un errore urbanistico. Questo è possibile poiché le opere sono state progettate per essere realizzate in ceramica al terzo fuoco o in marmo mischio e perciò idonee per essere inserite nel pavimento del terrazzo belvedere del tartarugaio.

Le sei opere riferite ai citri verrebbero sistemate, come in un libro aperto, nel pavimento del terrazzo del Tartarugaio.

 Qui le opere di Raffaele Bova sprigionerebbero tutta la loro valenza culturale e potrebbero aiutarci a riconciliarci con la natura e il paesaggio, la storia e l’anima segreta della Città Vecchia con una moderna opera d’arte riparatrice. Un omaggio doveroso al citro di Mar Grande: l’Anello di San Cataldo, il nome del nostro Patrono.

Il terrazzo belvedere così sistemato e completato verrebbe congiunto alla Città vecchia attraverso un ponticello fisico e ideale con il Mar Grande.

 Sarebbero così ricomposte le maglie di un vissuto storico che nei millenni, spesso per necessità di difesa, ha visto  realizzate delle opere incongrue, poi demolite, di cui oggi non si sente alcun bisogno.

 A coronamento delle opere di Bova, la ringhiera-balaustra in acciaio inossidabile sagomato e traforato da uno dei più fecondi e versatili artisti tarantini, Aldo Pupino.

 L’opera sarebbe ispirata dalla fauna e flora marina, le sagome ritagliate dalle lastre di acciaio INOX della ringhiera, sarebbero sistemate sulle pareti in carparo della palazzina, creando un  gioco di ombre e luci tra la leggerezza dei vuoti delle lastre della ringhiera del terrazzo belvedere con il pieno delle sagome ritagliate dalle lastre d’acciaio sistemate sulle pareti in carparo dell’edificio.

Inoltre, per dare forza e coerenza alla rivitalizzazione della Città Vecchia non ci possiamo prendere il lusso di lasciare ancora non fruibili dalla collettività gli ampi locali collocati sula sponda orientale del Canale Navigabile appartenenti al demanio militare, con comodo accesso dalla rampa Leonardo da Vinci.

Trattasi di locali voltati di pregio, estesi per circa 800 mq e, per la loro ubicazione, per la qualità costruttiva, per la disponibilità  della attigua area- parcheggi di pertinenza (4 autobus granturismo), se opportunamente ristrutturati e modernamente attrezzati, sarebbero quanto mai preziosi per lo svolgimento delle attività culturali che contribuirebbero a rivitalizzare la Città Vecchia ed il Borgo.

 Altresì la struttura sarebbe idonea ad ospitare mostre, attività culturali e convegni aventi ad oggetto anche le esperienze virtuose di rigenerazione urbana e rivitalizzazione sociale realizzate da altre città europee e della sponda nord dell’Africa.

Questi, se resi fruibili, permetterebbero ai frequentatori di godere dello spettacolo naturalistico del flusso di marea nel Canale: di Chioma e di Serra.  Va considerato, inoltre, che gli ampi locali sono prospicienti una sponda del Canale Navigabile, dove, insieme a tanta acqua, è passata una parte importante della storia urbanistica e militare e civile e religiosa della città dei Due Mari.

Invero, sul sito, storicamente fu eretto dai greci il primo baluardo di difesa, successivamente rimodellato a Castello Svevo ed ampliato e ristrutturato dagli Aragonesi sul progetto del senese Di Giorgio Martino. La fortificazione, volta per volta, cambiò carattere ed aspetto in base all’evoluzione dell’architettura militare, allo sviluppo delle armi da fuoco, alle tecniche di difesa ed alle vicende geopolitiche, che man mano coinvolsero la città.

Tutto questo è stato oggetto del recente saggio scritto a più mani “Il Castello Aragonese di Taranto in 3 D nell’evoluzione del paesaggio naturale”.

Il lavoro è corredato dall’elaborazione tridimensionale del Castello, che facilita la lettura e la comprensione delle fasi storiche succedutesi, dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, dopo l’Unità d’Italia, alla istituzione della base navale, dall’allargamento e approfondimento del fosso alla creazione del canale navigabile, sino alla costruzione del ponte girevole tra le due sponde del canale, progettato e costruito in ferro con la medesima tecnica costruttiva della torre Eiffel, in sostituzione dei due ponti in muratura preesistenti.

 L’apertura del ponte avveniva dividendolo in due bracci, per mezzo di un’ingegnosa macchina idraulica. Una manovra spettacolare che da subito costituì una grande attrazione che, con il tempo, è divenuto il simbolo moderno della città.

Quando sarà definito il nuovo Piano Regolatore a nessuno deve più essere consentito, disinvoltamente e impunemente di calpestare il campo di grano comune per raccogliere “nu paparine sule p’jdde” (un rosolaccio solo per sé)

 Il rispetto dell’ambiente, il sapiente uso delle risorse naturali, la creazione e la degustazione del buon cibo   è avvenuto nel passato e ci aiuterà a ripercorrere la nostra memoria storica e a ritrovare l’orgoglio di appartenenza al nostro territorio: la Magna Grecia, dove si è diffusa ed è fiorita la cultura della buona tavola e le regole per un vitto salutifero.

 La Cina è un grande mercato di sbocco dei nostri prodotti, e la Puglia ha tutte le carte in regola, per la qualità e la quantità dei prodotti, per cogliere le opportunità offerte dal mercato Cinese:  nei prossimi anni si stima che vi sarà una propensione sempre maggiore da parte dei consumatori cinesi a importare beni italiani di qualità appartenenti a diversi settori (agroalimentare, tessile, calzaturiero, abbigliamento, automobilistico, architettura, meccanica).

 Il riordino della nostra città  deve essere strettamente correlato con la messa a valore del suo territorio, posizionato nel Golfo di Taranto, che da millenni individua una delle aree della Terra in cui, ininterrottamente e in modo straordinario e diffuso, si è sviluppata la civiltà del vino e dell’olio, alla base della cultura del simposio.

Ancora oggi in molte contrade si pratica l’agricoltura biologica con produzioni agroalimentari di qualità che rendono l’offerta turistica attrattiva e competitiva.  .

Perciò i tarantini, all’unisono, dovrebbero sollecitare l’Amministrazione Comunale a:

-       stare “col fiato addosso” agli apparati della Pubblica Amministrazione al fine di stimolarne la rivisitazione, con adeguate e specifiche competenze tecniche;

-        istituire corsi di Lingua e Letteratura Araba, Russa e Cinese Mandarino, di durata triennale o quadriennale, aperti alla frequentazione degli studenti iscritti alle Facoltà presenti sul territorio e da inserire nei vari corsi come materie complementari, per un nuovo modello razionale ed efficiente oltre alla redazione di un Piano sostenibile per rientrare nell’agone globale e recuperare il tempo perduto.

Questa necessità è stata colta dal progetto Nihao Puliya, proposto da Laura Anania e Tommaso Portacci, vincitori del concorso Principi Attivi 2012 della Regione Puglia. L’idea progettuale fa riferimento alla realizzazione del primo portale web creato da pugliesi in lingua Cinese e pensato per avvicinare la Puglia alla Cina, che offrirà informazioni turistiche, culturali ed economiche sulla Puglia (al fine di rafforzare l’attrattività del brand Puglia per potenziali turisti/imprenditori/studenti asiatici. ).

Le nuove generazioni cinesi hanno preso piena consapevolezza del ruolo guida della Cina negli assetti socio-economici mondiali e sono pertanto desiderosi di conoscere in modo approfondito e diretto la vita e la cultura degli altri popoli, tra cui l’Italia. La Puglia e il Golfo di Taranto hanno al loro interno beni storico-culturali (concentrati nei Centri Storici), paessaggistico-ambientali (rappresentati da campagne ubertose, sapientemente antropizzate, masserie, trulli, gualchiere, grancie, trappeti ipogei) ed enogastronomici, già in parte ristrutturati ed attrezzati per una agriturismo di qualità.

Ciò comporta la necessità della presenza organica di funzionari con una buona conoscenza di cultura e lingua mandarino all’interno di alcune postazioni amministrative quali Autorità Portuale, Camera di Commercio, Amministrazione Comunale.

Circostanza emersa in occasione della conferenza Taranto area industriale: risorsa nazionale ed europea per la competizione globale-Radiografia di un territorio: ombre e luci, tenutasi in data 1 dicembre 2012 alle ore 09.30 presso la Sala Resta della Camera di Commercio di Taranto.

 Alla conferenza, organizzata dal Club Il Riformista, presieduto da Carlo Marchese, hanno partecipato: Francesco Sisci, editorialista del Sole 24 ore ed esperto di politiche orientali, Fabrizio Marotta, capo redattore della rivista di geopolitica Limes, Carlo Marroni, già direttore dell’agenzia Sole 24 ore Radiocor, Sergio Prete, Presidente dell’Autorità Portuale di Taranto, Luigi Sportelli,

Il porto di Taranto e l’aeroporto di Grottaglie potrebbero essere il fulcro della piattaforma territoriale e logistica collegata, per via autostradale e ferroviaria, al Tirreno, allo Jonio e all’Adriatico e caposaldo italiano del sistema delle Autostrade del Mare, a supporto del corridoio intereuropeo 5, costituendo una grande piattaforma logistica protesa nel Mediterraneo.

Il destino del grande Aeroporto di Grottaglie è legato sia allo sviluppo del Porto, che alle interconnessioni che questo saprà realizzare con i vicini porti dell’Adriatico (Bari e Brindisi) e con i porti del Tirreno (Gioia Tauro e Salerno).

 L’aeroporto “M..Arlotta” di Grottaglie è classificato nella categoria 3 ICAO per il servizio antincendio, vanta la pista d’atterraggio più lunga del Sud Italia con i suoi 3.200 metri di lunghezza e 45 metri di larghezza, ed è anche ben collegato alla grande viabilità interregionale:  una struttura di tutto rispetto per dimensioni e funzionalità a servizio della filiera della logistica del Mezzogiorno.

 Nell’evoluzione naturale delle specie, spesso, a sopravvivere non sono quelle più grandi o più forti, ma quelle che hanno maggior capacità di adattamento e sono in grado di modificare a proprio vantaggio l’habitat che le circonda; mentre per le Nazioni, invece, vincono quelle che hanno maggiore, creatività, pensiero lungimirante e capacità di valutazioni geopolitiche.

 Perciò va incoraggiata la Cina ad inserire, oltre al porto del Pireo, anche il porto di Taranto nella “Collana delle Perle”.

  Giusta e propizia l’attenzione del Governo che nel recente decreto così recita:

“Il CIS Taranto è sottoscritto dai soggetti che compongono il Tavolo istituzionale permanente per l’Area di Taranto, istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri presso la struttura di missione “Aquila-Taranto-POIN Attrattori” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il Tavolo istituzionale ha il compito di coordinare e concertare tutte le azioni in essere nonché definire strategie comuni utili allo sviluppo compatibile e sostenibile del territorio ed è presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed composto da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, della difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché da un rappresentante della Regione Puglia, della Provincia di Taranto, del Comune di Taranto e dei Comuni ricadenti nella predetta area, dell’Autorità Portuale di Taranto, del Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto e del Commissario straordinario del Porto di Taranto, dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Il Tavolo istituzionale assorbe le funzioni di tutti i tavoli tecnici comunque denominati su Taranto istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di quelli costituiti presso le amministrazioni centrali, regionali e locali.”

È dovere della Municipalità, in sintonia con gli obiettivi nazionali ed europei, coagulare le realtà produttive, promuovere le opportune alleanze internazionali per ammodernare e rilanciare la grande industria e per fare della piattaforma logistica interregionale Jonio-Adriatico-Tirreno il nodo principale della rete logistica del Mezzogiorno e prima porta dell’Asia in Europa e, con la conversione dell’Arsenale Militare in Parco Scentifico Tecnologico e Fabbrica Culturale, contribuire alla rinascita della Città Vecchia e alla rivitalizzazione del  Borgo come Nodo Turistico di eccellenza  a servizio del Distretto Turistico del Golfo di Taranto (Puglia, Lucania e Calabria).

Tutti gli interventi sul territorio devono essere inseriti, in tempi certi e ordinati per una facile lettura e comprensione, nell’Agenda Digitale del sistema Città.

Sarebbe opportuno procedere tenendo in debito conto tutti gli Studi più recenti relativi alla nostra Città ed all’intero territorio jonico.

In questa sede, si segnala, a livello emblematico, la recentissima Tesi discussa dalla Laureanda Rossella Ranito presso il Corso di Laurea in Ingneria Edile - Architettura del Politecnico di Bari, Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura (DICAR).

La Tesi ha il titolo –particolarmente significativo- di seguito riportato:

Taranto: dal territorio della Magna Grecia alla Città dell’Ilva.

Dalla Città Ottocentesca al Mare attraverso i Giardini del Peripato

Al fine di non vanificare il tutto occorre il potenziamento degli apparati della Pubblica Amministrazione con specifiche competenze tecniche – con biologi, geologi e sociologi inseriti per pubblico concorso nella pianta organica - in sinergia con il progetto di organizzazione approntato dal Governo per un nuovo modello razionale ed efficiente, a partire dal riordino delle Province e dal necessario disboscamento di quelle, tanto dispendiose quanto inefficienti, partecipate con solo capitale pubblico.Taranto, ancora una volta, con un nuovo Piano Regolatore adeguato, si trova nelle condizioni di svolgere un ruolo importante per fare uscire l’intero Mezzogiorno d’Italia dal sottosviluppo e dall’arretratezza e permettergli di convergere, sul piano economico e sociale, con il resto del Paese mettendosi al passo con il Mondo che cambia vorticosamente.

 Signor Sindaco, gli autori della presente, nella convinzione di contribuire alla stesura del Documento Preliminare, avrebbero piacere di incontrarLa, in uno con i Vs. tecnici esterni ed interni incaricati, per un confronto.

In attesa di riscontro Le inviamo distinti saluti.

Taranto 09/01/2015

Fabio Millarte, Arturo Tuzzi,  Giuseppe Conte, Armando Palma, Cosimo Dellisanti, Adriano Fonzino, Giuseppe Albenzio, Cosimo Orlando, Giorgio Sonnante, Michele Pastore, Giuseppe Benedetto, Vincenzo De Palma, Giorgio Vitale, Stefano De Paola, Sabrina Del Piano, Aldo Pupino, Giovanna Bonivento, Franco De Feis, Pino Cosmai, Mario Giorgio, Domenico Di Cuia, Walter Guarino, Benedetto Lazzaro, Guglielmo De Feis, Luigi Costantini, Claudia Pacifico, Barbara Patrizia Mori, Salvatore De Luca, Maria Scala De Palma, Michele Tommaselli ,Vincenzo Attolino, Ilaria Margherita, Paola Ettorre Boccuzzi, Annamaria Gallo, Lina Sorrentino, Gabriella Perrone, Roberto Perrone, Filippo Di Lorenzo, Angelo Candelli, Enzo Ferrari, Mino Colomba, Raffaele Rochira,  Pasquale Ricci, Paolo Castronovi, Stefano Ripoli, Giovanni Cristofaro, Angelo Palomba, Carlo Boschetti, Biagio Capriulo. Orazio Carbotti, Francesca Carucci, Vittorio Pletto, Stefania Catucci, Roberto Millarte, Sara Galizia, Francesco Mele, Marcella D’Addato, Emanuela Carucci, Daniele Aresta, Mario Boschetti, Candida Fasano, Marco D’errico, Simona Mele, Erminio Biandolino, Bruno Di Castri, Vittorio Labriola, Patrizia Russo, Lilia Candida, Loredana Gatto, Ida Gatto, Emilio Stola, Lucia Stola, Annamaria Panessa, Simona Soloperto, Teresa D’Assisi, Elena Tocci, Nicola Palagiano, Rossana Sangineto, Mimma Dora Stola, Ugo Leo, Maria Zaccaria, Salvatore Lippo, Claudio Leo, Massimiliano Millarte, Vanda Ananias Dias, Hully De Fatima.

 

 



[1] L.R. 44/2012

[2] Crescione d’acqua, perenne, col quale si accompagnavano le fettine di Tarantello, salame di tonno.

[3] L’Italia da paese di emigranti è già diventato paese di immigrazione, ed è con questa realtà che bisogna fare i conti.

Venerdì primo febbraio  2013  sono entrate in vigore le leggi che regolano i rapporti tra  lo Stato italiano ,  l’Unione induista italiana e l’Unione buddista italiana (Ubi), sulla base delle intese approvate l’11 dicembre 2012 dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera. Sono due intese molto importanti e di grande rilievo simbolico che lo Stato italiano approva per la prima volta con delle confessioni non cristiane, ad eccezione degli accordi con le Comunità ebraiche nel 1989.

Si prevede che induisti e buddisti possano ricevere i contributi dell’Otto per mille annessi alle dichiarazioni dei redditi. Sarà possibile celebrare funerali in linea con le loro tradizioni e sarà possibile creare aree e strutture apposite nei parchi cimiteriali.

In Italia ci sono circa 230mila buddisti – tra praticanti buddisti italiani, adepti della Soka Gakkai (movimento religioso giapponese, che però non fa parte dell’Ubi) e immigrati dai paesi asiatici – e 10mila induisti. Il beneficio più importante per le due confessioni dall’entrata in vigore della legge sarà quello di poter ricevere i contributi dell’Otto per mille, come succede per gli altri gruppi religiosi che hanno già concluso gli accordi. Gli induisti e buddisti potranno poi usufruire di assistenza spirituale, di un riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso, di una tutela migliore degli edifici di culto, e potranno avvalersi di erogazioni liberali deducibli dall’Irpef.

Sul tema delle intese con le altre confessioni rimangono ancora alcune questioni aperte. La prima riguarda le difficoltà ad approvare una legge riguardante i rapporti tra Stato italiano e testimoni di Geova (un’intesa è stata trovata una prima volta nel 2000, ma non tradotta in legge): superate le perplessità di alcuni senatori, che riferivano le preoccupazioni soprattutto di ex-aderenti alla confessione, la questione si è nuovamente bloccata alla Camera e ci sarà da attendere la prossima legislatura per un’eventuale conclusione dell’accordo.

Per I musulmani, la comunità di gran lunga più numerosa, non si è potuti addivenire ad alcuna intesa, in quanto essi pagano la mancanza di un unico interlocutore che possa rappresentare l’intera comunità di fronte allo Stato italiano.

[4] Luoghi dove era possibile la pesca o la cacciagione da esercitare previa autorizzazione nelle stagioni consentite e con gli strumenti adeguati.

[5] Proprio per consentire di riappropriarsi di un itinerario, quello percorso dalle Ferrovie Sud Est, che non è solo un itinerario fisico ma un riammagliamento con la propria storia e le proprie radici, i firmatari del documento saranno invitati ad una giornata che si snoderà proprio su questo percorso, a bordo di carrozze che da Taranto raggiungeranno Gagliano del Capo di Leuca per poi fare ritorno nel Capoluogo.

[6] Il giardino etnobotanico è in fase di arricchimento introducendo le cultivar nostrani più interessanti degli alberi da frutto del Golfo di Taranto e farà parte della catena dei “GIARDINI ETNOBOTANICI DEL VECCHIO DI CÒRICO”. Un ipotesi di lavoro avviata dal liceo Classico “Aristosseno” di Taranto in uno con WWF Taranto, coop. Punto Zero, il Garden Club Taranto insieme all’Istituto Professionale di Stato “Mauro Perrone” di Castellaneta (Ta), all’Istituto Tecnico Agrario Statale “C. Mondelli” di Massafra (Ta), all’Istituto Alberghiero “Mediterraneo” di Pulsano (Ta), all’Istituto Professionale per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera “Giustino Fortunato” di Pisticci (Mt), all’Istituto di Istruzione Superiore Tecnico Agrario Statale di Marconia di Pisticci (Mt), il collegio dei geometri di Taranto, associazione G.R.I.N.T.A, Jo tv S.r.l., Logica Sistemi S.r.l.,  Garden Club, Endas, Alliance Française, F.A.R.E. Sud – Formazione, Ambiente, Ricerca, Energia, Circolo Fotografico “Il Castello”, Vivere Solidale S.r.l., Società di Mutuo Soccorso fra Pensionati e Ferrovieri, Cooperativa “Le Cheradi”, Associazione "Ni hao Puliya”, Associazione Turistica Pro Loco di Lama, Associazione di Promozione Sociale Kerameion Onlus, Associazione “Tarenti Cives”, Università Popolare Zeus, Il Faro S.r.l. , Relais Histò sul Mar Piccolo,”, Archeoclub Taranto, Pro Loco Taranto, Villaggio San Giovanni, Masseria Quis Ut Deus, Centro Culturale Kalliope, Cantine dei Siriti S.r.l., Marinagri S.p.A. e Ittica Val D’Agri S.p.A

 

[7] Còfənə era il recipiente di argilla forato per fare il bucato. I panni venivano impilati nel recipiente, coperti da un panno di canapa su cui era versato il ranno (cenere e acqua bollente). Fatto due volte il procedimento, sopra e sotto, la biancheria risultava pulitissima. Il proverbio equivale a dire “Chiudiamo il discorso, perché è meglio per tutti”!

[8] Di recente, un padre trentenne, interpellato dal figlio cinquenne sulla destinazione dello spiccato, avrebbe risposto “Me lo sono scordato, dobbiamo chiedere al nonno”.

[9] L’agro di San Donato verso Faggiano è stato oggetto di un interessante intervento dedicato alla chora tarantina nel Convegno di Studi sulla Magna Grecia sul tema “La Vigna di Dioniso”. Infatti proprio nella contrada di San Donato è stata rinvenuta una rara kylix attica a vernice nera databile al 530-510 a.C. con dipinte le parole “Gioisci e Bevi Questa” (sottinteso coppa): la coppa “parlante” documenta il rito del simposio in questo territorio sin dall’età arcaica nella chora tarantina di Levante. Un altro recipiente da simposio con formula potoria è stato rinvenuto nel territorio del Comune di Faggiano. «A fronte di una documentazione letteraria che attraverso le fonti delinea la città di Taranto antica come amante del vino, ebbra alle feste di Dionysos, capace di allestire più feste dei giorni dell’anno innaffiati dal buon vino, la città non ha dato altrettanti abbondanti documenti di vasi potori iscritti, ad eccezione dei sette skyphoi della metà del IV sec. a. C. con dediche a Dionysos dai pressi del Borgo di Taranto e due da Contrada Montedoro. Perciò mi sembra molto rara la kylix da San Donato, cioè dall’antica chora ad Oriente della polis».  G. BONIVENTO PUPINO, Su due kyliches, una con epigramma simposiale, l’altra con phallagoghia, dalla chora ad Est di Taranto (Contrada S. Donato e Faggiano), in 49 Convegno di Studi Sulla Magna Grecia, pp.255-264. Cfr anche nota 80 sull’edificio da banchetto recentemente rinvenuto a sauro al c.d. Santuario della Sorgente.

 

 




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