Oggetto: Osservazioni e Proposte, da
parte di Cittadini Militanti e Associazioni Socioculturali, alla definizione
del DPP per la redazione del PUG
Dott. Ippazio
Stefano, sindaco di Taranto
E p.c.
Angela
Barbanente Assessore Qualità del Territorio Regione Puglia
Martino
Tamburrano – Presidente Provincia di Taranto
Dino Borri -
Coordinatore / Progettista del DPP / P.U.G. di Taranto
Annarita Lemma
- Consigliere Regionale Puglia
Fabrizio
Nardoni – Assessore regionale alle risorse agroalimentari
Onofrio
Introna Presidente Consiglio Regione Puglia
Pietro
Bitetti- Presidente Consiglio Comunale
Giuseppe Mele
- Direttore Generale Comune di Taranto
Segretario
Generale dott.ssa Anna Maria Franchitto
Dott. Vincenzo
Baio - Assessore all’Ambiente del Comune di Taranto
Vincenzo Di
Gregorio - Assessore Patrimonio Comune di Taranto
Arch.Cosima
Lorusso–Assessore Urbanistica e Città Vecchia del Comune
Silvio Rufolo
– Dirigente Urbanistica – Edilità Comune di Taranto
Arch. Cosimo
Netti - Dirigente Direzione Patrimonio del Comune di Taranto
Dott.
Alessandro De Roma - Dirigente Ambiente Salute e Qualità della Vita
Arch. Mario
Francesco Romandini – Direzione Urbanistica Comune di Taranto (*)
Prof. Felice
Uricchio Rettore Uniba
|
Prof. Angelo
Tursi Pro Rettore Uniba
Dott. Nicola
Cardellicchio Presidente CNR Taranto
Dott. Vito
Crisanti – Progettista del Piano Programma del Verde
Amat Spa
Ferrovie
SudEst Spa
Sindaci e
Consiglieri comunali dei Comuni del Tarantino
Italia Nostra
LipuTa.
Legambiente
Fai Ta.
Endas Puglia
Garden Club
WWF Puglia
Officine
Taranto
Teichos
Club Il
RiformistaTa.
Assocasa
Taranto
CGIL-CISL-UIL-Ta.
Prof. Gregorio
Andria, Presidente del Centro
Interdipartimentale "Magna Grecia" e Preside della II Facoltà di
Ingegneria di Taranto del Politecnico di Bari;
Presidente di Confindustria Taranto, Dott. Vincenzo Cesareo;
Presidente della Camera di Commercio di Taranto, Cav. Luigi Sportelli.
Salvatore Marzo Liceo Linguistico “Aristosseno”
Autorità Portuale Ta.
Organi di
Stampa Regionali e Cittadini
|
Signor Sindaco,
se è vero che il buon giorno si
riconosce dal mattino, allora ci potrebbe essere qualche speranza che le cose,
le nostre offuscate cose, tornino ad essere chiare come la luce del giorno e si
potrà, con l’impegno di tutti, percorrere una strada sconnessa e tutta in
salita per giungere alla redazione del nuovo Piano Regolatore.
Un nuovo Piano Regolatore
adeguato alle necessità sociali e alle potenzialità di sviluppo economico e culturale
del territorio, elaborato con lungimiranza così come avvenne con quello redatto,
subito dopo l’Unità Nazionale, dall’architetto Davide Conversano e approvato dal
Consiglio Comunale nel 1864.
Un piano che fu degno,
per i tempi, di una classe dirigente cittadina attenta e capace di una visione
prospettica che, partendo dal trend demografico e dalle attività economiche
presenti nel territorio, seppe pensare, con misura e con realismo, al proprio
sviluppo urbanistico.
Ciò avvenne nel
rispetto delle risorse naturali, sapendo cogliere il valore paesaggistico e
produttivo dei Due Mari, comprese le prime balze che vi si affacciano, sapendo cogliere
le opportunità offerte dall’Unità del Paese, a livello nazionale e geopolitico,
prevedendo di:
1.
Connettersi
con la rete delle prevedibili strade ferrate, attraverso una moderna stazione
ferroviaria, per usufruire del nuovo rivoluzionario sistema di trasporto delle
persone e delle merci;
2.
Potenziare
il porto mercantile, in previsione dell’apertura del Canale di Suez (1869), un
evento con conseguenze geopolitiche che avrebbero messo il Mediterraneo
nuovamente al centro del commercio marittimo intercontinentale.
In quest’ultima scelta
c’è tutta l’esperienza della presenza pluriennale a Taranto dell’esercito
francese per la costruzione di un grande, strategico e sicuro porto
commerciale.
Napoleone, uomo
con visione globale, che conquistò l’Egitto per aprire un nuovo percorso e insidiare
i ricchi commerci inglesi con l’India, pensava che l’Inghilterra tenesse testa
alla Francia grazie ai proventi economici dei grandi traffici
intercontinentali, di allora e di sempre: quelli del Mediterraneo con l’Estremo
Oriente, l’Australia e le Americhe.
La Francia, conquistato
l’Egitto, avrebbe accelerato la costruzione del canale di Suez e controllato
così la rotta più breve tra l’Asia e l’Europa: verso quella sudorientale,
tramite i porti del Pireo e di Istanbul e, nel mezzo, il porto hub di Taranto
da dove poter incanalare il traffico commerciale verso l’Europa sud
occidentale, verso i porti di Genova, Marsiglia e Barcellona, proseguendo,
attraverso lo Stretto di Gibilterra e il Canale della Manica, per toccare i
porti del Nord Europa nel Mar Baltico.
Il disegno
napoleonico fallì, ma la sua visione geopolitica rimane valida ancora oggi.
Infatti
l’economia globale e la prosperità europea dipendono in maniera crescente dai
collegamenti dell’Asia con l’Europa, che avvengono attraverso il canale di Suez
e il Mare Mediterraneo, assumendo così un nuovo ruolo, che si aggiunge a quello
da sempre avuto: essere cerniera tra Europa e Africa, condizione questa che oggi
si ripropone con maggior forza ed evidenza.
I due
continenti devono, con urgenza, ritrovare le ragioni per un’intesa politica ed
economica necessaria per garantire ad entrambe, come al tempo dell’Impero
Romano, stabilità, sicurezza, condivisione e prospettive pur nella diversità
temporale di un orizzonte comune di prosperità.
In questo
momento storico le aree più in subbuglio sono:
- l’Africa
settentrionale con la Libia mentre, in Medio Oriente, la Siria e l’Iraq sono in piena guerra
civile, fomentata e foraggiata principalmente da Arabia Saudita ed Iran;
- le tensioni tra
Turchia, Libano, Palestina, Giordania, Cipro e Israele per lo sfruttamento del
grande bacino di gas naturale, collocato in un braccio di mare -denominato bacino
del Levante o Levantino- che interessa più paesi, con la complicazione
che sono, in parte, uno contro l’altro armato;
- con le
prospezioni già effettuate sono stati individuati, perimetrati e stimati –nel
bacino del Levante- due giacimenti per l’estrazione -il Tamar e il
Leviatano (riprendendo il nome del mostro marino biblico)-
le cui capacità produttive garantirebbero migliaia di miliardi di metri cubi di
gas.
- l’Europa, suo
malgrado, è incastrata nella partita in corso per il controllo del mercato
energetico - petrolio
e gas - tra la Russia e gli Stati Uniti, che vede l’Ucraina nel ruolo di capro
espiatorio;
- la sorda
rivalità tra Cina da una parte (impegnata a realizzare la Collana delle
Perle, una rete di grandi porti, con l’attracco per navi da 20000
containers, e piattaforme logistiche per il controllo delle rotte marittime
verso l’India, la penisola Arabica, l’Africa, il Mar Rosso e il Mare
Mediterraneo dove ha già inserito la grossa perla del porto del Pireo) e India
e Stati Uniti dall’altra. Tale tensione è causata dalla costruzione in
Nicaragua di un canale navigabile interoceanico -in concorrenza con quello di
Panama- scavato tra il Pacifico e l’ Atlantico con ingresso a Brito sull’Oceano
Pacifico e uscita su 4 porti nel Mar dei Caraibi: Cayman Rock, Isla deVenado,
Porto Gordo, San Juan de Nicaragua.
A tutto ciò si
aggiunge la trasformazione dei conflitti da territoriali-nazionali in
religioso- confessionali, con assalti alle sinagoghe, alle chiese, alle moschee.
Un quadro di
riferimento globale, tanto inedito quanto preoccupante, con cui occorre
misurarsi, anche quando affrontiamo le nostre cose, le cose della nostra Città,
di oggi e di domani.
Aldilà di tutto
questo, quello che ci fa ben sperare è, però, il giudizio espresso a tutto
tondo dall’ingegnere Dino Borri in una sua recente intervista
rilasciata alla Gazzetta del Mezzogiorno, al giornalista Fabio Venere partendo
proprio dalla: “Taranto non è una città stremata dalla crisi.”
Si tratta di
un’affermazione di grande importanza perché proveniente da persona informata
dei fatti e dei misfatti dei volti e dei risvolti della nostra questione
ambientale, consapevole che nel processo di VAS (Valutazione Ambientale
Strategica) vi sono aree in cui oltre la VIA occorre presentare il RIR (Rischio Incidente Rilevante).
L’ing. Dino
Borri è stato investito della massima responsabilità consentita alla
Municipalità, nella sua qualità di autorità procedente: ossia quello di essere
Progettista e Coordinatore –avvalendosi della collaborazione della Direzione
Urbanistica Comunale- della redazione del DPP per il nuovo Piano Regolatore
(PUG).
Ciò induce a
sperare nel diradamento dei cumulonembi che incombono, da anni, sulla città e
nell’ inizio di un nuovo percorso virtuoso per farci uscire fuori dalla trincea
in cui da tempo siamo impaludati.
Il giudizio
ottimistico del professionista è pieno di particolare valenza in quanto è
stata proferito dopo un primo giro di consultazioni con le forze vive della
Comunità, un sopralluogo scrupoloso in tutto il territorio interessato
–valutandone e ponderandone tutte le potenzialità- ivi inclusa la constatata
voglia di fare delle nuove generazioni.
L’ing. Borri,
infatti, ritiene che sia ancora possibile redigere un Piano Regolatore
all’altezza dei tempi, in spirito glocal commisurato ai bisogni della comunità
e rispondente alla necessità di superare la monosettorialità siderurgica,
orientandosi verso prospettive economiche alternative e a misura d’uomo.
L’umanità sino
alle soglie dell’Ottocento ha operato e vissuto secondo principi olistici: l’uomo,
pur considerandosi al centro del mondo, aveva tuttavia consapevolezza della
limitatezza delle risorse naturali. Egli non aveva ancora acquisito le
tecnologie per l’uso delle fonti energetiche fossili e perciò era più in
sintonia con le ragioni della natura.
A partire dalla
prima rivoluzione industriale, con l’invenzione della macchina a vapore e
dell’energia elettrica, l’uomo si è invece considerato padrone assoluto,
prefigurando la propria esistenza al di sopra e al di fuori di un rapporto
rispettoso e fecondo con gli ecosistemi.
Oggi ci
accorgiamo che il modello industriale lineare non è più in grado
di fare i conti con la scarsezza e la difficile reperibilità di alcuni beni -
acqua, aria e paesaggio - in quantità e qualità adeguate al fabbisogno.
Beni che,
purtroppo, non vi sono nella medesima quantità e qualità per tutti, ma vengono
percepiti come beni comuni e un nuovo diritto civile da rivendicare per le
attuali generazioni e garantire a quelle future
Dalla metà degli
anni ‘70 l’umanità abbandonava il paradigma meccanicistico-riduzionistico che
aveva sotteso lo sviluppo industriale lineare per oltre due secoli, e si andava
prefigurando la necessità di passare al modello circolare
ecologico-olistico.
Alla fine
dell’Ottocento, con la costruzione dell’Arsenale Militare nella nostra città,
dai mitilicoltori e ostricoltori direttamente danneggiati, furono subito
riscontrati gravi danni alla maricoltura.
Preoccupazioni
condivise dalla parte più illuminata della classe dirigente che cercò di porvi
rimedio; qualche parziale risultato si ebbe allorché l’Amministrazione
Comunale, retta dal sindaco Francesco Troilo, istituì l’Istituto di
Biologia Marina, diretto da Attilio Cerruti.
Peccato che al
momento dell’intervento delle Partecipazioni Statali, non ci
furono persone della tempra e della sensibilità di quella classe dirigente. La
scabrosa situazione si ripetette ahimè, in proporzione più grande, con gli
interventi coordinati delle Partecipazioni Statali. Anche in
questa circostanza, ben presto, la parte più attenta e sensibile della
popolazione prese consapevolezza che un grande stabilimento industriale a ciclo
integrale, quale quello dell’Italsider, per come veniva collocato e per le
caratteristiche del suo ciclo produttivo, diventava una struttura incompatibile
da subire e da tollerare.
Si cominciò con
un gruppetto di pazzi malinconici ad alzare la testa prima, e la
voce poi, per denunciare che lo stabilimento siderurgico era nato in quel luogo
e in quel modo seguendo solo la logica del contenimento dei costi, della
massimizzazione degli utili d’impresa e del minor tempo di realizzazione,
mentre poca attenzione fu posta nel migliorare la qualità della vita delle
persone, sia all’interno che all’esterno della fabbrica.
Alla denuncia
degli intellettuali seguirono le manifestazioni di protesta popolare e momenti
di pubblico dibattito con contributi di grande respiro come la partecipazione del
geografo Pierre George alla conferenza dibattito sul modello industriale
imposto, con riferimenti alla nostra realtà, organizzata dall’Università
Popolare Jonica e dall’Alliance Francaise negli anni ’70 a Taranto.
Oppure, come
non ricordare l’intervento del Prof. Giorgio Nebbia, al convegno di studi sul
tema “Inquinamento ambientale e salute pubblica”, svoltosi il 27 e 28
aprile 1971 nel salone di rappresentanza dell’Amministrazione provinciale, con una
“lectio magistralis” intitolata Progresso merceologico e Progresso Umano,
che così cominciava: «Da alcuni mesi a questa parte la denuncia dell’uso
irrazionale del territorio e delle risorse naturali, la scoperta dei guasti
dell’ambiente e congestione urbana, hanno dato vita ad un movimento di opinione
pubblica, ad una collera collettiva, come se la grande massa degli italiani si
svegliasse dentro un incubo».
L’Amministrazione
Provinciale provvide alla pubblicazione della relazione e del dibattito.
Un appello
corale, indice di presa di coscienza collettiva, si ebbe allorchè, ad opera di
un gruppo di lavoro interdisciplinare, si procedette alla stesura del Manifesto
sull’ambiente del 1985, - inserito nella pubblicazione “Taranto
topografia e toponomastica”. Il lavoro, che fu editato in 20.000 copie,
si ispirava ai principi della Carta Europea dei poteri locali per la
salvaguardia ambientale e venne corroborato dalla nostra sofferta esperienza,
che iniziava con l’affermazione: “Abbiamo tutti il diritto-dovere
all’Ambiente Migliore […]. Il suolo, l’acqua, l’aria sono beni preziosi che
appartengono a tutti. Contaminarli significa degradare non solo la natura, ma
la nostra stessa vita. Significa: dilapidare un patrimonio che non si potrà
ricostruire- mettere in pericolo la sopravvivenza di intere specie animali,
minacciare direttamente la salute degli uomini.”
Oggi, le green
city europee hanno già metabolizzato il concetto secondo il quale il verde
deve costituire il tessuto connettivo della città e che questo, tra le reti
infrastrutturali, debba avere la stessa importanza di quella energetica,
idrica, elettrica, telefonica, della mobilità e della banda larga per la
connessione veloce con la rete digitale del Web 3.0.
Ora tocca a noi
dimostrare di saper interpretare la circolare della Regione Puglia n.1/2014 “Indirizzi
e note esplicative sul procedimento di formazione dei Piani Urbanistici
generali(PUG), facendola diventare l’alfa e l’omega per la lettura,
ricucitura e riqualificazione del nostro straziato territorio.
Tale circolare
prevede l’integrazione del processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)
nel procedimento di pianificazione urbanistica. Il principale elaborato tecnico
in materia di VAS è il Rapporto Ambientale, il quale “costituisce parte
integrante del piano o del programma e ne accompagna l’intero processo di
elaborazione ed approvazione”. Il Rapporto Ambientale deve essere elaborato sin
dai momenti preliminari dell’attività di formazione del piano e deve essere
coerente con i contenuti del piano stesso in ogni fase della sua elaborazione.
Sembra utile ricordare qui che gli stadi di avanzamento del Rapporto Ambientale
sono quattro:
1)
Rapporto
preliminare di Orientamento, nel quale vengono definiti il livello di dettaglio
delle informazioni da includere nel Rapporto Ambientale, e programmate le
modalità di svolgimento del processo di VAS (L.R. 44/2012, art.9);
2)
Rapporto
Ambientale, corredato della proposta di programma per il monitoraggio e di una
Sintesi Non Tecnica, il cui compito è quello di individuare, descrivere e
valutare gli impatti significativi che l’attuazione del PUG potrebbe avere
sull’ambiente e sul patrimonio culturale, offrendo altresì una valutazione
comparativa delle ragionevoli alternative di piano considerate. Tale Rapporto
Ambientale costituisce parte integrante del PUG da adottare in Consiglio
Comunale;
3)
Documentazione
che accompagna l’atto di approvazione definitiva del PUG da parte del Consiglio
Comunale, a valle del procedimento di verifica di compatibilità regionale e
provinciale, che deve comprendere la versione definitiva del Rapporto
Ambientale, del Parere Motivato espresso dall’Autorità competente per la VAS,
il Programma di Monitoraggio Ambientale del PUG e la Dichiarazione di Sintesi;
4)
I
Rapporti di monitoraggio degli impatti significativi sull’ambiente e sul
patrimonio culturale derivanti dall’attuazione del PUG, contenenti le
indicazioni delle misure correttive necessarie.
Grazie al
supporto del processo di VAS, i piani dovrebbero essere sostanzialmente
orientati a “favorire le condizioni per uno sviluppo sostenibile, nel rispetto
della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della
salvaguardia della biodiversità e di una equa distribuzione degli effetti
connessi all’attività economica [assicurando] che il soddisfacimento dei
bisogni delle generazioni attuali non comprometta la qualità della vita e le
opportunità delle generazioni future”.
Perciò per
avviare un processo di rigenerazione urbana integrale e diffuso, è
indispensabile iniziare dalla riqualificazione del cospicuo patrimonio edilizio
esistente concentrato nella Città Vecchia, Borgo, Arsenale Militare,
(individuato come “ambito prioritario di rigenerazione urbana” dal Comune nel
DPRU).
Per quello che
concerne il Rione Tamburi e i comprensori di edilizia economica e popolare
costruiti ai sensi della legge 167 nei rioni Salinella, Talsano e Paolo VI
occorrerebbe procedere tenendo conto della necessità di operare un rammendo
con le sfilacciate aree contigue destinate sulla carta a standars urbanistici
per i comprensori di edilizia economica e popolare.
Inoltre,
sarebbe importante effettuare un intervento esteso di forestazione urbana, finalizzato
a colmare il diradamento edilizio e a sostenere il restauro paesaggistico
dell’affaccio sul Mar Piccolo.
Un piano del
verde adeguato e funzionale, per avere senso di compiutezza ed efficacia, deve
interconnettere tra di loro i vari interventi attentamente programmati, con i corridoi
in una visione organica ed articolata.
Per la gestione
di questo complesso processo occorre individuare nuove forme d’ingegneria
sociale, che siano capaci di assicurare una piena fruibilità dei luoghi e
degli spazi.
Il verde come
le piazze, i percorsi per la mobilità a misura d’uomo incentrati sull’uso
della bicicletta e sulle passeggiate a cavallo e, primariamente, per gite a
piedi, vanno pensati, gestiti e fruiti come “spazio e bene
comune.”
Per procedere in
questa direzione bisogna incominciare dalle perle ambientali sopravvissute
lungo le sponde del primo seno del Mar Piccolo: il bioparco del fiume Galeso e
le aree contigue, senza dimenticare l’agognato Lungomare pedonale terrazzato
da via Delle Fornaci al bioparco omonimo.
Il parco è stato
progettato da Vito Crisanti su incarico dell’Amministrazione Provinciale
(Presidente Mario Luciano D’Alconzo, Assessore all’Ambiente Vito Tommaso
Donvito), con la deliberazione n. 1327 del 14 giugno 1994 dal titolo: “Incarico
per la realizzazione del progetto esecutivo per la bonifica, il recupero
idrogeologico, paesaggistico, naturalistico del fiume e del suo bacino
topografico” nel primo seno del Mar Piccolo. Il lavoro di Crisanti ha saputo leggere
ed interpretare al meglio i valori storico-culturali, paesaggistico-naturalistici
di un “biotopo” unico al mondo.
L’Amministrazione
Provinciale ha già provveduto ad espropriare i primi 45 ettari e il Presidente in carica ha la ferma intenzione, in uno con l’Amministrazione Comunale di
Taranto , di portare l’opera, entro il tempo del suo mandato, a compimento.
L’intesa è
necessaria in quanto i 45 ettari del demanio provinciale confinano con:
- il compendio
del vecchio macello comunale già oggetto di un progetto di riuso;
- il vivaio del
Corpo forestale dello Stato;
- l’ex Batteria
Galeso ristrutturata dall’Amministrazione Comunale come centro di educazione
ambientale.
E’ di per sé
evidente che tutte queste strutture vanno comprese in una visione unitaria
nel perimetro del parco.
Nel secondo seno
del Mar Piccolo occorre puntare a salvaguardare e valorizzare la zona umida
protetta, denominata RORP Palude La Vela, gestita dal WWF dal 1992.
La salvaguardia
del biotopo, la sua valorizzazione e la sua fruibilità, costituiscono potenti
strumenti di educazione ambientale, indispensabili per comprendere il contesto
geologico, idrogeologico, paesaggistico dell’intero ecosistema del Mar Piccolo
e del Mar Grande, Salina Grande e Salina Piccola.
Sarebbe
opportuno estendere sin da subito l’area della Riserva all’area della Sorgente
Battendieri, un sito straordinario da mettere in sicurezza e da rendere
fruibile, dove ancora oggi vegeta rigoglioso il saccione
(nasturzio), ottimo per un’insalata piccantina per palati raffinati da
accompagnare con piatti di pesce e di carne.
La Palude La Vela è
viciniora al bene architettonico e
storico-culturale della gualchiera dei Battendieri connessa con una
sorgente perenne d’acqua dolce che, per secoli ha alimentato l’attività di
tessitura e follatura dei panni per confezionare il saio dei monaci dell’Ordine
dei Cappuccini.
In tale area
vanno anche incluse le aree contigue alla foce del Canale Leverano d’Aquino,
ossia il vero fiume Galeso come ipotizzato, attraverso lo studio dei toponimi
Greci della Chora tarantina, da Giorgio Sonnante nella sua recente opera “Gravine
e Tratturi, pascoli e campi di Crispiano, letteratura, economia, storia”
di Giorgio Sonnante- Antonio Dellisanti Editore S.r.l.- 2013.
Nel progetto
fatto redigere dall’Amministrazione Comunale, la perimetrazione della Riserva è
stata opportunamente estesa all’area degli impianti dismessi di maricoltura dell’Ajvam
Spa, in regime fallimentare da anni.
Con il recente
passaggio delle aree della Riserva dallo Stato al Demanio Comunale comincia a
prendere concretezza e slancio l’ipotesi di un grande Parco Territoriale che,
partendo dalla Riserva Palude La Vela, si estenda ad alcune aree contigue
d’interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale appartenenti alle
Istituzioni pubbliche o ai privati, tutte di rilevante interesse pubblico.
All’interno di
questo percorso, come messo in evidenza nel libro “Il Castello Aragonese
di Taranto nell’evoluzione del paesaggio naturale” dal Prof. Giuseppe
Mastronuzzi, Maurizio Milella, Cosimo Pignatelli, Arcangelo Piscitelli e Paolo
Sansò, la falesia in località “Il Fronte”, sul secondo seno del
Mar Piccolo, all’interno della perimetrazione dell’area regionale protetta, ha
le caratteristiche per assurgere a identificare un geosito definito “Tarantiano”.
Una pagina
geologica importante per la lettura e l’interpretazione di fenomeni su
scala regionale e mondiale della stratigrafia del Pleistocene Superiore.
Grazie
all’intenso lavoro di educazione ambientale praticato dal Wwf Taranto nel
Parco Regionale, va aumentando, di mese in mese, la presenza di visitatori, dei
residenti e di turisti ambientalisti, tendenza che non va scoraggiata visto che
non sono pochi gli studenti, anche stranieri, che vengono a visitare e studiare
la Palude grazie alla
presenza della numerosa e rara avifauna della riserva, frequentata da specie
protette, come Aironi, Garzette, Cavalieri d’Italia, Falco Pescatore, Cormorano
e Anatre Volpoche, e di specie botaniche soggette a tutela quali le Orchidee e
la Salicornia, per citarne soltanto qualcuna.
I manufatti
dismessi dell’Ajvam S.p.a. hanno inoltre tutte le caratteristiche -se
bonificati, ristrutturati e attrezzati- per essere sede di un ecomuseo
d’interesse regionale facendo perno sulla maricoltura, ai sensi della Legge
Regionale 6 Luglio 2011, n°15 “Istituzione degli eco-musei della Puglia”, che
all’articolo 1 del capitolo oggetto e finalità così recita:
“La Regione Puglia, di concerto con le comunità locali, le parti sociali e gli enti locali e di
ricerca riconosce, promuove e disciplina sul proprio territorio gli ecomusei
allo scopo di recuperare, testimoniare, valorizzare e accompagnare nel loro
sviluppo la memoria storica, la vita, le figure e i fatti, la cultura
materiale, immateriale, le relazioni fra ambiente naturale e ambiente
antropizzato, le tradizioni, le attività e il modo in cui l’insediamento
tradizionale ha caratterizzato la formazione e l’evoluzione del paesaggio e del
territorio regionale, nella prospettiva di orientare lo sviluppo futuro del
territorio in una logica di sostenibilità ambientale, economica e sociale, di
responsabilità e di partecipazione dei soggetti pubblici e privati”.
Gli
ecomusei sono un presidio per svolgere azioni di sensibilizzazione collettiva
al fine di considerare l’ambiente e i beni storico-culturali come “beni comuni”
e diritti inalienabili per noi e per le future generazioni. Per la
realizzazione del grande Parco Territoriale è necessario avere un approccio
olistico: coniugare il sapere scientifico con quelli umanistico, le attività
colturali agricole, silvicole e la “maricoltura” con le presenze
geologiche, archeologiche ed architettoniche.
Quest’ipotesi
farebbe il paio con quanto realizzato in Umbria, alle fonti del Clitumno, dove
all’interno di un bioparco è stata allestita una struttura eco-museale di
grande valenza culturale e di forte richiamo turistico.
Per quanto
riguarda la sostenibilità energetica dell’intera struttura, considerato il
protocollo d’Intesa stipulato dal Comune di Taranto con l’Università
dell’Idrogeno H2U di Monopoli, sarebbe opportuno realizzare un progetto
pilota per trasformare in idrogeno l’energia riveniente dai pannelli sistemati
sul tetto dell’ Ajvam, da usare nelle ore notturne. Sarebbe altresì auspicabile
il riuso come studentato del compendio militare dismesso denominato Manganecchia,
situato tra il confine orientale
della pineta Cimino e l’area dell’Aereonautica Militare, confinante con la
Riserva. Questo manufatto, se ristrutturato e attrezzato, potrebbe essere
destinato a campus universitario per gli studenti di geologia e biologia.
Anche
all’interno della città costruita, c’è la possibilità di salvare, in extremis,
una piccola perla: il relitto della antica palude della Salinella e delle sue aree
limitrofe.
A tal fine, è
sufficiente procedere come prescritto nelle norme di attuazione della
variante, in perequazione urbanistica, della Salinella e delle aree contigue,
variante che contempla anche la salvaguardia e la tenuta in produzione del
rigoglioso oliveto ivi presente.
In questa area sarebbe
altresì auspicabile reperire e reimpiantare cultivar autoctone di alberi da
frutto come riportato nella preziosa mappa disegnata dal regio tavolario
Aniello Boccarelli o carta geodetica della masseria del Trullo.
La mappa, disegnata
in passi napoletani, riguarda il fondo rustico confinante con un tratto della
riva della palude Salinella e risale al 1765: il prezioso documento è allegato
ad un rogito del Notaio Francesco Antonio Mannarini ed è conservato
nell’Archivio di Stato di Taranto.
Nel documento
cartografico sono riportati con puntigliosa precisione i limiti delle
proprietà, i tipi di coltura, il bacino della Salinella, facendoci immaginare
come poteva apparire agli occhi di un viaggiatore del Grand Tour del livello del
Barone tedesco Von Riedesel. Il Barone, giunto a Taranto nel 1771, oltre a
posare il suo sguardo sulla pesca delle alici a Capo San Vito e sull’allevamento
dei mitili e delle ostriche nel Mar Piccolo, sicuramente posò il suo sguardo
sui luoghi pittoreschi della Salinella, della Salina Grande e del Galeso.
Questo “miracolo”
è ancora possibile in quanto il relitto della Salina Piccola, in contrada
“Pilone”, inserito nel Piano Particolareggiato Salinella ed aree contermini, è
accessibile dall’antica via del Trullo. Una strada che scorre tra il relitto
della Salinella e le sedi della Questura, dei Vigili del Fuoco e del Comando
della Guardia di Finanza: tutt’oggi, in questa area residuale sono ancora
presenti salicornie, cannucce palustri, tamerici e numerose specie rare di
avifauna, nonché anfibi, rettili e insetti.
La via del
Trullo e via Abateresta, sono vocate per costituire una rete di piste ciclabili
che ci permetterebbero di raggiungere la contrada Manganecchia, la Palude La Vela e le aree contigue la pineta di Cimino. Le piste, per esigenze paesaggistiche,
andrebbero corredate di siepi pluri-specifiche, arbusti e alberi a ceppaia che,
così definite, funzionerebbero da piste ciclabili e da corridoi ecologici.
Le piste
ciclabili unirebbero, come il filo di Arianna, fisicamente ed idealmente il
previsto Parco urbano del relitto della Salina Piccola con il Parco
Cimiteriale Letterario Leonida di Taranto e i parchi extraurbani collocati
intorno al Mar Piccolo: l’area protetta della Palude la Vela, il bioparco del Galeso, la Pineta di Cimino, il parco della Rimembranza
Il Parco della
Salinella, in contrada Pilone, ha tutte le caratteristiche per costituire un
banco di prova per come si dovrebbe procedere per recuperare un relitto
ambientale prezioso: sarebbe una ghiotta occasione per sviluppare forme
avanzate di agricoltura urbana e sociale, un esempio, tanto virtuoso quanto
inedito, di nuova centralità e protagonismo di un quartiere periferico.
Questo circostanza
ci permetterebbe di avviare il recupero prima e la propagazione poi delle
cultivar autoctone ancora salvabili di frutta e verdura, come a suo tempo
auspicato dal Consiglio di Quartiere ed in linea con quanto prescritto dalla
Regione.
Suscita
malinconia constatare che mentre in Europa, in città come Vitoria Gasteiz nei
Paesi Baschi, capitale europea del verde 2012, si vanno affermando modelli di
eco-city ed eliopolis (vedi il grande anello verde esterno di Vitoria di circa 1500 ettari), a Taranto, ci attardiamo persino a sistemare il tanto auspicato relitto della palude
Salinella il quale -comprendendo anche le aree circostanti- si estende per
appena 60 ettari. In particolare, trattasi di un’area destinata, dal Piano
Regolatore vigente, a servizi che è collocata all’interno della città
consolidata, in un’area salva per miracolo dall’avanzare dell’edilizia, non
regolamentata e facente parte di un piano attuativo d’iniziativa comunale in
perequazione urbanistica.
Il destino della
Salina Grande, invece, merita un’attenzione particolare : è un area di circa
mille ettari, di cui in passato il 70% apparteneva al Demanio, ma che
recentemente è passata in mano a privati per una somma risibile, perché gli
enti pubblici locali non hanno inteso esercitare il diritto di prelazione.
Il Piano Regolatore vigente prevede –per
la Salina Grande- o la forestazione integrale o il suo rinvaso attraverso
l’utilizzo, dopo averle trattate, delle acque reflue dell’impianto di Gennarini:
certo non di sversarle in mare –come avviene ancor oggi- con una condotta
sottomarina piena di falle.
Attuando questa
seconda opzione prevista dal PRG, si creerebbe la naturalizzazione del bacino
per resilienza: una fonte preziosa per la produzione di ossigeno e di abbattimento
di CO2, utile alla mitigazione climatica.
Questa
destinazione andrebbe confermata e sostenuta in quanto la Salina Grande, oltre a essere un sito d’interesse naturalistico da recuperare, ha anche un
significativo valore storico. Per secoli, infatti, prima della sua bonifica a
scolo naturale, è stata fonte di un cospicuo reddito con la pratica della
coltivazione del sale e con la relativa esazione della gabella. Tale esazione,
a partire dal Medio Evo, ha costituito l’entrata principale per l’abbazia di
San Vito del Pizzo prima e poi per Università di Taranto e la Camera della
Sommaria del Regno di Napoli.
Di altrettanto
valore naturalistico e storico-culturale è il bioparco del Tratturello
Tarantino.
Trattasi di un
buon progetto redatto dal compianto architetto Vito Boccuzzi che interessa
un’area a cavallo tra il Piano Produttivo Comunale allo svincolo autostradale
Taccone e le Case Bianche a Paolo Sesto, compreso nella perimetrazione della Zona
Franca Urbana.
Questo comprende
un tratto del Tratturello Tarantino ed aree contigue, in parte afferenti al demanio
comunale ed in parte ai privati. Nel suo dispiegarsi costeggia il C.I.S.I.
(Centro Integrato per lo Sviluppo della Imprenditorialità), scavalca la strada
Taranto-Martina Franca, per giungere in un ampio spiazzo -relitto di un Riposo
della Transumanza di fronte alle Case Bianche del quartiere Paolo VI- come
testimoniato dalla presenza di un antica foggia per
l'abbeveraggio e la sosta delle greggi di transito.
Secondo quanto
previsto dal progetto, nelle aree del parco vanno salvaguardate le piante
secolari di olivo e le numerose secolari aggregazioni arbustive della macchia
mediterranea: il tutto deve essere preservato e strutturato per essere fruibile
tramite camminamenti e aree di sosta. Per la sua originalità e modernità il
progetto è stato di recente oggetto della Tesi di Laurea in Geografia della
Comunicazione discussa da Stefano Ripoli alla Facoltà di Scienze della
Comunicazione dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” intitolata L’Agricoltura
in Puglia come fattore di equilibrio ambientale, con relatore il Prof.
Guido Luisi.
In tale
contesto, un gruppo di giovani soci del WWF Taranto e di altre associazioni
ambientaliste si stanno organizzando in società di scopo per collaborare con
l’Amministrazione comunale ad un primo intervento di forestazione e a dare
inizio al bioparco del Tratturello Tarantino.
Percorso,
questo, che va salvaguardato sia per gli aspetti botanici sia per quelli
faunistici.
Il Parco
comprende un uliveto secolare, all'interno del quale insiste un palmento ipogeo
del 1700 di circa 500 mq per il quale se ne consiglia il riuso come centro di
primo ristoro per i frequentatori mentre, nella parte restante, si potrebbe
allestire una mostra permanente sulla civiltà della transumanza nella Provincia
di Taranto.
La proposta è
quanto mai attuale visto il rinnovato interesse sulla Transumanza, come
dimostrato dal percorso di ricerca, recentemente realizzato, della Dogana
della Mena delle Pecore di Foggia: Tratturi, Tratturelli, Bracci, Riposi,
Locazioni; pratiche di allevamento e produzione su scala industriale di carne,
lana e formaggi praticata per secoli in un area molto estesa tra gli Abbruzzi,
le Puglie, la Basilicata che, per mezzo dei tratturelli Tarantino e
Martinese, si ricomponeva in un unico tragitto che dall’agro di Grottaglie
conduceva sino alla Locazione dell’Arneo nel Salento.
La circostanza
che l’area dal bioparco comprenda anche una parte della lussureggiante macchia
mediterranea della gravina Mazzaracchio - un camminamento naturalistico che
sbocca sul bioparco del Galeso- ne accentua ancor più l’importanza.
Il progettista
lo ha redatto pensando ad un Tratturo fruito da persone, usato anche per
interconnettere, con puntuali e mirati interventi di risanamento ambientale e
rimboschimento, quartieri contigui sorti in periodi e con logiche e spinte
sociali diverse, ma che oggi sono affetti dal medesimo disagio socio-economico
e degrado ambientale.
In tal modo, a fronte
di un tessuto urbano e periurbano sfilacciato comprendente i quartieri di Città
Vecchia-Porta Napoli, Tamburi-Croce, Piano Produttivo Comunale Taccone e Case
Bianche-Paolo VI, avremmo un cordone verde di ricucitura che partirebbe da via
Delle Fornaci a Porta Napoli, proseguirebbe per via Mar Piccolo nel Rione
Tamburi, giungerebbe sino al bioparco del Galeso e, da qui, attraverso il
camminamento pedonale nella gravina Mazzaracchio, si collegherebbe con
il bioparco del Tratturello Tarantino, sviluppato a cerniera tra il Piano
Produttivo Comunale in contrada Taccone e le Case Bianche al quartiere Paolo VI.
Un altro
intervento di grande respiro storico-culturale, ambientale, paesaggistico e
d’ingegneria sociale per la sua gestione, è il nuovo Parco Cimiteriale-Letterario
Leonida di Taranto.
Questo è stato
proposto in progetto di finanza da una società di scopo composta da alcune
Società di Mutuo Soccorso e altri soggetti qualificati. Il progetto è stato già
inserito nel piano comunale triennale delle opere d’interesse pubblico per la
prima annualità.
Esso è collocato
nell’amena contrada Massarotti e vi si accede percorrendo, per un tratto,
l’antica strada panoramica Abateresta collegata con la tangenziale Sud da due
svincoli: uno a Nord all’incrocio con via Lago di Levico e la strada
provinciale 164; l’altro a Sud, all’altezza della masseria Abateresta, con un
affaccio panoramico sulla Salina Grande da valorizzare.
Ciò è stato ben
evidenziato da Pasquale Ricci, presidente della società di mutuo soccorso
“Ferrovieri” nella sua relazione in occasione dell’Assemblea dei soci del 6
giugno 2012: “Il progetto del Parco, così come proposto, oltre ad andare incontro
alle esigenze di culto dei morti di una società sempre più multietnica e
plurireligiosa, prevede, per
poter meglio vivere la sua matrice ambientalista, percorsi pedonali e ciclabili
con attrezzati punti di sosta nel verde, collegati con il Parco attraverso il
sovrappasso della Tangenziale Sud, all’altezza della Masseria Massarotti.
L’arredo nel
campo prevede cippi funerari per la tumulazione e urne cinerarie per la
cremazione in ceramica artistica; per Puglia, Calabria, Campania e Lucania v’è
un solo impianto crematorio, quello di Bari, nonostante Taranto, sia da Polis
greca sia da Municipio romano, abbia contestualmente praticato il sistema della
tumulazione quanto quello della cremazione.
Ciò è dimostrato
dalla grande quantità di oggetti di culto rivenienti dagli scavi archeologici
quali immagini di Dèi, oggetti appartenuti al defunto per la tumulazione,
raffinati servizi per il simposio nell’aldilà, artistiche coppe cinerarie in
argento o in argilla. Oggetti esposti, oltre che nella nostra città, nei più
grandi musei del mondo”.
Sarebbe
opportuno nella fase costruttiva sussumere gli aspetti ecologico-paesaggistici e
storico-culturali (a mezzo del Parco Letterario dedicato a Leonida) al fine di
agevolarne la fruibilità, non solo in relazione ai riti funebri secondo le
diverse religioni ma anche in relazione alla ridefinizione e godimento del
verde e del diverso rapporto fra rumore e silenzio, tra parola e meditazione,
alla ricerca di risposte rassicuranti alle numerose domande del mondo contemporaneo,
sempre più multietnico e alla ricerca di una nuova dimensione dello
spazio-tempo, nello spirito dell’imperituro messaggio poetico di Leonida, il
quale stilò per il proprio epitaffio il seguente epigramma, qui riportato nella
magistrale traduzione di Salvatore Quasimodo:
«Riposo
molto lontano dalla terra d’Italia
Di Taranto mia
Patria E ciò m’è più amaro della morte.
Tale destino
hanno i nomadi
A conclusione
della loro inutile vita!
Le Muse però mi
hanno caro!
Ed a compenso
delle mie afflizioni
Mi offrono una
dolcezza di miele.
Il nome di
Leonida non tramonta per Esse:
I loro doni lo
testimoniano sino all’ultimo sole».
A maggiore
significanza del messaggio universale di particolare attenzione verso gli umili
e la natura del nostro Leonida, è stata una scelta felice che l’ampia fascia di
rispetto del Parco Cimiteriale - in ottemperanza alla legge n.10 del14 Gennaio
2013 che obbliga i comuni a piantare un albero per ogni nuovo nato o bambino
adottato dandone il nome – venga boscata con piante sempreverdi della macchia
mediterranea: ulivo, alloro, leccio e carrubo. Tutte cultivar di alberi longevi
sino a mille anni e oltre! In tal modo, si fortifica l’antica alleanza tra
Natura e Uomo, che rimane anche dopo la fine di quest’ultimo e che
continuerebbe, intatta, con la sua discendenza.
Questo sarebbe
l’indicazione di un radicamento per coltivare il senso di appartenenza, anche
per quanti, per motivi di lavoro o per esigenze di vita, si allontaneranno
dalla città. L’albero, messo a dimora in coincidenza con la nascita,
assumerebbe il nome ed il cognome del nuovo nato e, attraverso la
geo-localizzazione ed il web, questi potrà visionare in ogni momento e da
luoghi distanti.
Questo legame
sarebbe goduto nel significato per sé e come ancoraggio di certezza di origine
per i discendenti. Un bel modo di fidelizzarsi con la città!
Altrettanto
opportuno è stata la risposta alle attese degli amici degli animali da
compagnia al momento della morte del proprio caro amico animale. Per questo, in
un aria separata, è stato previsto un apposito impianto di cremazione adiacente
ad un boschetto piantumato con un albero a lunga vita vegetativa per ogni
animale morto prendendone il nome e perpetrando il caro ricordo per l’amico
padrone.
Il recupero
del senso della memoria, della solidarietà è quanto mai utile per traguardare
l’agognata meta di una città a misura d’uomo, dove il senso civico è la base dell’impegno
sociale ed amministrativo indispensabili per a far lievitare l’etica pubblica e
così risalire nella graduatoria nazionale delle città a migliore qualità della
vita.
Certo, per risalire la china, non ci aiuta la
presenza, a ridosso della città, di una vastissima area industriale che
comprende:
- l’acciaieria a ciclo integrale più grande di
Europa definita, con decreto legge, impresa di interesse strategico nazionale,
la quale continua ad usare il carbon fossile, la fonte energetica più
inquinante;
- una grande raffineria;
- un cementificio che ricicla la loppa dello
stabilimento siderurgico - uno scarto della lavorazione dell’acciaio che, unito
all’argilla di cava, dà un ottimo cemento
- la presenza di numerosi compendi industriali,
civili e militari dismessi, disseminati in punti nevralgici all’interno della
Città Consolidata, abbandonati da decenni, per conclusione del loro ciclo
produttivo o per fallimento della proprietà o per sospensione dei lavori da
parte della magistratura, per vizi amministrativi.
Il
nuovo Piano Regolatore, per rispondere alle necessità e alle aspettative degli
abitanti e costituire un nodo della rete infrastrutturale del Mezzogiorno
d’Italia - avamposto dell’Europa nel centro del Mediterraneo - per essere
propulsivo deve poggiare sulla:
·
Tutela
attiva della biodiversità e del suo complesso ecosistema;
·
Cura
nel salvare quanto è rimasto del paesaggio sapientemente antropizzato, nel
corso della sua storia millenaria;
·
Attenta
lettura della valenza identitaria del patrimonio storico-culturale;
·
Riflessione
scrupolosa sulle sofferte esperienze di 150 anni di sviluppo industriale
lineare in contrapposizione con un modello circolare praticato, nella città dei
Due Mari, per secoli come codificato nel Libro Rosso del Principato di Taranto
degli Orsini.
Il
Mar Grande e il Mar Piccolo, già a partire dal diciottesimo secolo, sono siti
dove si sperimentò e attuò, su larga scala, la maricoltura moderna, su base
industriale, con la coltivazione di ostriche e di mitili; con l’allevamento di
murici (‘u cuèccele gendile e’u cuèccele vellane) per l’estrazione della
porpora e per la colorazione dei tessuti, merce pregiata che veniva utilizzata
negli scambi commerciali con la Cina tramite La Via della Seta; con la
lavorazione della Pinna nobilis (‘a parecedde) per il filo di bisso con
il quale si otteneva un tessuto diafano e trasparente per confezionare le
Tarentinidie: il sogno di ogni fanciulla del ceto gentilizio al tempo della
Magna Grecia e dell’Impero Romano. Inoltre, dalla superficie interna delle
valve della Pinna Nobilis si otteneva la madreperla usata per gli intarsi e per
i bottoni dei capi di lusso.
Le
tecniche di allevamento e di trasformazione, sperimentate nella città dei Due
Mari, si diffusero in tutto il Mediterraneo perché innovavano senza depauperare
il territorio e senza arrecare danno alla vita.
In questa logica
va recuperata un’idea di economia comunitaria e circolare, un nuovo stile di
vita ispirato alla nostra ricca tradizione del nostro vissuto quotidiano. Una
traccia, tanto inedita quanto sorprendente, potrebbe essere lo studio della
nostra toponomastica, utile per rintracciare i numerosi “lueche sàrve “–
porzioni di mare e di terra dove per poter pescare e cacciare bisognava essere
autorizzati ed usare attrezzi regolamentati e nelle stagioni opportune -.
Dipende tutto
dalla nostra volontà, perspicacia, dalla lungimiranza della classe dirigente,
dall’apporto della ricerca applicata, dalla capacità di sapersi relazionare con
il Governo Regionale, Nazionale, Europeo ed inserirsi in rete, con le città del
Mezzogiorno d’Italia e oltre, che sono impegnate ad affrontare le medesime
problematiche.
Per raggiungere
questa meta, bisogna sventare il pericolo, sempre latente a casa nostra, che
dopo molti patimenti, tanti tramestii, strepiti, mobilitazione sociale,
promesse di soccorso da padreterni di passaggio non mantenute, la città
finisca, ancora una volta, per assumere un atteggiamento nichilista all’insegna
dell’ignavia e della rinuncia a prenderne il destino nelle proprie mani.
A ben guardare
ci aiuta molto la fortunata posizione baricentrica di Taranto nel Mediterraneo.
La Città, nel
corso della sua storia millenaria, è stata da sempre punto di approdo
privilegiato per le genti giunte da terre lontane che, con la loro cultura,
unita alla feracità del territorio ed al sapiente uso delle risorse, hanno
creato un modello socio-economico di successo che, ancor oggi, può essere
riproposto per guidare Taranto verso un modello industriale circolare, foriero
di una società diversamente ricca.
E’ giunto il
momento di “filare la lana”, la nostra antica buona lana, selezionarne il filo
per cominciare a tessere il panno, nella qualità e ampiezza necessaria, perché
l’urbanista Dino Borri, novello maestro sartore, possa cucire un mantello su
misura per affrontare la rigidità della cattiva stagione che la città si trova
a vivere: forse la peggiore a memoria d’uomo.
Per affrontare
di petto l’inquinamento, occorre risalire dagli effetti alle cause e, non solo
per additarne la pericolosità e le responsabilità, ma precipuamente per
rimuoverle.
A cominciare
dalla presenza sul territorio di alcune grandi realtà industriali che, esaurita
la fase propulsiva per cui erano state realizzate, sono ora anche mal percepite
dalla popolazione. Queste realtà industriali, invece, se ben osservate, comprese
ed elaborate potrebbero promuovere linee di ricerca applicata alle nuove
tecnologie, al fine di trovare nuovi sistemi produttivi sostenibili, che
possono essere assicurati solo con la nascita di un grande ed efficiente Centro
di studi scientifico-tecnologico caratterizzato da attività di ricerca di base,
laboratoriale ed applicata, che sia all’altezza del compito e capace di
attrarre risorse umane e finanziarie provenienti da ogni parte del mondo: un
Centro di studi internazionale che potrebbe trovare adeguata destinazione nell’Arsenale
Militare di
Taranto.
Così cogliendo,
al volo e al meglio, le opportunità del decreto-legge 5 gennaio 2015 n. 1: “Disposizioni
urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e
per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto” che prevede, all’art. 8
c. 3, che sia affidata a due Ministeri, MiBAC e Difesa, la predisposizione,
entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del
decreto, di un progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale
Militare di Taranto, "ferme
restando la prioritaria destinazione ad arsenale del complesso, e le
prioritarie esigenze operative e logistiche della Marina Militare".
Le prioritarie
esigenze operative e logistiche della Marina Militare, che devono conciliarsi
con una razionale ed equilibratrice pianificazione del territorio cittadino,
andrebbero tutte verificate mediante una intelligente valutazione
delle reali, attuali e future, esigenze di difesa e procedere, previa
una obiettiva valutazione dei costi-benefici, al loro trasferimento nella nuova
base navale a Mar Grande.
Va tenuto certamente
presente il grande valore storico-culturale dell'Arsenale di Taranto che, con
le mutate esigenze militari di difesa, oggi può essere convertito come Centro
di studi scientifico-tecnologico internazionale.
Nel mentre si
avvia la conversione delle strutture ed infrastrutture dell'Arsenale di
Taranto, potrebbero, per il momento, coesistere –ancora in loco- le
residue attività manutentive del naviglio militare.
L'attività di
ricerca scientifico-tecnologica potrebbe fornire impulsi con esiti ora
inimmaginabili:
Procedere per
l'innovazione dei sistemi di difesa e per la progettazione di innovative unità
navali, civili e militari;
Puntare su temi quali i
materiali innovativi avanzati, il calcolo parallelo e le reti ad alte
prestazioni, ormai indispensabili nelle ricerche di aerodinamica e di
fluidodinamica, di chimica e fisica computazionale, nei progetti di reti
neurali, nei modelli di meteorologia e di climatologia, nelle ricerche di
biologia e di medicina -con interessanti ricadute nella la linguistica
computazionale- senza dimenticare ambiti relativi alla geologia e ai processi
geologici, all’ingegneria ambientale ed aerospaziale e all’ampio settore del telerilevamento.
Insomma, esistono
tutte le condizioni logistico-organizzative per struttura un’ampia di Area
della Ricerca Scientifico-Tecnologica del Mezzogiorno, localizzata nell'attuale
Arsenale M.M. di Taranto, patrimonio immobiliare di tutto rispetto e ben
infrastrutturato. .
Alla
predisposizione del progetto di valorizzazione culturale e scientifica, del
complesso costituito dall'Arsenale di Taranto, dovrebbero essere coinvolti
partner nazionali quali: il MIUR, il CNR, INFN, ENEA, con coinvolgimento di
partners internazionali.
L’integrazione
dei due Ministeri, MiBAC e Difesa, con il MIUR, dovrebbe essere prevista
in sede di conversione in legge del decreto.
La
predisposizione progettuale sarà facilitata se si terranno in
considerazione le
migliori pratiche già utilizzate dal Consorzio per l'Area di Ricerca
Scientifica e Tecnologica di Trieste, che gestisce e promuove l'Ente
Parco della Regione Friuli-Venezia Giulia, riconosciuto dal MIUR come
Ente Pubblico Nazionale di Ricerca.
Nei suoi due
campus di Padriciano e Basovizza (Trieste) sono ospitati 87 centri, società ed
istituti con oltre 2200 addetti impegnati in attività di ricerca e sviluppo,
trasferimento tecnologico, formazione e servizi qualificati. Adottando modalità
operative originali, AREA Science Park ha sperimentato sul campo un percorso
innovativo per trasferire competenze e tecnologie alle piccole e medie imprese,
valorizzare i risultati della ricerca e sostenere la nascita di nuove imprese
ad alto contenuto di conoscenza.
In sintesi, la
mission di AREA Science Park di Trieste si può suddividere in quattro filoni:
1) INNOVATION
NETWORK - Per far fronte alla crescente domanda di innovazione in ambito
regionale, è la prima rete italiana per il trasferimento tecnologico citata
come best practice europea. È una struttura articolata in Centri di
Competenza specializzati, attiva su tutto il territorio in collaborazione con
le realtà imprenditoriali, che opera su tematiche di interesse trasversale
(energia, efficienza produttiva, nuovi materiali) o su specifici settori
produttivi (legno-arredo, agroindustria, cantieristica e nautica).
2) INNOVATION
FACTORY – È una iniziativa che mette a disposizione strumenti, risorse e
competenze per affiancare i futuri imprenditori nella fase critica compresa tra
la nascita dell’idea imprenditoriale e la costituzione dell’impresa. Offre il
supporto necessario per l’analisi di scenario tecnologico, mercato potenziale e
possibilità di successo, i servizi di base per la gestione dell’impresa, nonché
possibili apporti di capitali di rischio, selezionando le iniziative con la
maggiore possibilità di successo.
3) INNOVATION
CAMPUS – Nata dall’esigenza di formare una nuova figura professionale, il
broker tecnologico, Innovation Campus è la prima scuola italiana di
trasferimento tecnologico. Agli operatori di enti e istituzioni nazionali offre
corsi di formazione continua, approfondimenti in singole aree specialistiche e
un laboratorio di supporto per l’affiancamento e la consulenza su temi legati
al trasferimento tecnologico.
4) DOMOTICA FVG –
Indirizza lo sviluppo della tecnologia verso applicazioni che rendano più
facile, sicura, piacevole la vita delle persone negli ambienti in cui vivono.
Il progetto intende rendere la regione Friuli-Venezia Giulia il riferimento
internazionale per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la diffusione dei
sistemi domotici, favorendo il trasferimento di tecnologie tra contesti
industriali diversi con l’obiettivo di sviluppare nuove applicazioni a costi
competitivi.
Aziende
innovative e centri di ricerca, pubblici e privati, trovano in AREA Science
Park l’ambiente ideale dove sviluppare e far crescere le proposte di ricerca e
di sviluppo tecnologico a scala globale.
Si è avviato un
processo in cui la fatica fisica dell’uomo sarà sostituita dalla robotica,
potenziando una crescente attitudine da parte dell’uomo: immaginare, inventare,
programmare e gestire.
L’esperienza di
AREA Science Park potrebbe oggi essere replicata nel Mezzogiorno d’Italia, a
Taranto, traendo occasione dalla favorevole disponibilità proprio delle
strutture e delle infrastrutture del pregevole complesso costituito
dall’Arsenale M.M.
Ad oggi la
questione più complessa, ma anche più stimolante e, con buone probabilità di
successo, è quella del riuso creativo per la “produttività” dell’ARSENALE
MILITARE, croce e vanto della città, oggi percepito –ormai dai più- solo come
un intralcio, un “bubbone” - e quando va bene, “un carciofo da sfogliare” , che
potrebbe, con un colpo d’ala, trasformarsi nel cuore pulsante della città, in
un futuro prossimo all’altezza dei tempi e delle nostre attese, che consentirebbe
l’arresto dello scivolamento del Borgo sul piano inclinato dell’abbandono,
verso la sua catalessi.
Infatti, a ben
considerare, potrebbe essere questa la sede ideale per il Parco Scientifico
Tecnologico “Magna Grecia”. Questo, se così pensato e collocato, potrebbe
divenire il contenitore adeguato, vista la consistenza dell’Arsenale Militare, di
un Polo d’eccellenza di ricerca applicata per ambiente, salute e nuove
tecnologie a respiro globale, capace di contribuire in maniera determinante a
strutturare un modello industriale circolare non più rimandabile. Una
preziosa occasione per superare la monocultura dell’industria di base a ciclo
integrale che nel prossimo futuro, oltre a dover funzionare per mezzo di
energia rinnovabile, vedrà l’impiego diffuso della robotica: l’occupazione, la
buona e copiosa occupazione, dovrà orientarsi sempre più nelle attività di
programmazione e verso i settori terziario e quaternario, ambiti –questi-
obbligati per la costruzione dei progetti del nostro futuro.
L’ambizione del
Parco Scientifico Tecnologico è di far sì che l’area industriale di Taranto sia
all’avanguardia nella corsa all’innovazione tecnologica, l’unica strategia che
ci possa garantire una presenza industriale di tipo circolare: sostenibile,
competitiva in qualità e –decisamente- molto meno impattante sull’ambiente.
Questo percorso
è praticabile in quanto, per esigenze sopravvenute, la base navale è stata
trasferita dal Mar Piccolo al Mar Grande, per continuare a garantire la pace
nell’area del Mare Mediterraneo, oggi epicentro delle maggiori turbolenze
politico-sociali con scontri religiosi su posizioni radicali. Nel contempo,
diventa possibile assegnare un nuovo ruolo al grande Arsenale Militare del Mar
Piccolo, depositario di oltre un secolo di esperienza tecnologica di successo,
esperienza che ha permesso l’epico evento del recupero della corazzata Leonardo
da Vinci affondata in Mar Piccolo, nel corso della prima guerra mondiale, il 2
agosto 1916 .
Il compendio
dell’Arsenale Militare comprende il canale navigabile, la Stazione Torpediniere, il Circolo sottufficiali, il Circolo ufficiali, l’Ospedale Militare a
Santa Lucia, la Direzione, le officine, i bacini di carenaggio, le strutture di
logistica e, senza soluzione di continuità, sino a Punta Penna, si affaccia sul
Primo Seno del Mar Piccolo.
Si tratta di un quadrante urbano del Borgo di alto
valore paesaggistico, di buona qualità edilizia ed architettonica, sia degli
impianti industriali che degli uffici: un grande patrimonio immobiliare da
mettere a valore sia come Parco Scientifico-Tecnologico, sia come Grande
Officina Culturale per la valorizzazione dell’ingente e prezioso patrimonio
archeologico proveniente dal nostro territorio e conservato, nei più
prestigiosi musei pubblici e nelle maggiori collezioni private, in tutto il
Mondo. Una grande realtà che se convertita potrebbe costituire un grande
attrattore turistico, per le Terre Joniche, la Valle D’Itria ed il Salento,
sino ad Otranto.
Tanto più che il compendio
militare è servito da una propria ferrovia di servizio: la Circumarpiccolo, che
se convertita in Metropolitana di superficie, è già connessa, tramite la
stazione Galeso al rione Tamburi e con le Ferrovie Regionali Sud Est, a
Gagliano Capo di Leuca.
Un collegamento, quindi, con
i poli turistici regionali più promettenti: la Valle d’Itria, sito Unesco, e la
Penisola Salentina, che attraverserebbe il cuore della Chora tarantina. In tal
modo, l’intera cittadinanza, e non solo, avrebbe la possibilità di muoversi
meglio e di godere, per la parte salvata, di quanto ameno potesse apparire il
paesaggio agli occhi incantati di Virgilio, Orazio, Mecenate e Columella.
L’antica
ferrovia militare convertita
in metropolitana di superficie congiungerebbe, inoltre, la
stazione centrale con il Borgo.
Essa
utilizzerebbe per il primo tratto il tracciato poco frequentato della tratta
Taranto-Brindisi, - con affaccio sul primo seno del Mar Piccolo; da qui
passerebbe a monte di Buffoluto sul secondo Seno, alle spalle della sorgente
dei Battendieri; a valle dell’ex masseria S. Pietro – attuale Relais Histò –
scavalcherebbe il canale d’Aiedda Leverano d’Aquino e toccherebbe la struttura
agroturistica San Giovanni in agro di San Giorgio; poi passerebbe a monte della
Palude La Vela e proseguirebbe per la contrada Manganecchia, la Pineta Cimino sino all’interno dell’Arsenale nel centro del Borgo.
Circostanza,
questa, di grande rilevanza in quanto è in corso la rivalutazione e l’adeguamento
tecnologico di tutta la linea ferroviara, sia come TPL che per fini turistici
e per le merci.
In
questa ottica ci si propone:
- di
rivitalizzare la direttrice Lecce-Manduria-Sava (già finanziata per la
elettrificazione) con scambio in questo scalo e l’inserimento della linea TA-
BR, da Francavilla Fontana verso Grottaglie-Monteiasi-Taranto con traffici
pendolari, turistici e di trasporto merci;
- la
linea Sud Est da Francavilla a Martina Franca –più vocata alla mobilità
turistica;
-la
linea Martina Franca- Crispiano-Statte-Taranto, da destinare sia al traffico
passeggeri, che turistico.
L’ammodernamento
delle Ferrovie Sud-Est comporterebbe tra l’altro, finalmente, l’eliminazione
del passaggio a livello di via Galeso nel rione Tamburi, che costituisce una
strozzatura per il collegamento della città capoluogo con la popolosa Martina
Franca e con la Valle d’Itria, ossia un polo turistico di eccellenza che
comprende i Trulli di Alberobello tutelati dall’ Unesco.
Un
treno da non perdere ed è perciò il caso di prevederlo nel progetto Piano
Pluriennale Economico e Sociale Art. 21 Legge Regione Puglia n.19 del 24 luglio
2007.
La linea
ferroviaria è connessa con la rete dell’antica viabilità minore idonea, oggi, per
strutturare una moderna rete di percorsi escursionistici tra il Mar Piccolo di
Levante e i Comuni dell’Arco Jonico che gli fanno da corona. Per dare una
risposta in alterità alla mobilità urbana ci viene in aiuto il possibile riuso,
come metropolitana di superficie, del tracciato della Ferrovia Circumarpiccolo,
passata di recente al Demanio comunale. Questa metropolitana potrebbe essere la
struttura di connessione delle aree di pregio ambientale e paesaggistico,
urbane e preurbane, affacciantesi sul primo e secondo seno del Mar Piccolo e
darebbe respiro, forza e funzionalità al nuovo Pug per la mobilità delle
persone.
Lungo
il tracciato i caselli di servizio sarebbero tutti da riattivare: uno di
questi è vicino l’ex Masseria S. Pietro – una struttura agrituristica 5 stelle
con accluso un relitto di un giardino etnobotanico settecentesco con alberi
plurisecolari di cultivar autoctone – fico, mandorlo e giuggiolo, limone,
carrubo e intere pareti coperte di edera per il nettare necessario alle api per
la produzione del miele.
E’ ora che ci si
renda conto che l’avanzamento della civiltà umana non è determinata
esclusivamente dalla produzione di beni materiali, ma soprattutto
dall’elaborazione e fruizione dei beni immateriali e dal sapersi rinnovare.
Sono queste ultime attitudini a far progredire la conoscenza, la ricerca
applicata.
Le strutture
per le attività culturali e per la ricerca scientifica ed i grandi centri
direzionali sono necessari per la produzione e la fruibilità dei beni
immateriali, gli unici di cui l’umanità dispone in modo illimitato e
costituiscono gli elementi fondanti di una società diversamente ricca,
inclusiva, solidale e di respiro glocal.
Pertanto è
necessario verificare da subito, la disponibilità dell’A.N.V.R, coinvolgere il
CNR, le facoltà scientifiche ed i centri di ricerca pubblici e privati della
Regione, in connessione con i centri di ricerca di altre città siderurgiche del
Mondo afflitte dalle nostre stesse problematiche e alla spasmodica ricerca per
un modello di sviluppo industriale circolare.
Perciò i
tarantini, all’unisono, dovrebbero recuperare il senso di sé, attraverso una
rivisitazione delle nostre radici storico-culturali e della sofferta esperienza
d’industrializzazione di quasi 150 anni.
L’idea del Parco
scientifico tecnologico è nata con limitata ambizione e differenti orizzonti,
nell’ambito della Programmazione Strategica di Area Vasta Tarantina, con la
sottoscrizione di un protocollo d’intesa per un tavolo tra il Comune di
Taranto, la Provincia di Taranto, il Politecnico di Bari, l’Università degli
studi di Bari, l’Arpa Puglia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR),
Confindustria, l’Asl Taranto e l’Asi, salvo poi, quest’ultimo, a issare per
primo la bandiera al momento degli appalti.
Peccato che il
protocollo non sia stato sottoscritto dai soliti “retepete” del calibro
di Ilva, Eni, Cementir, Marina Militare, Alenia, Vestas, Marcegaglia.
Quando ci si
accinge a concepire un Parco Tecnologico a Taranto, va considerato che oltre
alla grande industria a ciclo integrale, vi sono tre interessanti realtà
industriali innovative per la filiera dell’energia rinnovabile e per l’uso di
nuovi materiali per l’aeronautica che potrebbero trovare linfa ed impulso
dall’attività di ricerca del Parco Scientifico Tecnologico:
a) una fabbrica
della Vestas, società danese che dà lavoro a circa 700 addetti, si occupa dei
sistemi eolici, producendo pale W90 e W52, rispettivamente con eliche di 44 metri e di 25 metri, con un ritmo di produzione di 5 grandi e 12 piccole ogni settimana;
b) una fabbrica del
Gruppo Marcegaglia, che ha installato una nuova linea produttiva destinata alla
produzione di laminati flessibili a film sottile in silicio amorfo, per
pannelli fotovoltaici atti a catturare l’energia solare;
c) lo stabilimento
dell’Alenia, collocato al confine del comune di Monteiasi connesso con
l’aeroporto Arlotta, per la produzione di grandi fusoliere in fibra di carbonio
per aerei di grande
dimensione.
II
Parco tecnologico scientifico è un’ipotesi di lavoro di ampia e profonda
portata culturale, industriale e sociale, un’opportunità per l’apparato
industriale pugliese e non solo.
La
Municipalità di Taranto, la Regione Puglia, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed i
prossimi commissari - nominati dal Governo per la gestione temporanea dell’Ilva
-, per rendere sostenibile la produzione dell’acciaio ed affinché il tutto non
si riduca nel mettere la solita “pezza a colore”, devono prendere atto che si
necessita di un panno adeguato per un vestito cucito su misura e da un maestro
sartore “cime d’artiere.”
Per
le prospettive dell’area industriale ed, in particolare dello stabilimento
siderurgico, per uscire dalla provvisorietà e dalle scorciatoie, sarebbe
opportuno coordinare e concentrare gli sforzi per strutturare il territorio,
per sostenere e sviluppare un nuovo modello produttivo per il futuro.
Sarebbe
opportuno, in questa fase, adoperare i migliori sistemi esistenti: Corex, Finex
e Meros (Maximized Emission Reduction of Sintering), come hanno fatto le
acciaierie coreane Posco, in collaborazione con la Siemens Vai, che hanno realizzato un impianto Finex.
Per
trarre il massimo beneficio dalla promulgazione del decreto governativo
sull’ILVA, sarebbe stato prezioso disporre del nuovo P.U.G. affinché, si
potessero cogliere le opportunità del passaggio
dell’IlVA spa - considerandola un bene di interesse
strategico nazionale -, all’amministrazione
straordinaria dello Stato, per le necessarie bonifiche e ammodernamenti
strutturali da realizzarsi entro 36 mesi.
Vogliamo
sperare che questa volta non si cada nello stesso errore che si compì con il
Piano Regolatore vigente redatto secondo l’adagio “doppe vippete bona
salute!”.
Invece,
è questo il momento per definire quale indirizzo dare, per quali obbiettivi,
con quali priorità, con quali risorse umane e finanziarie, come procedere, in
che tempi traguardare migliori condizioni di vita e di lavoro, senza ricorrere
ai soliti provvedimenti tampone.
Il
nuovo Piano Urbanistico Comunale, per il futuro, deve lasciare posto solo a
modelli d’industria circolare - i soli sostenibili- ed agire per tempo.
Continuare
la produzione dell’acciaio è un’ impresa asperrima ma non impossibile a patto
di avere il coraggio di provarci percorrendo la strada giusta e con mezzi
adeguati; non è il caso di buttare la spugna, perché ci dovrà pure essere un
motivo se le Direttive Europee producono comportamenti ed effetti differenti in
Germania, Francia, Belgio e Italia. È questione di perspicacia, volontà,
coerenza, responsabilità, coordinamento e tempismo.
L’acciaio
sarà ancora necessario, per costruire le programmate nuove reti ferroviarie
intercontinentali per il trasporto merci come quella che, partendo da Seul
congiungerà Pyongyang, Pechino, Mosca prima e proseguire per Berlino e da qui a
Parigi, quella che dal porto del Pireo giungerà a Belgrado e quella che dalla
costa sull’Oceano Indiano dell’Africa giungerà sulla costa atlantica. Per lo
sviluppo delle megalopoli occorre l’acciaio, non solo per gli edifici, ma anche
per le metropolitane e la costruzione di acquedotti lunghi migliaia di
chilometri.
Con
uno scatto di reni collettivo potremmo disporre di uno strumento operativo
idoneo per avviare un processo rigenerativo, non solo edilizio ed urbanistico
della città; si darebbe una concreta risposta alla questione ambientale che
grava sul nostro territorio e alleviare le inquietudini esistenziali che
assillano la popolazione.
Antonio
Rizzo soleva ammonire in simile ambascia che:” l’acque s’accogghie quanne
chiove ma le rezzole se preparene apprime!”
Il
recente decreto presidenziale potrebbe costituire una pioggia benefica se,
ancora una volta, non ci trovassimo con poche, vecchie e incapienti giare!
Nell’approntare Il Decreto, il Governo, nel preambolo,
ha ritenuto “la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni
per l’attuazione di interventi di bonifica, nonché di riqualificazione e
rilancio della città e dell’area di Taranto, anche mediante la realizzazione di
progetti infrastrutturali e di valorizzazione culturale e turistica”.
Più avanti prosegue:” Il Comune di
Taranto adotta ad integrazione del progetto presentato per il Piano nazionale
delle città un Piano di interventi per il recupero, la riqualificazione e la
valorizzazione della città vecchia di Taranto e lo trasmette al Ministero dei
beni e delle attività culturali e del turismo al fine dell’acquisizione degli
atti di assenso, comunque denominati, di competenza. Il Ministero, entro
sessanta giorni dalla ricezione degli atti, valuta la compatibilità degli
interventi con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.”
Pertanto, sarà
necessario procedere, con perspicacia, discernimento, piena cognizione di
causa, senso della misura, gradualità e basandosi precipuamente su se stessi.
Visto come sono
andate le cose sino ad oggi, con ritardi culturali, la perniciosa presenza di “portastendardo”
del circolo delle certezze assolute per effettuare la palingenesi universale,
mancanza di senso civico, inconcepibili distrazioni foriere di guasti
indicibili, si deve mettere mano ad una rigenerazione urbana integrale e
diffusa.
La città deve
smettere di crescere, ora per affastellamento ora per “irraggiamento stellare”,
perché così non aumenta la ricchezza pubblica (e non si asseconda nemmeno la
privata), né si determina la sua funzionalità, sostenibilità e attrattività.
Il diritto
all’ambiente, alla salute e alle condizioni di lavoro sempre migliori, è ormai
una conquista antropologica ed è destinata ad affermarsi nel mondo: basta
considerare l’accordo Cina-America sull’emissione dei gas serra del Novembre
2014 e l’agenda della prossima conferenza sul clima a Parigi.
La diffusione delle buone pratiche non avverrà negli
stessi modi, nel medesimo tempo nei vari contesti geografici per ragioni
socio-economiche e tecnico-industriali.
L’essenziale, per noi, è non segnare il passo ma
mettercela tutta per non essere gli ultimi della classe!
Inoltre, va
incentivata la vita di relazione, per vivere la città come “Bene Comune”, farla
divenire nel suo insieme fonte di creatività individuale e collettiva; per realizzare
uno stile di vita attrattivo si deve adottare un metodo di lavoro e di governo
partecipato, tra il Comune ed i cittadini, per arrivare ad interventi concreti,
mirati e coordinati sul territorio.
In questo
contesto si potranno prendere le giuste e tempestive decisioni per:
- tutelare e
rendere fruibili i biotopi di interesse regionale;
- il riuso
creativo e rigenerativo dei compendi civili e militari dismessi;
- garantire la
produttività d’impresa con l’innovazione radicale di processo e di prodotto
dell’intero apparato industriale della città;
- riempire i vuoti
urbani con interventi di piantumazione di aree boscate da mettere, con corridoi
ecologici, in connessione con la cintura di verde sviluppata intorno al Mar
Piccolo;
- intervenire con
progetti di valenza urbanistica ed edilizia-architettonica per spazi e
strutture d’interesse pubblico, per creare nuova centralità nei quadranti
urbani periferici costruiti ai sensi della legge 167 nei quartieri di Paolo VI
e Salinella;
- collocare il
nuovo ospedale all’interno della città costruita, in prossimità dello svincolo
autostradale della Tangenziale Sud Abateresta;
- sperimentare
forme di gestione partecipata delle strutture culturali, dello sport di base e
del verde pubblico e infrastrutture di servizio di interesse pubblico,
realizzate e gestite dal privato sociale organizzato, a servizio di un Area
Vasta.
Per questa
ultima esigenza, nel tempo è stata proposta al Comune, da società di scopo
qualificate, una richiesta per colmare una lacuna di Area Vasta.
La richiesta
veniva avanzata all’Amministrazione per realizzare - su area del Demanio
comunale, facente parte del Piano particolareggiato attuativo della Variante
generale al Piano regolatore CEP-Salinella ed aree contermini, destinata a
Parchi, giochi e sport- una pista per la guida sicura, difensiva,
ecologica e per i diversamente abili, basata su standard europei con annessa
stazione di rifornimento di veicoli elettrici e a metano. La struttura -di evidente
interesse pubblico- nel mentre migliorerebbe la preparazione dei conducenti,
perseguirebbe anche l’obiettivo economico di ridurre il costo delle polizze
assicurative e gli oneri sanitari della incidentalità stradale.
Tale struttura –capace
di soddisfare le esigenze non solo della provincia di Taranto ma anche di parte
delle provincie di Brindisi e Matera, dovrebbe essere predisposta per:
a)
migliorare
gli assetti e le competenze professionali dei patentati;
b)
realizzare
corsi di formazione professionale per conducenti di macchine operatrici
industriali;
c)
allestire
percorsi e mezzi idonei per le esigenze dei diversamente abili.
Altra proposta
significativa in quadrante urbano diverso nel PIRP di Paolo VI affianco alla
Casa di riposo delle Opere Pie Riunite V. De Cesare sarebbe la realizzazione di
un impianto di tiro a segno proposto dalla società “Vivere Solidale 2000 Srl”,
opera già inserita nel PIRP ed approvata dall’Amministrazione Comunale.
Il progetto,
fortemente sostenuto dal Consiglio di Quartiere, anche se è stato redatto
d’intesa con il Comune, il CONI e l’UITS, si è perso nelle nebbie di un
infinito quanto specioso contenzioso amministrativo.
È una enormità
il fatto che Taranto, città con una forte presenza militare, non abbia una
struttura adeguata alle necessità di migliaia di operatori, visto che perfino i
Vigili Urbani della nostra città devono recarsi a Brindisi per le
esercitazioni di tiro stabilite dalla legge.
È auspicabile che
l’Amministrazione provinciale, alleggerita di molti compiti d’ufficio,
collabori attivamente con l’Amministrazione comunale per la realizzazione di
strutture di interesse pubblico a spettro comprensoriale, colmando una grave
lacuna.
Taranto dovrebbe
diventare un Eco-City, in cui dovranno allignare modelli di vita
post-consumistici orientati, da un lato all’accesso ai beni materiali, ma con
un uso parsimonioso, e, dall’altro, al recupero della pratica dell’otium
romano, per meglio fruire degli spazi e dei beni comuni, comprendenti beni
naturali, paesaggistici e contenitori per le attività culturali.
Per imboccare
questa strada si deve stabilire con chiarezza quello che non si deve più fare e
pensare e poi passare a quello che si può e si deve fare, specificando tempi e
modi degli interventi ed il tutto codificato nel nuovo Piano Regolatore.
Non è
concepibile che la città di punta per l’intervento delle Partecipazioni Statali
del Mezzogiorno, capitale dell’acciaio, da oltre mezzo secolo, non abbia ancora
provveduto a dotarsi di:
- una sezione
della Biblioteca Nazionale;
- una sede propria
per l’Archivio di Stato;
- un Teatro di
innovazione.
Purtroppo, negli
ultimi decenni, se si escludono la Scuola sindacale della Cisl a Paolo Sesto,
la nuova direzione dello stabilimento siderurgico dell’ILVA, la nuova
Cattedrale di Giò Ponti in viale Magna Grecia, di grande valore funzionale e di
segno architettonico, si è visto ben poco.
Per giunta, non
sono stati sufficientemente apprezzate e rispettate in quanto:
·
la
prima è stata venduta e ora vi si svolge un’attività diversa dallo scopo per
cui era stata costruita;
·
la
seconda ha subito un destino peggiore perché, al momento del passaggio dello
stabilimento dalle Partecipazioni Statali ad Emilio Riva, questi, non capendone
la valenza, non intese acquisirlo ed oggi è rimasto in capo alla Fintecna
Immobiliare srl e, separata dallo stabilimento, ricade negletta nel territorio
di Statte;
·
la
terza è stata soffocata dalla costruzione, a poca distanza, di enormi edifici
e, con una parte delle aree alle sue spalle, ancora libere che - per il Piano
Regolatore vigente – risultano edificabili; andrebbero acquisite dal Comune, in
compensazione urbanistica, riconoscendo la volumetria di piano all’attuale
proprietà, ma spostandola in un altro quadrante urbano su aree del Demanio
Comunale, consentendo la loro sistemazione in funzione della chiesa. Così
scongiureremmo, una volta per sempre, il pericolo, sempre incombente,
dell’edificazione di un nuovo grattacielo, per completare l’opera.
Per raggiungere
queste mete devono cambiare le coordinate dell’immaginario collettivo,
l’impegno della classe dirigente e la collaborazione della cittadinanza tutta,
passaggio questo, quanto mai stretto, ma necessario.
Per come, nel
passato, si siano svolti gli accadimenti, su quali strategie nazionali e quali
necessità e spinte local,i ora militari, ora di sviluppo industriale, ora di
necessità occupozionale - e quanto sia da attribuire a merito o a demerito
delle scelte operative Statali o dagli Enti Locali “atterrate” sul territorio
e come si siano affastellate, Le sono state già ampiamente evidenziate nella
lettera documento inviataLe, il 25 Marzo 2012, da Carlo Marchese, presidente
del Club il Riformista. Perciò, per il passato, come consigliava Diego
Marturano: “còfənə sòttə e còfənə sùsə!”
Oggi, spetta
alla nostra generazione decidere su quale livello di partecipazione,
condivisione, concertazione si dovrà redigere il nuovo Piano Regolatore, idoneo
a superare l’attuale modello di sviluppo industriale lineare, non più
sostenibile, ed avviarsi,” sullette sullette”, verso quello circolare.
Per bene
cominciare, il nuovo Piano Regolatore non deve essere sovradimensionato,
asimmetrico e sfilacciato come quello vigente, che risulta superato per il suo
approccio culturale, disatteso in gran parte, compromesso da interventi non
regolamentati, tra loro contraddittori e incongrui, fuori posto e fuori scala,
punteggiato dalla presenza di infrastrutture lasciate incompiute, e non solo,
per mancanza di fondi.
Per questi
motivi, è necessario lavorare su previsioni demografiche attendibili,
valutazione attenta dei dati statistici, per quantità e qualità, procedere con
le analisi geopolitiche globali, al fine di posizionare la città in modo da
coglierne le opportunità. E’ necessario, altresì, riflettere sulle ragioni dell’instabilità politica,
generata dai conflitti religiosi -su posizioni radicali- che investono tutta la
sponda sud del Mediterraneo e l’attiguo Medio Oriente, tra le tre religioni
monoteistiche - “le religioni del libro” - e le loro varie ramificazioni.
Analoghe dinamiche si registrano in Asia, tra Sikhismo, Induismo e Buddismo,
generatori di ondate di profughi che si riversano sulle nostre coste, per poi
espandersi in tutta Europa - un’area di maggiore stabilità politica, di
prosperità e in forte calo demografico. Quindi, il nuovo Piano Regolatore deve
rispondere anche alle esigenze di una città multietnica e multiculturale.
Per la nostra
amara realtà è una grande montagna da scalare! E quindi “Mò te vògghie,
ciùcce mie, a sta nghianate”! una sfida per tutti! e, speriamo, una fatica
comune da compiere secondo l’insegnamento che “non esistono situazioni
del tutto vantaggiose o svantaggiose: tutto dipende da come le si osservano e
con quali tensioni e forze si affrontano” (Sunzi).
Dopo aver
preliminarmente separato il grano dal loglio e individuato i punti di forza per
attirare interessi culturali e investimenti di capitale umano ed economici,
superata la pars destruens con analisi serrate, impietose e puntuali che
valutino lo stato dell’arte dell’inquinamento del suolo, sottosuolo, acqua ed
aria per individuarne le cause, scegliere i rimedi più opportuni e praticabili
per rimuoverle o almeno attenuarle, preferibilmente per resilienza, si
programmi come separare la commistione tra aree residenziali e aree
industriali.
In tal modo,
diviene più agevole passare alla “pars construens”, puntando a progetti di
futuro a livello micro e macro, che siano replicabili. A livello micro:
cominciando la catena dei giardini etnobotanici del Vecchio di Còrico; a
livello macro: la conversione del grande arsenale militare in centro di ricerca
applicata, cercando di inglobare nel nuovo Piano Regolatore la cospicua eredità
storicoculturale, le risorse naturali, le bellezze paesaggistiche ed il
consistente patrimonio etnobotanico ed etnozoologico nella catena di valore del
territorio.
Questo ci
permetterebbe di intercettare e appagare l’anelito al cambiamento della gran
parte della popolazione, desiderosa di vivere in una città green partecipata,
inclusiva, con il culto del senso civico, necessario per il radicamento del
senso del bene comune e dell’etica pubblica.
Vanno rimosse le
cause materiali ed immateriali di tutto quello che sconcerta, scoraggia,
indigna la cittadinanza e genera ora ribellismo ora nichilismo, ma quasi mai
decisioni ponderate e risolutive.
Se si
continuerà, more solito, nonostante le geremiadi, le grida, gli strepiti e le
millantate soluzioni miracolistiche, non riusciremo a cavare il ragno dal buco:
invece, occorre cambiare spartito, orchestra e direttore, pensare a
comportamenti e soluzioni in alterità.
In questa
logica dobbiamo individuare le ragioni del perché:
1.
la
stazione merci di Nasisi, di proprietà di Treni Cargo Italia S.p.a., sia poco
utilizzata;
2.
la
ferrovia della Circummarpiccolo, un tracciato di grande pregio panoramico, non
venga ripristinata come metropolitana di superficie, per una migliore mobilità
della città di Taranto e San Giorgio, un’idea vecchia quanto il cucco che
stenta a materializzarsi;
3.
il
bioparco del Galeso, un ameno polmone di verde di 50 ettari, debba essere tanto propagandato e agognato, ma restare l’eterno incompiuto;
4.
il
Parco delle Rimembranze sulla riva del Primo Seno del Mar Piccolo debba
languire in semi-abbandono;
il
Parco del Tratturello Tarantino, una volta progettato e viene lasciato
dormiente nell’archivio edilziocomunale, parte integrante del Piano Produttivo
Comunale allo svincolo Taccone;
5.
la
ex batteria Militare del Galeso, passata dal Demanio Militare a quello
comunale, ristrutturata come centro di educazione ambientale, or sono un
decennio, non è mai entrata in funzione, nonostante le sollecitazioni del WWF
Taranto e di Italia Nostra;
6.
non
debba trovare collocazione la nuova struttura ospedaliera nel compendio di
logistica militare dismesso, di 12 ettari di estensione, posizionato in un quadrante urbano della città consolidata e ben collegato con lo svincolo
autostradale abbate Resta, invece di posizionarla in piena campagna in contrada
La Cicoria.
Allo stesso modo,
non ci possiamo capacitare della presenza di veri e propri ascessi edilizi,
edifici iniziati e non finiti, spesso collocati o nelle strade d’ingresso alla
città o adiacenti a luoghi di intensa frequentazione, che non è proprio un bel
guardare quali:
1. l’oleificio
Costa e il cementificio dello Jonio ammantati d’amianto, sulla litoranea 106
Taranto-Reggio Calabria;
2. nel quartiere
Salinella, a fianco allo stadio Jacovone, in via Lago di Como, da oltre un
trentennio, fa bella mostra di sé lo spiccato in cemento armato dell’edificio
per la nuova sede del liceo artistico[8];
3. allo svincolo
Abate Resta della Tangenziale Sud, in costruzione, spicca una struttura di
logistica militare in disuso, un vuoto urbano di dodici ettari, prospiciente
Taranto Due – già servita da tutte le reti dei servizi urbani -, inserita nell’
elenco dei beni demaniali della marina militare alienabili, che, per lo spazio
di un mattino, fu indicato come sito idoneo per collocare la nuova struttura
ospedaliera – al servizio della città e della vicina base navale – ma che
invece, per “l’uzzolo” di qualche scapestrato, si è pensato di sbatterlo in
piena campagna, nella ubertosa contrada La Cicoria;
4. sulla strada
Taranto-Martina l’ex macello comunale all’ingresso del rione Tamburi, edificio
da anni dismesso nonostante sia stato oggetto di un ottimo progetto di restauro
conservativo e riuso già nel 1996, con sigla P.P.U. ’96-Ta2 (Urban Pilot
Projects 1994-1999), intitolato Affaccio costiero sul Mar Piccolo - redatto
dall’arch. Vincenzo De Palma, dall’arch. Mario Romandini, dall’arch. Angelo
Catapano, dal Perito Industriale Gianfranco Sperti, con la consulenza di
esperti esterni: l’arch. Claudio Adamo e l’arch. Francesco D’Elia. Il progetto
di ristrutturazione e riuso era finalizzato alla creazione di un Polo Informatico
Urbano per la programmazione, pianificazione e gestione degli interventi di
riqualificazione territoriale: un vero peccato che non sia andato a compimento
visto la utilità per la città.
Quello che è del tutto “incomprensibile”,
quanto intollerabile per la sua assurdità e “oscenità amministrativa”,
perché nel contempo, ci sconforta, angoscia e umilia, è l’arcano del come,
perché e per chi, da oltre un trentennio, si siano fermati i lavori – pur
essendoci, al tempo, i finanziamenti dalla Cassa per il Mezzogiorno - del
tronco della Tangenziale Nord di Taranto con tracciato dallo svincolo Taccone,
sulla strada statale Taranto –Martina Franca, comune di Statte, aggiramento
dell’area industriale ed uscita sulla S.S. 100 Taranto- Bari, all’altezza
della masseria Gravinola Vecchia, al confine tra il territorio di Massafra e
quello di Statte.
Tronco autostradale necessario per il completamento
della grande e tanto propagandata arteria interregionale la Bradanico- Salentina da Nardò a Candela, indispensabile per l’affrancamento dei cittadini di
Taranto e della zona orientale della Provincia dall’attraversamento dell’area
industriale, per tutta la sua lunghezza, per raggiungere il capoluogo regionale
- una vera enormità, una sorta di “forche caudine tarantine” - che non sono
riusciti ad eliminare sia il Comune di Taranto sia l’Amministrazione
Provinciale e che, oggi, si trova scaricata sulle gracili spalle del Comune di
Statte, che è il primo ad esserne danneggiato, lasciandolo imbottigliato.
Per questo motivo, opportunamente, il tracciato è
stato confermato dal Comune di Statte nel proprio Piano Regolatore ed
attualmente è all’esame della Regione.
Per procedere
nella fatica di separare il grano dal loglio e cambiare verso, occorre, visto
il magro risultato dell’operato di organismi consortili di scopo, provvedere
alla trasformazione dell’ASI – organismo che sin dalla sua costituzione,
ininterrottamente, ha svolto un ruolo meramente ancillare a sostegno delle
strategie e del comodo della grande industria pubblica e privata, nonché
provvedere all’ apertura del capitale azionario delle società Distripark spa ed
Agromed spa, con allargamento ad operatori con interessi nella filiera della
logistica e ruolo globale: una strada, questa, obbligata per rilanciare le due
società..
Questa
“scabrose” ma necessaria operazioni sono di ausilio nel ricomporre un quadro
sociale di riferimento coeso, “alleggerito” e motivato, indispensabile alla
città per ritrovare tutto il senso di sé.
Frugando nelle
nostre radici storico-culturali e attingendo all’esperienza di cento anni di
industrializzazione, potremmo meglio individuare gli obiettivi prioritari da
traguardare in un orizzonte comunemente condiviso.
Un’altra
difficoltà da considerare è la presenza di edilizia non regolamentata di ogni
tipo e sparsa per ogni dove, facendo di Taranto, in proporzione agli abitanti
residenti, la città con la percentuale di edilizia spontanea più alta d’Italia.
Per superare
fatti urbanistici tanto incongruenti quanto disturbanti si dovrà adottare un
diverso approccio con l’ambiente, in considerazione del risparmio del suolo
agricolo e dell’acqua, del risparmio energetico, dell’abbattimento dei gas
serra per far fronte al riscaldamento climatico. La salvaguardia della
biodiversità è una vera e propria emergenza: in un secolo il 50% delle specie
marine si sono estinte, causa l’antropizzazione sfrenata e l’uso sconsiderato
delle risorse ittiche -.
Un
segno di vitalità, di cambiamento di passo e di ritrovata sensibilità
ambientale e volontà sociale l’iniziativa avviata dalla rete “aperta” di scuole
statali dell’arco Jonico denominata: “La Nuova Magna Grecia,”, costituita al fine di recepire le sollecitazione del Protocollo d’Intesa sottoscritto tra il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ed EXPO 2015
S.p.A. in accordo con il Padiglione Italia.
*************
Se vogliamo fare
un buon lavoro, non è più tempo per “le chiange chiange”, le zizzanuse ma è
solo il tempo pè l’uemmne mbarate, de cocchere, de ciappe e, apprìm’apprìme,
l’uemmene de core!
La fruizione deve
essere tanto appagante quanto esperienziale! Così i Parchi Naturali Nazionali e
Regionali, le nostre aree agricole ubertose, la cui messa a colture risale alla
riforma agraria di Archita o alle centuriazioni romane, i nostri giardini
etnobotanici della catena del Vecchio di Còrico arricchiscono la catena di
valore del territorio e perciò dovranno essere percepite come le cose più
preziose da difendere, con le unghie e con i denti, se necessario contro tutti
e tutto, per noi e le future generazioni. L’occasione propizia per leggere e
raccontare la memoria in uno con il nostro tempo e con le sue ombre e le sue
luci!
Perciò,
sarebbe d’uopo:
·
evitare
lo sciupio del suolo agricolo e ridurre, il più possibile, inutili quanto
dispendiosi interventi smisurati di superfici impermeabilizzate con stradoni
fuori scala – una viabilità faraonica già censurata dalla Regione in
occasione dell’approvazione della vigente variante generale al Piano
Regolatore;
·
considerare
meglio gli aspetti strutturali geologici e idrogeologici, prevedere
precise misure per la mitigazione e gestione dei rischi naturali ed antropici e
mettere in essere strategie adattive e di resilienza, incoraggiati da quanto
accade nel secondo seno del Mar Piccolo con la ricomparsa massiva dei
cavallucci marini – animali di riferimento per la qualità delle acque -, grazie
anche all’azione feconda della zona protetta gestita dal WWF Taranto;
·
pianificare
la sistemazione dei compendi industriali civili e militari dismessi, con
prescrizioni cogenti nei modi e nei tempi, per un uso razionale e contenuto del
suolo, con diverse ipotesi di recupero, con il riuso dell’immobile e
rinaturalizzazione delle aree libere, con inserimento nel sistema urbano, a
completamento di standard urbanistici per strutture di nuova centralità o di
ampliamento della rete infrastrutturale del verde e dell’impiantistica sportiva
di base;
·
ricucire,
attraverso il potenziamento e il raccordo con corridoi ecologici del verde,
delle aree sfilacciate destinate a servizi -ma che risultano essere solo disegnate
sulla carta- intorno ai comprensori di edilizia economica e popolare.
In questa
logica è opportuna la valorizzazione, attraverso ristrutturazione e riuso,
delle antiche masserie collocate in area urbana e preurbana adibendole ad
attrattive strutture agrituristiche, con annessi giardini etnobotanici
fruttiferi a gestione partecipata - da ampliare ed arricchire con varietà
colturali autoctone -, espressione di autenticità, socialità e riconoscibilità,
fruibili dalla cittadinanza ed elemento di richiamo per il turismo
esperienziale, quali:
1)
la
Masseria “La Mutata”, all’ingresso della città nel rione Tamburi sulla strada
Taranto-Martina Franca, vicinioria alla stazione ferroviaria di testa delle
ferrovie regionali Sud-Est, inserita in un uliveto secolare di due ettari
affacciato sul Mar Piccolo all’altezza della presa d’acqua dell’idrovora Ilva,
di proprietà delle Opere Pie Riunite S. Zuccaretti e V. De Cesare, un tratto indubbiamente
suggestivo dell’ipotizzato Lungomare pedonale terrazzato;
2)
la
Masseria “Massarotti”, sulla Vicinale della Salinella, casa padronale,
cappella, trappeto, ampie stalle voltate e giardino con esemplari di cultivar
autoctoni di alberi di pero, albicocco e susino;
3)
la
Masseria “Il Pilone”, sulla strada vicinale del Trullo all’interno del Piano
attuativo in perequazione urbanistica “La Salinella ed aree contigue”, per la quale il restauro conservativo e il riuso devono considerare i riferimenti
storico-culturali collegati all’antica struttura che ha preso il nome
dall’antico abbeveratoio pubblico posto all’esterno , al limite di via del
Trullo. Questa Masseria per secoli è stata percorsa da carovane di bestie da
soma per il trasporto del sale dalla Salina Grande al Porto di Taranto:
attività lucrosa assegnata ai tempi di Re Manfredi al potente Monastero
Italo-Greco di San Vito del Pizzo, e successivamente trasferita direttamente
all’Università di Taranto, e da questa mantenuta per secoli;
4)
la
Masseria “Torre Rossa”, antica masseria armentizia, ristrutturata per un
moderno agriturismo esperienziale sulla enogastronomia della civiltà della
transumanza e con maneggio con cavalli. Un luogo prezioso per godere del
paesaggio del territorio, percorrendo gli antichi tracciati stradali che
consentono di visitare la rete delle grandi masserie, in parte recuperate,
intorno al Mar Piccolo, con tappa fondamentale al Parco Regionale Palude La
Vela. La Masseria, posizionata sulla parte finale della Gravina Torre Rossa,
sul secondo seno del Mar Piccolo, è dotata di una piccola sala ricevimento ed è
impegnata nella produzione di uova, formaggio,
5)
la
Masseria “Il Mucchio” collocata lungo la via Appia di fronte alla vecchia
direzione dello stabilimento ILVA spa;
6)
la
Masseria “San Pietro”;
7)
la
Masseria “San Giovanni”;
8)
la
Gualchiera dei Battendieri;
9)
la
Masseria “Le Lamie”, antica masseria armentizia, ubicata intorno al secondo
seno del Mar Piccolo composta da casa padronale, stalle, trappeto, jazzo
completo di camino per la lavorazione del latte e di locale per la stagionatura
del formaggio e con un oliveto attiguo di 12 ettari con patriarchi vegetali di 500 anni, nonché numerosi siti di interesse archeologico a
datare dal Neolitico e poi dal periodo greco, romano, bizantino, interessata
da un tratto della via Appia che conduceva a Carosino passando a nord del Mar
Piccolo,
10)
il
Casino Colella in contrada San Donato,
nell’agro
orientale di Taranto. Collocato sull'asse stradale Talsano-Faggiano, contornata
da una piantata di ulivi secolari, la Masseria si presenta con l'abitazione
padronale “palazzata”, a “corte chiusa”, con impianto per la lavorazione
delle uve e per la conservazione del vino. La cappella con una graziosa
facciata barocca è inserita nel corpo di fabbrica padronale ed accessibile
anche dall'esterno -. La parte meno vistosa ma più interessante sono le ampie e
complesse strutture ipogee (locali per la raccolta delle acque meteoriche,
cisterne per la conservazione del vino, pozzi interconnessi con camminamenti
ipogei). Nell’annesso
giardino insistono patriarchi vegetali di cultivar di albicocco, di arancio, di
limone, di mirto tarantino, di olivo, di susino, di pero, di melo,
di albicocco, di fico, di bergamotto, di corbezzolo, di giuggiolo e di alloro.
E’ di per sé evidente che debba essere quanto meno
doveroso tutelare e valorizzare questi beni, in ossequio alle indicazioni del
decreto-legge sul Piano nazionale della città del 22/06/2012.
Il nuovo Piano Regolatore
dovrà essere costituito da una parte strutturale ed una operativa, per tutto il
territorio, che normi in modo differenziato, per poter intervenire nei
diversi quadranti urbani:
- la Città
Vecchia, il Borgo e l’Arsenale;
- la città consolidata, con
conformazione è già avvenuta come comprensori di edilizia economica e
popolare e piani di lottizzazione
convenzionata;
- le are sfilacciate interessate dalla
edilizia non regolamentata.
Nella città
consolidata si deve tendere ad un piano per la realizzazione di una Smart city:
parcheggi interrati, stazioni di ricarica per le batterie per i mezzi di
trasporto elettrici o per l’erogazione dell’idrogeno, necessari per abbattere
l’emissione CO2 e gli altri gas serra .
Per
l’introduzione delle merci, invece, diventa necessario realizzare due
piattaforme logistiche minori, una ad Occidente e l’altra ad Oriente della
città, in prossimità degli svincoli di accesso alle Tangenziali Sud e Nord, per
il trasbordo delle merci da e per il centro urbano.
Oggi per
avviare un concreto ed efficace processo di riordino e di corretto uso del
territorio ci viene in aiuto la perequazione/compensazione urbanistica che
rimette al centro del governo del territorio l’Amministrazione Comunale: si
tratta di uno strumento efficace da applicare a tutte le aree oggetto di
trasformazione urbanistica.
Per gli
interventi nei complessi dismessi, gli indici perequativi territoriali, le
compensazioni ed eventuali premialità incentivanti da riconoscere ai
proprietari, devono essere proporzionati alle opere da realizzare e alla
bonifica e naturalizzazione della intera area di pertinenza ed all’interesse
sociale.
Se ciò andasse
in porto senza ulteriori tentennamenti e “ripensamenti”, si potrebbe mettere la
città nelle condizioni di poter ripensare, tonificare e gestire il già
costruito, collegandolo, in sinergia, alla nuova, limitata, mirata e
controllata espansione urbanistica.
Ciò
significherebbe, per i tarantini, alzare la testa tutti insieme, rimboccarsi
le maniche, concorrendo in prima persona al bene comune, tenendo a mente il
proverbio “chi fa da sé fa per tre”, che –solitamente- vale quando si
tratta di interessi individuali ma non quando si tratta di quelli collettivi e,
soprattutto, quando trattasi della fruizione dello spazio pubblico sia nel
Centro Storico che nei quartieri periferici. Oggi, il principio
perequativo\compensativo permetterebbe all’Amministrazione Comunale di
promuovere e accompagnare l’iniziativa privata e, nel contempo, salvaguardare
gli interessi generali e diffusi.
Infatti,
partendo dalle situazioni di fatto e di diritto degli immobili e delle aree di
pertinenza, sollecitando il coinvolgimento degli attori interessati,
conciliando e regolando gli interessi plurimi coinvolti si può intervenire per:
- regolare e
contenere la rendita fondiaria, in una logica di equità;
- evitare che
nelle procedure di esproprio per pubblica utilità si ricorra alla Giustizia
Amministrativa che, in alcuni casi, ha tempi più lunghi dello stesso mandato
amministrativo della Giunta in carica e, spesso, con esito imprevedibile;
- procedere con
uno strumento giuridico adatto per definire alcuni rapporti sia con l’istituto
di diritto pubblico dell’accordo e della convenzione, sia con l’istituto di
diritto privato del contratto;
- spostare la
volumetria di edifici per civili abitazioni, attività produttive e per servizi,
da un quadrante urbano all’altro in una logica di riequilibrio complessivo
della città per motivi ambientali, paesaggistici e storico-culturali e di
mobilità.
Con queste
procedure è più agevole cogliere le interconnessioni e le sinergie tra i
quadranti urbani oggetto di riqualificazione - centri storici e periferie -
dove le volumetrie dei fabbricati degradati da demolire per la pubblica e
privata incolumità, da anni dismessi, previa cessione dell’area di sedime degli
immobili demoliti al Comune, potrebbero essere trasferite su aree già nella
disponibilità dell’Amministrazione Comunale nei piani particolareggiati di
frangia, comprese quelle dei privati cedute in perequazione urbanistica.
Alcune aree
delle città consolidata, nella disponibilità del nostro Comune , in altre
città, sono state cedute -in base alla legge Tognoli-bis- ai gruppi di
residenti dei centri storici, organizzatisi in società cooperative di
scopo per la realizzazione di parcheggi interrati di pertinenza agli alloggi,
destinando la superficie di calpestio a parcheggi a rotazione d’uso pubblico.
Mal si concilia
l’impegno corale, a parole, di salvaguardare e rivitalizzare la Città Vecchia con lo stato di abbandono in cui versano i moli galleggianti collocati lungo il
fronte della Marina di via Garibaldi, dove molte tavole sono sconnesse e/o
divelte e molti bracci snodati di ancoraggio della banchina, risultano,
inopinatamente, sganciati correndo il rischio che, alla prima mareggiata, il
tutto si sfasci.
Se si vuole
invertire la rotta bisogna agire con sollecitudine, altrimenti tutto potrebbe
andare in malora, nonostante il vociare delle solite “anime belle” che,
a parole, indicano come obiettivo prioritario la riqualificazione del Borgo e
della Città Vecchia senza domandarsi sulle ragioni per cui circa il 50% dei
locali del centro commerciale e direzionale della città dei Due Mari (il
Borgo), un tempo orgoglio e vanto della città, quando affluiva una clientela da
un ampio bacino, sono serrati. Tantomeno ci indicano da dove partire, in che
modo, con quali progetti praticabili, con quale organicità e sostenibilità.
Nel caso della
cessione al Comune di edifici compresi nel centro storico o in area oggetto di
recupero dovrebbe essere riconosciuta l’intera volumetria da spostare nei piani
esecutivi di Nuova Centralità Urbana del nuovo piano urbanistico attuativo in
aree che sono nella disponibilità del demanio comunale ai quartieri di Paolo
Sesto e Salinella.
Uno dei problemi
annosi è quello di arrestare il degrado e l’abbandono della Città Vecchia.
Nonostante gli
sforzi i tentativi di venirne a capo, ad oggi, nel suo perimetro, se si esclude
Piazza Castello, pochi sono i casi di restauro da parte dei privati e gli
interventi pubblici risultano spesso incoerenti con il Piano di Restauro Conservativo
ed inefficaci per l’inclusione sociale.
Nell’insieme si
salvano l’ex Caserma Rossarol, già Convento S. Francesco, ora destinata a sede
universitaria che, pur comportando un’intensa frequentazione di giovani non ha
risolto il problema della sosta, il palazzo Pantaleo, il palazzo Latagliata,
il palazzo Amati, la torre dell’orologio, il Palazzo di Città.
Altri edifici
purtroppo sono stati lasciati a metà dell’opera, come nei casi eclatanti:
- del convento San
Michele, di proprietà dell’Amministrazione provinciale, restaurato a piano
terra e primo piano e adibito a sede del Liceo musicale Giovanni Paisiello,
mentre il secondo piano è a disposizione di colonie di piccioni e caccole.
Tuttavia, sembra che l’Amministrazione Provinciale, dopo la sua
ristrutturazione, abbia messo in agenda un radicale ed organico intervento per
proseguire nell’opera di restauro e di uso a favore del liceo intestato ad uno
dei tarantini più illustri e compositore più rappresentativo del Secolo dei
Lumi;
- del Tartarugaio,
appartenente al demanio comunale: una palazzina destinata a baluardo per la
difesa di una specie marina in pericolo di estinzione, la tartaruga Caretta
Caretta. Da tempo, però, sono stati sospesi i lavori dall’Autorità Giudiziaria
per vizi delle procedure amministrative e per sottovalutazione, da parte di
tutti i soggetti coinvolti, dell’impatto paesaggistico-urbanistico. Considerato
che l’attore principe in questo caso è il Comune, cioè tutta la cittadinanza, e
che è, nel punto in cui è collocato, giornalmente sotto gli occhi di tutti,
buon senso vorrebbe che, riconosciuto l’errore per “svista” grave di più
attori, , si completasse l’opera con un intervento creativo, quale azione
riparatrice collettiva. In tal modo, l’edificio - inopinatamente progettato e
costruito di fianco al porto turistico sul Lungomare Vittorio Emanuele-
potrebbe essere dissequestrato, completato e ricucito col tessuto urbano e
ricongiungersi con l’anima profonda della Città Vecchia. Si genererebbe così un
fecondo rapporto biunivoco tra il nuovo edificio e l’Isola, tramite un
ponticello, non solo fisico ma anche ideale, tra il marciapiede della ringhiera
con il terrazzo belvedere della palazzina: un affaccio per osservare la forza
della natura che si sprigiona dall’Anello di San Cataldo – l’unico citro del
Mar Grande.
Per dare spessore all’intervento, il WWF in uno con
la Coop. Culturale Punto Zero, propone di avvalersi dell’opera feconda di due
maestri dell’arte contemporanea Raffaele Bova e Aldo Pupino.
L’ipotesi progettuale prevederebbe la sistemazione
di sei opere progettate da Raffaele Bova “Omaggio ai citri del Mar Piccolo e
del Mar Grande” in formato 2,40 x 2.40 mt da realizzarsi o in marmo mischio o
in ceramica serigrafata, policroma e cotta al terzo fuoco.
Le opere restituiscono in modo efficace i citri del
Mar Piccolo: il citrə d’u jumə d’u Galesə, citrə
braccəfortə, citrə də ciambə, citrə
cascionə, citrə d’u curnlecchiə, citrə ajeddə, e
l’Anello di San Cataldo a Mar Grande, ipotesi avanzata da Cosimo Dellisanti,
socio del WWF Taranto, di recente laureatosi a pieni voti con la tesi “Il Galesus
Piscator di Tommaso Niccolo D’Aquino”.
Il Maestro Raffaele Bova ha approfondito il fenomeno
naturale nel 1987 durante un suo soggiorno a Taranto, che ha dato i suoi frutti
con la riproduzione in tutta la loro potenza e bellezza del fenomeno dei citri.
Le opere colgono in modo magistrale l’effetto del mescolamento dell’acqua dolce
sgorgata dal citro con quella salata, determinando nei gorghi diverse tonalità
dell’azzurro dell’acqua.
Operazione che, sussumendo l’anima segreta dei mari
di Taranto, attraverso l’opera del Maestro, in visione permanente sul terrazzo,
potrebbe sanare la dicotomia tra l’opera realizzata e la Città Vecchia.
Le opere, che erano state progettate per la collana
di multipli ceramici al terzo fuoco “Gli Ori di Taranto” edita dalla
cooperativa Punto Zero e diretta da Franco Sossi ed Arturo Tuzzi e oggi, messi
a disposizione dalla Cooperativa culturale “Punto Zero,” ci vengono in soccorso
per riparare ad un errore urbanistico. Questo è possibile poiché le opere sono
state progettate per essere realizzate in ceramica al terzo fuoco o in marmo
mischio e perciò idonee per essere inserite nel pavimento del terrazzo
belvedere del tartarugaio.
Le sei opere
riferite ai citri verrebbero sistemate, come in un libro aperto, nel pavimento
del terrazzo del Tartarugaio.
Qui le opere di
Raffaele Bova sprigionerebbero tutta la loro valenza culturale e potrebbero
aiutarci a riconciliarci con la natura e il paesaggio, la storia e l’anima
segreta della Città Vecchia con una moderna opera d’arte riparatrice. Un
omaggio doveroso al citro di Mar Grande: l’Anello di San Cataldo, il nome del
nostro Patrono.
Il terrazzo
belvedere così sistemato e completato verrebbe congiunto alla Città vecchia
attraverso un ponticello fisico e ideale con il Mar Grande.
Sarebbero così
ricomposte le maglie di un vissuto storico che nei millenni, spesso per
necessità di difesa, ha visto realizzate delle opere incongrue, poi demolite,
di cui oggi non si sente alcun bisogno.
A coronamento
delle opere di Bova, la ringhiera-balaustra in acciaio inossidabile sagomato e
traforato da uno dei più fecondi e versatili artisti tarantini, Aldo Pupino.
L’opera sarebbe
ispirata dalla fauna e flora marina, le sagome ritagliate dalle lastre di
acciaio INOX della ringhiera, sarebbero sistemate sulle pareti in carparo della
palazzina, creando un gioco di ombre e luci tra la leggerezza dei vuoti delle
lastre della ringhiera del terrazzo belvedere con il pieno delle sagome
ritagliate dalle lastre d’acciaio sistemate sulle pareti in carparo
dell’edificio.
Inoltre, per
dare forza e coerenza alla rivitalizzazione della Città Vecchia non ci possiamo
prendere il lusso di lasciare ancora non fruibili dalla collettività gli ampi
locali collocati sula sponda orientale del Canale Navigabile appartenenti al
demanio militare, con comodo accesso dalla rampa Leonardo da Vinci.
Trattasi di
locali voltati di pregio, estesi per circa 800 mq e, per la loro ubicazione,
per la qualità costruttiva, per la disponibilità della attigua area- parcheggi
di pertinenza (4 autobus granturismo), se opportunamente ristrutturati e
modernamente attrezzati, sarebbero quanto mai preziosi per lo svolgimento delle
attività culturali che contribuirebbero a rivitalizzare la Città Vecchia ed il Borgo.
Altresì la
struttura sarebbe idonea ad ospitare mostre, attività culturali e convegni
aventi ad oggetto anche le esperienze virtuose di rigenerazione urbana e
rivitalizzazione sociale realizzate da altre città europee e della sponda nord
dell’Africa.
Questi, se resi
fruibili, permetterebbero ai frequentatori di godere dello spettacolo
naturalistico del flusso di marea nel Canale: di Chioma e di Serra. Va
considerato, inoltre, che gli ampi locali sono prospicienti una sponda del
Canale Navigabile, dove, insieme a tanta acqua, è passata una parte importante
della storia urbanistica e militare e civile e religiosa della città dei Due
Mari.
Invero, sul
sito, storicamente fu eretto dai greci il primo baluardo di difesa,
successivamente rimodellato a Castello Svevo ed ampliato e ristrutturato dagli
Aragonesi sul progetto del senese Di Giorgio Martino. La fortificazione, volta
per volta, cambiò carattere ed aspetto in base all’evoluzione dell’architettura
militare, allo sviluppo delle armi da fuoco, alle tecniche di difesa ed alle
vicende geopolitiche, che man mano coinvolsero la città.
Tutto questo è
stato oggetto del recente saggio scritto a più mani “Il Castello
Aragonese di Taranto in 3 D nell’evoluzione del paesaggio naturale”.
Il lavoro è
corredato dall’elaborazione tridimensionale del Castello, che facilita la
lettura e la comprensione delle fasi storiche succedutesi, dalla seconda metà
del diciannovesimo secolo, dopo l’Unità d’Italia, alla istituzione della base
navale, dall’allargamento e approfondimento del fosso alla creazione del canale
navigabile, sino alla costruzione del ponte girevole tra le due sponde del
canale, progettato e costruito in ferro con la medesima tecnica costruttiva
della torre Eiffel, in sostituzione dei due ponti in muratura preesistenti.
L’apertura del
ponte avveniva dividendolo in due bracci, per mezzo di un’ingegnosa macchina
idraulica. Una manovra spettacolare che da subito costituì una grande
attrazione che, con il tempo, è divenuto il simbolo moderno della città.
Quando sarà
definito il nuovo Piano Regolatore a nessuno deve più essere consentito,
disinvoltamente e impunemente di calpestare il campo di grano comune per
raccogliere “nu paparine sule p’jdde” (un rosolaccio solo per sé);
Il rispetto
dell’ambiente, il sapiente uso delle risorse naturali, la creazione e la
degustazione del buon cibo è avvenuto nel passato e ci aiuterà a ripercorrere
la nostra memoria storica e a ritrovare l’orgoglio di appartenenza al nostro
territorio: la Magna Grecia, dove si è diffusa ed è fiorita la cultura della
buona tavola e le regole per un vitto salutifero.
La Cina è un grande
mercato di sbocco dei nostri prodotti, e la Puglia ha tutte le carte in regola, per la qualità e la quantità dei prodotti, per cogliere le opportunità offerte
dal mercato Cinese: nei prossimi anni si stima che vi sarà una propensione
sempre maggiore da parte dei consumatori cinesi a importare beni italiani
di qualità appartenenti a diversi settori (agroalimentare, tessile,
calzaturiero, abbigliamento, automobilistico, architettura, meccanica).
Il riordino della
nostra città deve essere strettamente correlato con la messa a valore del suo
territorio, posizionato nel Golfo di Taranto, che da millenni individua una
delle aree della Terra in cui, ininterrottamente e in modo straordinario e
diffuso, si è sviluppata la civiltà del vino e dell’olio, alla base della
cultura del simposio.
Ancora oggi in
molte contrade si pratica l’agricoltura biologica con produzioni agroalimentari
di qualità che rendono l’offerta turistica attrattiva e competitiva. .
Perciò i
tarantini, all’unisono, dovrebbero sollecitare l’Amministrazione Comunale a:
- stare “col fiato
addosso” agli apparati della Pubblica Amministrazione al fine di stimolarne la
rivisitazione, con adeguate e specifiche competenze tecniche;
- istituire corsi
di Lingua e Letteratura Araba, Russa e Cinese Mandarino, di durata triennale o
quadriennale, aperti alla frequentazione degli studenti iscritti alle Facoltà
presenti sul territorio e da inserire nei vari corsi come materie
complementari, per un nuovo modello razionale ed efficiente oltre alla
redazione di un Piano sostenibile per rientrare nell’agone globale e recuperare
il tempo perduto.
Questa
necessità è stata colta dal progetto Nihao Puliya, proposto da Laura
Anania e Tommaso Portacci, vincitori del concorso Principi Attivi 2012 della
Regione Puglia. L’idea progettuale fa riferimento alla realizzazione del primo
portale web creato da pugliesi in lingua Cinese e pensato per avvicinare la Puglia alla Cina, che offrirà informazioni turistiche, culturali ed economiche sulla Puglia (al
fine di rafforzare l’attrattività del brand Puglia per potenziali
turisti/imprenditori/studenti asiatici. ).
Le
nuove generazioni cinesi hanno preso piena consapevolezza del ruolo guida della
Cina negli assetti socio-economici mondiali e sono pertanto desiderosi di
conoscere in modo approfondito e diretto la vita e la cultura degli altri
popoli, tra cui l’Italia. La Puglia e il Golfo di Taranto hanno al loro interno
beni storico-culturali (concentrati nei Centri Storici), paessaggistico-ambientali
(rappresentati da campagne ubertose, sapientemente antropizzate, masserie,
trulli, gualchiere, grancie, trappeti ipogei) ed enogastronomici, già in parte
ristrutturati ed attrezzati per una agriturismo di qualità.
Ciò
comporta la necessità della presenza organica di funzionari con una buona
conoscenza di cultura e lingua mandarino all’interno di alcune postazioni
amministrative quali Autorità Portuale, Camera di Commercio, Amministrazione
Comunale.
Circostanza
emersa in occasione della conferenza Taranto area industriale: risorsa
nazionale ed europea per la competizione globale-Radiografia di un territorio:
ombre e luci, tenutasi in data 1 dicembre 2012 alle ore 09.30 presso la Sala Resta della Camera di Commercio di Taranto.
Alla
conferenza, organizzata dal Club Il Riformista, presieduto da
Carlo Marchese, hanno partecipato: Francesco Sisci, editorialista del Sole 24
ore ed esperto di politiche orientali, Fabrizio Marotta, capo redattore della
rivista di geopolitica Limes, Carlo Marroni, già direttore dell’agenzia Sole 24
ore Radiocor, Sergio Prete, Presidente dell’Autorità Portuale di Taranto, Luigi
Sportelli,
Il
porto di Taranto e l’aeroporto di Grottaglie potrebbero essere il fulcro della
piattaforma territoriale e logistica collegata, per via autostradale e
ferroviaria, al Tirreno, allo Jonio e all’Adriatico e caposaldo italiano del
sistema delle Autostrade del Mare, a supporto del corridoio intereuropeo 5,
costituendo una grande piattaforma logistica protesa nel Mediterraneo.
Il destino del
grande Aeroporto di Grottaglie è legato sia allo sviluppo del Porto, che alle
interconnessioni che questo saprà realizzare con i vicini porti dell’Adriatico
(Bari e Brindisi) e con i porti del Tirreno (Gioia Tauro e Salerno).
L’aeroporto “M..Arlotta” di Grottaglie è
classificato nella categoria 3 ICAO per il servizio antincendio, vanta la pista
d’atterraggio più lunga del Sud Italia con i suoi 3.200 metri di lunghezza e 45
metri di larghezza, ed è anche ben collegato alla grande viabilità
interregionale: una struttura di tutto rispetto per dimensioni e funzionalità
a servizio della filiera della logistica del Mezzogiorno.
Nell’evoluzione
naturale delle specie, spesso, a sopravvivere non sono quelle più grandi o più
forti, ma quelle che hanno maggior capacità di adattamento e sono in grado di
modificare a proprio vantaggio l’habitat che le circonda; mentre per le Nazioni,
invece, vincono quelle che hanno maggiore, creatività, pensiero lungimirante e
capacità di valutazioni geopolitiche.
Perciò
va incoraggiata la Cina ad inserire, oltre al porto del Pireo, anche il porto
di Taranto nella “Collana delle Perle”.
Giusta e propizia l’attenzione del
Governo che nel recente decreto così recita:
“Il CIS Taranto
è sottoscritto dai soggetti che compongono il Tavolo istituzionale permanente
per l’Area di Taranto, istituito e disciplinato con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri presso la struttura di missione “Aquila-Taranto-POIN
Attrattori” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro trenta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto. Il Tavolo istituzionale ha il compito di coordinare e concertare tutte
le azioni in essere nonché definire strategie comuni utili allo sviluppo
compatibile e sostenibile del territorio ed è presieduto da un rappresentante
della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed composto da un rappresentante
per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, della
difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché da un
rappresentante della Regione Puglia, della Provincia di Taranto, del Comune di
Taranto e dei Comuni ricadenti nella predetta area, dell’Autorità Portuale di
Taranto, del Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e
riqualificazione di Taranto e del Commissario straordinario del Porto di
Taranto, dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa. Il Tavolo istituzionale assorbe le funzioni di tutti i
tavoli tecnici comunque denominati su Taranto istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di quelli costituiti presso le amministrazioni
centrali, regionali e locali.”
È dovere della
Municipalità, in sintonia con gli obiettivi nazionali ed europei, coagulare le
realtà produttive, promuovere le opportune alleanze internazionali per
ammodernare e rilanciare la grande industria e per fare della piattaforma
logistica interregionale Jonio-Adriatico-Tirreno il nodo principale della rete
logistica del Mezzogiorno e prima porta dell’Asia in Europa e, con la
conversione dell’Arsenale Militare in Parco Scentifico Tecnologico e
Fabbrica Culturale, contribuire alla rinascita della Città Vecchia e alla
rivitalizzazione del Borgo come Nodo Turistico di eccellenza a servizio del
Distretto Turistico del Golfo di Taranto (Puglia, Lucania e Calabria).
Tutti
gli interventi sul territorio devono essere inseriti, in tempi certi e ordinati
per una facile lettura e comprensione, nell’Agenda Digitale del sistema Città.
Sarebbe
opportuno procedere tenendo in debito conto tutti gli Studi più recenti
relativi alla nostra Città ed all’intero territorio jonico.
In questa
sede, si segnala, a livello emblematico, la recentissima Tesi discussa dalla
Laureanda Rossella Ranito presso il Corso di Laurea in Ingneria Edile -
Architettura del Politecnico di Bari, Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria
Civile e dell’Architettura (DICAR).
La
Tesi ha il titolo –particolarmente significativo- di seguito riportato:
“Taranto:
dal territorio della Magna Grecia alla Città dell’Ilva.
Dalla
Città Ottocentesca al Mare attraverso i Giardini del Peripato”
Al fine di non
vanificare il tutto occorre il potenziamento degli apparati della Pubblica
Amministrazione con specifiche competenze tecniche – con biologi, geologi e
sociologi inseriti per pubblico concorso nella pianta organica - in sinergia
con il progetto di organizzazione approntato dal Governo per un nuovo modello
razionale ed efficiente, a partire dal riordino delle Province e dal necessario
disboscamento di quelle, tanto dispendiose quanto inefficienti, partecipate con
solo capitale pubblico.Taranto, ancora
una volta, con un nuovo Piano Regolatore adeguato, si trova nelle condizioni di
svolgere un ruolo importante per fare uscire l’intero Mezzogiorno d’Italia dal
sottosviluppo e dall’arretratezza e permettergli di convergere, sul piano
economico e sociale, con il resto del Paese mettendosi al passo con il Mondo
che cambia vorticosamente.
Signor Sindaco, gli autori
della presente, nella convinzione di contribuire alla stesura del Documento
Preliminare, avrebbero piacere di incontrarLa, in uno con i Vs. tecnici esterni
ed interni incaricati, per un confronto.
In attesa di riscontro Le
inviamo distinti saluti.
Taranto 09/01/2015
Fabio Millarte, Arturo Tuzzi, Giuseppe
Conte, Armando Palma, Cosimo Dellisanti, Adriano Fonzino, Giuseppe Albenzio,
Cosimo Orlando, Giorgio Sonnante, Michele Pastore, Giuseppe Benedetto, Vincenzo
De Palma, Giorgio Vitale, Stefano De Paola, Sabrina Del Piano, Aldo Pupino,
Giovanna Bonivento, Franco De Feis, Pino Cosmai, Mario Giorgio, Domenico Di
Cuia, Walter Guarino, Benedetto Lazzaro, Guglielmo De Feis, Luigi Costantini,
Claudia Pacifico, Barbara Patrizia Mori, Salvatore De Luca, Maria Scala De
Palma, Michele Tommaselli ,Vincenzo Attolino, Ilaria Margherita, Paola Ettorre
Boccuzzi, Annamaria Gallo, Lina Sorrentino, Gabriella Perrone, Roberto Perrone,
Filippo Di Lorenzo, Angelo Candelli, Enzo Ferrari, Mino Colomba, Raffaele
Rochira, Pasquale Ricci, Paolo Castronovi, Stefano Ripoli, Giovanni
Cristofaro, Angelo Palomba, Carlo Boschetti, Biagio Capriulo. Orazio Carbotti,
Francesca Carucci, Vittorio Pletto, Stefania Catucci, Roberto Millarte, Sara
Galizia, Francesco Mele, Marcella D’Addato, Emanuela Carucci, Daniele Aresta,
Mario Boschetti, Candida Fasano, Marco D’errico, Simona Mele, Erminio
Biandolino, Bruno Di Castri, Vittorio Labriola, Patrizia Russo, Lilia Candida,
Loredana Gatto, Ida Gatto, Emilio Stola, Lucia Stola, Annamaria Panessa, Simona
Soloperto, Teresa D’Assisi, Elena Tocci, Nicola Palagiano, Rossana Sangineto,
Mimma Dora Stola, Ugo Leo, Maria Zaccaria, Salvatore Lippo, Claudio Leo, Massimiliano Millarte, Vanda Ananias Dias, Hully De Fatima.