Nelle costituzioni di Bolivia ed Ecuador all'ambiente si riconoscono
alcuni diritti. Come per gli esseri umani. Non si recepisce semplicemente
un'acquisizione giuridica moderna che parla di quelli della terra (e
dell'acqua, dell'aria...) come diritti di terza generazione ma si riscopre
semplicemente una cosmovisione che è scolpita nell'anima della cultura
indigena che da sempre abita quelle terre.
In Italia, invece, la violazione o
le violenze usate contro l'ambiente vengono ancora considerate un delitto di
serie B. Chi sversa nella pancia della terra, del mare o dei fiumi, rifiuti
tossici, nocivi o pericolosi, nel peggiore dei casi se la cava con un'ammenda,
una contravvenzione. Ma spesso interviene una prescrizione a permettere di
farla franca a chi ha compromesso la salute di un territorio (e dei suoi
abitanti) per i secoli a venire. Da tempo in Parlamento c'è una legge ferma
con le quattro frecce che non viene approvata per semplici "problemi tecnici".
La campagna
Riparte il futuro (
www.riparteilfuturo.it) sta
raccogliendo firme per accelerarne il percorso. Presidenti di organizzazioni
ambientaliste e di società civile responsabile hanno proposto un appello che
chiede di riconoscere finalmente nel nostro ordinamento il delitto di
inquinamento e quello di disastro ambientale. Sarebbe un duro colpo alle mafie
che continuano a lucrare profitti inimmaginabili con lo smaltimento di
rifiuti. A noi viene chiesto di dare una mano.