COMUNICATO
DI PEACELINK
In questi mesi avevamo ripetutamente portato all'attenzione
dell'opinione pubblica i picchi di IPA cancerogeni a Taranto: erano un
segnale che qualcosa non andava.
Noi di PeaceLink - in contrasto con chi dichiarava sotto
controllo la situazione dell'ILVA – abbiamo segnalato le gravi criticità
mediante comunicati, esposti alla Procura e misurazioni.
La risposta della Commissione Europea c'è stata. Oggi
sappiamo che una pesante infrazione europea va avanti e si avvia ad uno
stadio di non ritorno. Il "governo europeo" ha quindi detto che il
Governo italiano è stato inadempiente su numerosi punti e continua ad
esserlo.
Dal canto suo la magistratura, che in questi mesi ha ispezionato
l'ILVA tramite i custodi giudiziari, dispone ora di elementi per un giudizio su
ciò che non è stato fatto dentro nella fabbrica.
In passato abbiamo scritto: "La domanda ora è la
seguente: c’è un pericolo continuato anche nel presente o il pericolo si è
interrotto grazie agli interventi di questo governo italiano che però la
Commissione Europea ora accusa di non aver messo a norma lo stabilimento?"
Oggi leggiamo la risposta della
magistratura: "Attività criminosa mai interrotta".
E’ una risposta in linea con l’aggravarsi della procedura di
infrazione europea che vede ILVA e governo italiano sotto accusa.
Affermando che "l'attività criminosa non si è mai
interrotta", la magistratura ha posto sotto la sua lente di ingrandimento
lo stato di attuazione delle prescrizioni dell'Autorizzazione integrata
ambientale.
Ricordiamo che legge 231, ad aprile 2013, era stata
giudicata "costituzionale" dalla Consulta (che ha respinto tutte le
eccezioni sollevate dai giudici di Taranto). Ma la Corte Costituzionale ha
anche subordinato la continuità produttiva dell'Ilva al rispetto dell'Aia sia
come tempi di attuazione che come prescrizioni. Cosa che non è avvenuta.
I tempi dell'Aia sono stati dilazionati nei mesi scorsi dal piano ambientale
dell'Ilva per la mancanza di risorse finanziarie. Questo ha rallentato il
cammino dell'Aia ma non ha certo interrotto l’inquinamento.
Era esattamente quello che sostenevamo noi da tempo.
Prolungando i tempi dell’AIA è stato prolungato un
inquinamento che era sotto gli occhi di tutti.
Ogni notte le ecosentinelle documentavano i fumi e
ogni giorno fotografavano la coltre orizzontale scura mattutina che si
addensava sulla città.
Immagini che confermavano le nostre misurazioni degli
IPA, le quali in alcuni giorni registravano picchi significativi in assenza di
vento o quando il vento proveniva dall’area ILVA.
Nelle scorse settimane avevamo documentato che il 99,4%
degli IPA cancerogeni di Taranto fuoriuscivano dall'ILVA. Questo difficile
lavoro di controinformazione ci è costato molte critiche. Ma finalmente oggi -
dopo l'intervento della Commissione Europea e dopo la lettera del GIP alla
Procura di Taranto - possiamo dire a voce alta che le nostre non erano
"farneticazioni".
Siamo ad una svolta.
1) La Commissione Europea dice: Ilva infrange le
direttive europee.
2) La Magistratura parla di “attività criminosa mai
interrotta”.
Dopo il 2012 i custodi giudiziari hanno continuato a fare
ispezioni e a raccogliere materiale per verificare lo stato di attuazione
dell’AIA mentre gli enti locali – che pure avevano firmato l’AIA –
sottovalutavano il problema. Eppure era sotto gli occhi di tutti - lo abbiamo
denunciato fino alla noia - che l’AIA rimaneva e rimane lettera morta per le
prescrizioni più importanti.
Eppure il Sindaco di Taranto Ippazio Stefano aveva
dichiarato, dopo aver firmato l’AIA: “Una firma condizionata. Se entro tre
mesi non toccherò con mano le novità richieste, approvate e sottoscritte,
ritirerò la firma su questa autorizzazione ambientale". (19 ottobre
2012, si veda file allegato)
Questo sindaco non ha mantenuto la parola, ma del resto è lo
stesso che dichiarò: “Se ricevo l’avviso di garanzia mi dimetto” (si veda file
allegato).
Unica solerte attività del
Comune di Taranto in campo ambientale sembra essere il taglio dei pini:
oggi ne sono stati tagliati degli altri in Piazza Lucania (si allegano le
immagini).
Gli enti locali sono rimasti a nostro avviso inerti sulle
questioni più gravi sollevate dalle nostre denunce, prova ne è il fatto che,
nonostante l'abbondanza delle analisi effettuate dall'ARPA, non hanno
neppure individuato ufficilamente chi inquina i terreni e la falda acquifera
e non hanno pertanto applicato il principio "chi inquina paga", che
compete loro per legge.
Oggi il potere politico trema. Temiamo dei colpi di coda.
Il Governo italiano sta cercando di correre ai ripari
riscrivendo il reato di Disastro Ambientale e chiedendo al Senato di approvare
al più presto un pessimo disegno di legge (il DDL 1345) già approvato senza
opposizioni alla Camera. Quella legge - riscrivendo malamente il reato di
Disastro Ambientale - equivarrebbe a un'amnistia e metterebbe a serio
rischio il processo all’ILVA e altri ancora.
Invitiamo tutti a vigilare perché non ci sia un nuovo
colpo di spugna: non si deve riscrivere il codice penale proprio ora.
Per PeaceLInk
Antonia Battaglia
Fulvia Gravame
Luciano Manna
Alessabdro Marescotti
www.peacelink.it