COMUNICATO STAMPA
M5S Bari, FIBRONIT: La morte viaggia sulle ali del vento e
sulle zampe della cattiva politica
L'era dell'amianto finisce a metà degli anni ottanta, ma la
città di Bari si accorge di avere un’immensa discarica di rifiuti di tale
sostanza, solo dopo dieci anni. Il sito della morte prende il nome dall’azienda
che per anni la ha prodotta: LA FIBRONIT.
Nell'area in questione, chiamata la "zona rossa" e che
abbraccia tre quartieri di Bari (Japigia, Madonnella e San Pasquale) e che ha
il più elevato numero di casi di mesotelioma pleurico, sono stati costruiti,
nei decenni, complessi edilizi residenziali, di una certa consistenza. Lì, col
tempo, si sono trasferite intere famiglie, per realizzare il sogno della casa
di proprietà. Per molte di loro però, quel sogno si è trasformato in un incubo
di dolore. Nella stessa area peraltro sono stati allocati diversi istituti
scolastici e persino una casa di riposo per anziani. Infine, nei pressi, ha
preso sede il Campus universitario, che rende questa zona di Bari strategica
per molti studenti fuori sede, che in essa trovano alloggio.
Sono pasati venti anni da quando associazioni del territorio, la stampa e
denunce provenienti da più parti, hanno acceso i riflettori sul sito inquinato.
L'allora sindaco di Bari, Di Cagno Abbrescia, sottovalutò la gravità della
vicenda e ci volle l'intervento della Provincia, con un dettagliato rapporto,
col contributo del Ministero dell'Ambiente, per scoprire che la contaminazione
dell'amianto, oltre ad essere presente in superficie, aveva avvelenato il
sottosuolo, fino ai 5 metri. Da allora partirono una serie di azioni
giudiziarie e amministrative. I protagonisti di questa vicenda furono Il Comune
di Bari, la FIBRONIT e la Procura della Repubblica.
Si
è così al 2003 e la giunta comunale, con a capo Di Cagno Abbrescia, decide,
vista l'inadempienza della FIBRONIT, decide di sostituirsi a quest'ultima e
delibera di eseguire i lavori previsti. Ma arriva una nuova doccia fredda, da
parte della Procura della Repubblica: le soluzioni tecniche individuate dal
Comune non appaiono utili, anzi potrebbero essere pericolosissime, perché le
fibre minerali rilasciate dall’amianto, non trattate a dovere, risultano
potenzialmente inalabili e, una volta nei polmoni, possono provocare danni
estremamente gravi come l’asbestosi, il mesotelioma ed il tumore ai polmoni.
Parallelamente, però, i cittadini non restano alla finestra. Oltre alle
associazioni, che per prime denunciarono la pericolosità del sito, nasce anche
un “Comitato Cittadino Fibronit”, che ha come obiettivo la realizzazione, sul
sito, di un parco, il “Parco della Rinascita”. Inoltre, la cittadinanza riesce
ad ottenere la partecipazione, con propri esperti, ai tavoli tecnici. Eppure,
malgrado questo fermento di vigile attivismo civico, c’è chi, in quell’epoca,
pensa di poter costruire, sopra al sito mortale, alcuni palazzi. Ipotesi poi
tramontata allorché si definisce la inedificabiltà dell’area.
Nel
2011, il sostituto procuratore Giovanni Benelli ha chiesto la chiusura della
maxi-inchiesta con l'accusa di "Disastro doloso, omissione dolosa delle
norme antinfortunistiche, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose" nei
confronti dei 10 amministratori indagati e per gli ex manager Claudio Dal Pozzo
e Giovanni Boccini. Accuse gravissime che certo non restituiscono la vita ai
tanti morti per colpa della cupidigia, della indifferenza, della commistione di
interessi tra potere politico e potere economico-finaziario. Ma non restituiscono
nemmeno il giusto ai vivi, che ancor devono subire gli inganni della
mala-amministrazione, aggiungendo così al danno anche la beffa.
Infatti, il 20 giugno 2013 il Comune di Bari ha pubblicato il bando di gara per
la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori relativi
all'intervento di messa in sicurezza permanente del sito "FIBRONIT".
Le operazioni di gara si sono concluse lo scorso 13 gennaio e l'importo
stanziato, ammontante a circa 12 milioni di euro, è una somma messa a disposizione
dalla Regione Puglia. Cioè, si badi bene: la bonifica sarà fatta con fondi
della Regione Puglia, quindi soldi pubblici, cioè dei cittadini, mentre i
privati se ne laveranno le mani, malgrado la responsabilità del disastro sia
innanzitutto loro!
E non è finita qui: la giunta Emiliano, il 18 novembre 2013, delibera al n° 744
una integrazione molto discutibile al piano delle alienazioni e valorizzazioni
immobiliari del Comune di Bari. Con tale delibera il Comune
"scambia", a pari costo, un'area posta all'interno del perimetro del
sito inquinato FIBRONIT (l’area ex Bricorama, anch’essa da bonificare) –
attualmente destinata a "verde di quartiere" di proprietà della
Mediocredito Centrale S.p.a. – con un'altra di sua proprietà, tra via Demetrio
Marin e via Turati. Fin qui, in questo scambio, tutto sembrerebbe normale.
Eppure sorge spontanea la domanda: a quanto ammontano i costi di bonifica dei
suoli ex Bricorama? A questa, segue un’altra domanda, altrettanto spontanea:
come mai si permuta un suolo da bonificare, il cui valore è certamente assai
basso, con un altro di proprietà pubblica, in zona di pregio?
Insomma, ancora una volta la mala-politica fa pagare il prezzo della sua
incapacità e dei suoi opachi interessi ai cittadini, alle loro tasche, ai loro
patrimoni, alla loro salute e al loro futuro. Adesso è arrivata l’ora
di svegliarci tutti e di mandarla a casa.
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