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UN GENOCIDIO DI STATO

lunedì 4 novembre 2013

da delphin61@alice.it



Dobbiamo pretendere delle risposte dallo Stato”. “Dobbiamo chiedere allo Stato di adottare le misure giuste per la Terra dei fuochi”. Me lo sono sentita ripetere tante volte, negli ultimi mesi. Ogni volta che ho scritto un articolo contro pezzi dello Stato, fossero a livello locale o regionale o nazionale, ogni volta che ho raccontato, da queste pagine, manifestazioni e morti, studi scientifici e dati.manifestazione-terra-dei-fuochi-aversa-la-mia-terra-e-avvelenataLo Stato. Quale Stato? Quello che da 16 anni, cioè 5840 giorni, sa dell’avvelenamento perpetrato, ai danni della Campania, dalla camorra? Quello i cui 106 sindaci, per anni, sono stati eletti dalla camorra? Lo stesso Stato che ha tenuto secretati i verbali delle deposizioni di Schiavone per 140.160 ore? Lo Stato il cui ministro dell’Interno, all’epoca della secretazione degli atti era l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, uno di noi, nato nella nostra terra, che solo qualche settimana fa ha dichiarato, dopo 16 anni, che quella della Terra dei fuochi dovesse essere considerata emergenza nazionale? Questo Stato dovrebbe darci delle risposte e offrirci delle soluzioni, per così dire, istituzionali?
Questo Stato, a cui io pago le tasse puntualmente, dissanguandomi, ha ucciso i miei concittadini, i miei conterranei, continua a farlo sotto gli occhi di tutti. Questo Stato, che si chiama Italia, e a cui appartiene la regione che mi ha dato i natali, non è più il mio Stato. Perché non lo è mai stato. È un nemico, è qualcuno da cui guardarmi le spalle, qualcuno di cui aver paura. Questo Stato, che avrebbe dovuto proteggere me e i miei figli, non solo è rimasto a guardare, ma è stato complice dell’avvelenamento che ha portato a un genocidio autorizzato, di massa, è quello che ha ucciso decine di bambini piccoli come i miei figli, è quella stessa politica che per 16 anni, cioè 5840 giorni e 140.160 ore, più o meno, ha pensato fosse meglio tacere tutto questo, per, passatemi la locuzione, “pararsi il culo”, mentre il nostro, di culo, se lo vendevano al mercato dei rifiuti tossici. È questo lo Stato che oggi parla di bonificare, bonificare lo scempio che ha contribuito a creare.
Quanti di quei politici che hanno partecipato alla secretazione delle deposizioni di Schiavone siedono ancora in Parlamento? Quanti ancora percepiscono pensioni, emolumenti, diarie?
La verità è che chi ha contribuito alla desecretazione degli atti, gli unici ad essersi battuti per questo, sono quegli “sfessati” dei Cinque Stelle, come li definiscono spesso i miei colleghi giornalisti, come fossero degli imbecilli. La verità è che questi “sfessati imbecilli” sono gli unici ad aver seriamente mosso un dito per la nostra terra. È questa la verità. La verità è che da questo Stato, di cui mi vergogno profondamente, non potrà mai venire una soluzione, né una parola, dopo 16 anni di silenzio. La verità è che dove ci sono interessi economici, soldi in quantità, passano in secondo piano anche l’onore, la dignità, il bene comune, il senso di appartenenza, l’ideologia. Quando nasci camorrista resti camorrista a vita, anche se siedi nei banchi del Parlamento.
A chi dobbiamo chiedere, adesso, un risarcimento? A questo Stato sanguisuga di soldi e di vita? Chi dobbiamo invocare in nostro aiuto? L’Onu? Amnesty International, la Croce Rossa, la Nato?
È un senso di amaro in bocca quello con cui mi sono svegliata questa mattina. Che sapessero tutti lo sapevamo già anche noi. Leggerlo nero su bianco, però, fa impressione. Fa vomitare, mette addosso un disgusto che ti ammazza o ti fa arrabbiare. Ecco, dopo ore passate con la nausea nello stomaco, mentre leggevo le deposizioni desecretate dopo 16 anni, adesso sono semplicemente furiosa. Non sono italiana, non sono campana, appartengo a un popolo di disperati, diseredati, afflitti, uniti solo da una bandiera che dice “stop al biocidio”. Sono una di quelle che comporranno un fiume in piena. Un fiume in piena, come la mia rabbia.
Ho sempre sostenuto che la rabbia sia il motore del mondo e, oggi, una volta in più. Un fiume in piena senza pietà, ma anche senza paura. Contro tutto questo schifo che non mi rappresenta più ma che oggi, scopro, non mi ha mai rappresentata.





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