Lettera aperta ai senatori della Commissione Industria
Gentili Senatori,
vi ricorderete quando a Taranto, durante l'audizione in Prefettura,
abbiamo consegnato al Presidente della vostra Commissione un sacchetto di
polveri contaminate dell'Ilva.
Nell'audizione non c'è stato purtroppo il tempo per affrontare gli
aspetti economici della crisi del comparto siderurgico e dell'Ilva stessa. Per
supplire a questa carenza vi inviamo un'analisi economica del comparto
siderurgico (vedere il Dossier riportato di seguito) utilizzando fonti
specializzate. Saremmo interessati a ricevere una vostro commento anche
perché è importante chiarire che - dalle informazioni di settore che potrete
consultare in questo Dossier - l'Ilva è in uno stato di crisi economica strutturale
ormai irreversibile. A nostro parere il decreto 61, che siete chiamati a
convertire in legge, non ha lo scopo di "salvare l'Ilva" ma di
salvare le banche che hanno crediti verso l'Ilva (vedere il Dossier).
Il presidente della vostra Commissione Massimo Mucchetti ha
dichiarato:
"Il futuro di Taranto oggi marcia di pari passo con il futuro
dell'Ilva. C'è l'impegno del governo. Dobbiamo avere fiducia che quanto
non è stato fatto fin'ora verrà fatto nei prossimi tre anni".
Ma l'economia non si cambia con le dichiarazioni di fiducia. L'economia
lascia ben poco spazio ad un ottimismo di facciata. Oggi nel mondo dagli
impianti siderurgici si possono ottenere 1,8 miliardi di tonnellate di
acciaio, mentre se ne consumano solo 1,5 miliardi. Questo dato emerge
dall'analisi del Wall Street Journal che evidenzia 300 milioni di
tonnellate annue di eccesso di capacità produttiva, all'interno
delle quali sono conteggiati gli attuali 9 milioni annui dell'Ilva.
L'eccesso di capacità produttiva è enorme e continua ad aumentare, a
fronte di un mercato che non è in grado di assorbire l'offerta siderurgica
globale.
Lester Brown, che guida il World-Watch Institute, valuta in
64 anni la disponibilità delle riserve di ferro. Continuare a proporre questo
modello di produzione e consumo dell'acciaio è - oltre che ormai indigesto per
un mercato in contrazione - anche dannoso per il futuro del nostro Pianeta le
cui risorse si stanno esaurendo non solo nel settore energetico ma anche in
quello delle materie prime siderurgiche. E di questo non si parla.
Il futuro non è più pertanto quello che state discutendo:
voi di fronte al passato. Siete di fronte alla morte
economica del futuro pensato per Taranto, oltre che alla morte biologica di
tanti cittadini vittime dell'inquinamento.
A voi viene richiesto di sostenere uno sviluppo che - oltre che
generare sfruttamento, malattie e morte - produce più acciaio di quanto non
ne serva.
Per sfornare più acciaio occorre "gonfiare" innaturalmente la
domanda economica globale con grandi opere inutili e con la produzione di più
auto di quanto non ne servano. Sono infatti le grandi opere, la
maxi-edilizia e l'industria dell'auto i maggiori clienti della siderurgia.
Gonfiare la domanda di acciaio punta a riequilibrare il mercato ma non
a generare benessere.
Tutto questo porta invece a fare guerre e a cercare nuovi giacimenti
minerari perlustrando palmo a palmo il Pianeta, stanando le ultime risorse
disponibili, sfruttando e distruggendo perfino l'Amazzonia dove ci sono le più
grandi miniere di ferro. E dall'Amazzonia giunge il minerale che viene
respirato dagli abitanti di Taranto, dopo avere fatto danni ai polmoni degli
indigeni brasiliani. Molte foreste ora non ci sono più a causa dell'estrazione
dissennata del minerale di ferro, come denunciano da anni i missionari
comboniani del Brasile.
Voi parlamentari siete chiamati a collaborare (o a non collaborare) con
questo fallimento economico ed ecologico planetario che - a partire da Taranto
- non ha più futuro e che genera guerre, distruzione e morte.
Voi non salverete l'Ilva: siete solo chiamati a prolungare l'agonia di
un disastro. E a garantire le banche dal contraccolpo.
Il vero sviluppo economico del futuro si chiama riconversione,
risparmio e ricerca scientifica finalizzata alla sostenibilità.
Siete al capezzale di una industria in coma. Molteplici fili collegano
la crisi della più grande acciaieria d'Europa al fallimento di uno sviluppo non
sostenibile. Il futuro è nelle mani di chi progetta le riconversioni ecologiche. Salvando
Taranto con una riconversione economicamente sostenibile lavorerete per il
futuro di tutta l'umanità.
Cordiali saluti
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
cell. 3290980335
Dossier Ilva
a cura di PeaceLink
www.peacelink.it
Lo scenario economico di una
crisi irreversibile
1)
Scenario mondiale con eccesso di capacità produttiva
Il
28 novembre 2012 un’analisi del Wall Street Journal ha evidenziato a
livello mondiale un eccesso di capacità produttiva nel settore
siderurgico: si produce più acciaio di quanto il mercato ne richieda.
Oggi
nel mondo dagli impianti siderurgici ogni anno si possono ottenere 1,8
miliardi di tonnellate, mentre se ne consumano solo 1,5. John
Miller sul Wall Street Journal avverte che la capacità produttiva è enorme e
continua ad aumentare. "Il bilancio sarà ancor più squilibrato nei
prossimi anni", sottolinea Roberto Capezzuoli nell'articolo dal titolo
"Il mondo dell'acciaio ha un problema, l'eccesso di capacità
produttiva".
Fonte:
http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f
2)
Acciaio, la depressione dei prezzi a livello mondiale
L'eccesso
di capacità produttiva ha avuto effetti depressivi sui prezzi di mercato.
Roberto Capezzuoli porta dati eloquenti: "Dall’inizio del 2008 ad oggi,
negli Usa, i prezzi dei coils laminati a caldo hanno perso il 35%,
arrivando a 636 dollari per tonnellata. Ne ha fatto le spese la RG Steel, il
quarto gruppo siderurgico statunitense, che ha dichiarato bancarotta e
ha fermato impianti la cui capacità è di 7,5 milioni di tonnellate annue".
Fonte:
http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f
I
coils sono lamiere di acciaio arrotolate in bobine, e l'Ilva è un grande
produttore di coils.
Nubi
nere dunque in America. Ma in Europa le cose vanno ancor peggio. Infatti i
costi dell'energia sono superiori a quelli degli Stati Uniti e nella siderurgia
l'energia è uno dei costi che incide di più.
3)
Europa: eccesso di offerta
Inoltre
l'Europa presenta un eccesso di capacità produttiva di 80 milioni di
tonnellate/anno (dentro le quali sono contemplati i 10 milioni di
tonnellate/anno dell'Ilva), come ammette la Commissione Europea.
Fonte:
http://www.europarlamento24.eu/acciaio-ue-vara-piano-per-contrastare-crisi-e-concorrenza-sleale/0,1254,72_ART_3261,00.html
4)
Dipendenza dai paesi estrattori e dal “super-ciclo” delle materie prime
Il
bilancio negativo non finisce qui: ad aggravare la situazione della siderurgia
italiana ed europea è l'aumento del costo delle materie prime: il prezzo del
minerale di ferro, la materia prima del ciclo siderurgico, è schizzato alle
stelle con un +65% nel febbraio di quest'anno. Il rallentamento della
domanda globale di acciaio ha fatto scendere il prezzo del minerale di ferro
che a maggio sembra essersi stabilizzato, ma esso è comunque soggetto alle sollecitazioni
al rialzo dovute alla forte richiesta della Cina.
Pertanto
quando si dice che la siderurgia garantisce all’Italia l’indipendenza economica
si dice una cosa non vera. Il minerale di ferro è presente soprattutto in
Brasile e Australia e l’Italia è fortemente dipendente da queste nazioni per le
materie prime della propria produzione siderurgica. Anche le quotazioni del
rottame di ferro sono fortemente correlate al prezzo del minerale di ferro, che
non è distribuito nel pianeta in modo omogeneo e che è comunque una risorsa
destinata a esaurirsi.
Fonte:
http://economistiinvisibili.investireoggi.it/le-commodities-il-minerale-di-ferro-17798330.html
Sull’esaurimento
dei giacimenti di ferro è aperto un dibattito.
“Alcuni studiosi, come Lester Brown del World-Watch
Institute, sono pessimisti e si aspettano che le riserve di ferro dureranno
solamente altri 64 anni, mentre altre fonti credono che sulla terra ci siano
ancora 270 miliardi di tonnellate di minerali sfruttabili, una quantità tale da
garantire il consumo per più di un secolo. Anche se è un tema che toccherà le
generazioni future, più che la nostra, una domanda appare lecita: che succederà
al mondo quando finirà il ferro?”
Fonte:
http://www.metallirari.com/il-super-ciclo-delle-materie-prime-e-finito/
In
ogni caso c’è il problema di una crescita incessante della richiesta di
un minerale che è destinato a esaurirsi. Il “super-ciclo” delle materia prime
(ossia la tendenza delle materie prime come il ferro a diventare merce sempre
più preziosa) non si è esaurito.
Fonte:
http://www.borsainside.com/mercati_usa/2013/04/44820-il-superciclo-delle-materie-prime-e-ancora-lontano-dallesaurirsi.shtm
Ciò
costituisce una grossa incognita per la siderurgia, destinata ad alzare i
prezzi dei fattori produttivi e a ridurre i profitti a fronte di una
richiesta di acciaio non più sostenuta che quindi deprime i prezzi alla
vendita.
Ma
come mai sale il prezzo delle materie prime se il Italia e in Europa la domanda
di acciao scende? La risposta è purtroppo questo: il prezzo del minerale di
ferro è trascinato in alto dalla crescente domanda dei mercati asiatici,
forse anche da accordi di cartello.
(http://www.eurosiderscalo.com/it/archivio-news/archivio-news/30-news-2013/892-pechino-accusa-i-produttori-di-minerali-di-ferro-gonfiati-ad-arte-i-prezzi)
5)
Riduzione dei profitti
Il
trend complessivo di aumento dei costi delle materie prime non viene trasferito
sui prezzi di vendita dei prodotti finiti che - come abbiamo visto - si
deprimono per l'eccesso di offerta rispetto alla domanda di mercato. Dove si
scarica allora l'aumento dei prezzi delle materie prime? Semplice: sui
profitti. La siderurgia perde quindi profitti e non è più una gallina
dalle uova d'oro che Riva aveva fatto razzolare nel suo cortile tarantino.
Ora
c'è crisi e si scopre che Riva aveva fatto male i conti ad esempio raddoppiando
l'attività di zincatura a caldo a Taranto. (http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/docs/2271.pdf)
6)
"Situazione insostenibile dello zincato a caldo"
Jean-Luc
Maurange, vicepresidente di ArcelorMittal al 28° Steel Market Outlook ammette
la difficoltà generata dall'eccesso di capacità produttiva: "Il
riallineamento tra produzione e consumo non si è ancora concluso, specialmente
in Europa meridionale, dove la capacità produttiva era aumentata maggiormente
ed il consumo è calato in misura superiore". Per esemplificare questa
difficile situazione, Maurange ha citato la situazione dello zincato a caldo in
Italia: mentre nel 2008 la domanda interna era di 3,2 milioni di tonnellate e
la capacità produttiva installata di 4,4 milioni di tonnellate, nel 2012 il
consumo è sceso sotto i 3 milioni di tonnellate e la capacità è schizzata a 6,3
milioni di tonnellate, "una situazione industrialmente insostenibile".
(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)
7)
Crisi epocale: chiudono gli altiforni
La
siderurgia attraversa quindi una crisi epocale perché la società non chiede
tutto l'acciaio che viene prodotto, ragion per cui un colosso come
ArcelorMittal, per esempio, nel 2008 aveva in funzione in Europa 28
altiforni, oggi ne ha 18.
(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)
8)
Europa destinata ad uscire dalla produzione di acciaio a basso valore aggiunto
Il
Portale della Siderurgia Siderweb sottolinea "l'impossibilità futura
per l’Europa di rimanere un produttore di commodity".
Commodity
è un termine inglese che indica un bene (ad esempio l'acciaio grezzo) che si
acquista indipendentemente da chi lo produce ed è l'equivalente in italiano di
"bene indifferenziato" ad elevata standardizzazione.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Commodity)
Maurange
trae conclusioni drastiche: "Non vedo un futuro per i produttori di
acciaio europei concentrati solo sui mercati a basso valore aggiunto". Ed
è proprio questo il settore di mercato su cui è posizionata l'Ilva attuale.
L'Ilva pertanto avverte tutto il peso della crisi attuale. L'economista
Marcello De Cecco avverte: "L’industria italiana dell’acciaio rischia di
fare la fine di quella della chimica di base". La situazione della
siderurgia italiana è quindi di grave difficoltà: "Il fermarsi
della domanda di prodotti siderurgici nel mondo - prosegue De Cecco - è stato
abbastanza improvviso, per il persistere del boom asiatico e specie cinese,
dopo l’arrivo della crisi. Ma in Europa la domanda di prodotti siderurgici ha
ristagnato sin dall’inizio della crisi, e la capacità di mantenere posizioni da
parte dei produttori siderurgici italiani, come d’altronde di quelli tedeschi,
è dipesa in maniera essenziale dalla loro capacità di esportare in quelle parti
del mondo, i paesi emergenti, dove la crisi ha colpito assai meno. Fino al 2012
hanno mostrato di riuscirci, ma alla fine dell’anno scorso anche quello sbocco
ha mostrato segni seri di esaurimento. E la tendenza si è fatta più chiara e
grave nei primi mesi di quest’anno. La crisi del principale produttore
italiano, l’Ilva, che domina il nostro mercato e si colloca in buona posizione
anche a livello mondiale, ha dunque coinciso con quella della siderurgia
mondiale".
(http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/06/03/news/crac_ilva_unaltra_montedison_il_peccato_capitale_dei_riva_zero_investimenti_e_prodotti_low-cost-60229058)
9)
Crisi dell'acciaio: reggerà chi ha investito in innovazione
Quindi
che fare di fronte a questa crisi siderurgica che attanaglia l'Ilva, l'Italia e
l'Europa?
La
prima risposta è quella di posizionarsi - come hanno le aziende tedesche - su
settori innovativi della siderurgia, producendo ad esempio non solo acciaio ma
anche tecnologie che risparmino energia e riducano l'impatto ambientale. Un
esempio è la Siemens Metal Technologies, leader mondiale nella progettazione
e costruzione di impianti siderurgici. Ma l'Italia non ha puntato su questo
modello di siderurgia, ha basato solo a produrre e non a investire
nell'innovazione e ora è in grave crisi. Il recente piano europeo dell'acciaio
fa capire che o il settore si innova o altrimenti non può vivere di semplice
speranza e di antiche glorie.
10)
Il vantaggio competitivo dell'Ilva e la stagnazione della domanda
Il
vantaggio competitivo dell'Ilva sul mercato internazionale - specie in questi
ultimi anni di rincaro dell'energia in Europa - si è basato sul ciclo integrale
che - mentre produce ghisa negli altoforni - contemporaneamente garantisce
energia a costi irrisori a tutto lo stabilimento, in quanto produce
quel gas AFO che viene immesso nella rete di stabilimento per un auto
consumo, mentre la restante parte viene recuperata tramite le centrali
termoelettriche CET2 e CET3 di proprietà dell'Ilva. Anche il gas sprigionato
nel processo produttivo delle cokerie viene oggi riutilizzato in quanto è
principalmente costituito da idrogeno, metano, ossido di carbonio, biossido di
carbonio, azoto, ossigeno, idrocarburi, ammoniaca e idrogeno solforato: dopo
essere stato trattato viene utilizzato nelle varie utenze termiche di
stabilimento. Qui sta dunque il vero asso nella manica del più
grande stabilimento siderurgico d'Europa che può auto-prodursi l'energia in un
momento in cui le altre acciaierie italiane ed europee dotate di forni
elettrici devono pagare - a caro prezzo - quell'energia che incide per il 40%
sui costi di produzione dell'acciaio.
Ma
Ilva - cresciuta come gigante europeo - si scontra con una stagnazione della
domanda che è ormai non più contingente ma strutturale in Italia e in Europa,
cosa riconosciuta anche da Federacciai.che parla - per bocca del presidente
Antonio Gozzi - di "scenari di ulteriore contrazione dell'economia
nell'anno in corso". (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/federacciai-i-dati-sulla-produzione-siderurgica-e-le-considerazioni-del-presidente-gozzi-738323.htm)
Ed
ecco allora che Ilva si rivela, in questa mutata situazione del mercato, come
un gigante pieno di energia che rimane imprigionato in una stanzetta
angusta.
11)
Migrare in Cina? Impossibile
Che
fare dunque? La risposta può sembrare semplice e ovvia: si potrebbe migrare in
Cina.
Ma la Cina
ha veramente bisogno dei dieci milioni annui di acciaio dell'Ilva?
La
Commissione Europea stima che dei circa 542 milioni di tonnellate di acciaio
annuo "in più" di capacità produttiva mondiale, ben 200
milioni di "overcapacity" sono sono proprio in Cina. In
altri termini: la Cina non saprebbe che farsene dell'acciaio
dell'Ilva. I 10 milioni di tonnellate/anno di capacità produttiva
supplementare consentita dagli impianti dell'Ilva infatti aggraverebbero
ulteriormente quella che in gergo tecnico viene definita
"overcapacity": "Ability to produce more than is needed",
ossia la capacità di produrre più di quanto è necessario. La Cina -
se si caricasse sulle spalle anche l'Ilva - passerebbe da 200 a 210
tonnellate/anno di overcapacity, nel campo siderurgico. E dunque ecco che lo
scenario di un'Ilva che migra in Cina crolla.
12) Cura dimagrante
per le acciaierie cinesi? Figuriamoci per l’Ilva
Già
nel 2010 la Cina ha preso in considerazione una "cura dimagrante" per
la siderurgia. (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/cina-alle-viste-un-ridimensionamento-degli-output-siderurgici-541950.htm)
Questione
ripresa l'anno successivo in quanto - come osserva il Sole 24 Ore - quello
siderurgico cinese è un "settore afflitto da anni da un eccesso di
capacità produttiva". (Fonte: http://24o.it/Vj5Qe)
E
finalmente il nodo è arrivato al pettine: la Cina si prende dai 5 ai dieci anni
di tempo per tagliare la propria capacità produttiva nel settore dell'acciaio.
La notizia è recente ed è emersa nel diciassettesimo Shanghai Metallurgy Expo.
(http://www.scrapregister.com/news/815/china-to-takes-5-to-10-years-to-fix-steel-overcapacity-xu-kuangdi)
La
Cina non potrebbe quindi accogliere quindi impianti in fuga da Taranto.
Tutte
le voci di “fuga all’estero” dell’Ilva o dei Riva sono destituite di ogni
fondamento economico
in quanto a livello mondiale l’eccesso di capacità produttiva di acciaio rende
saturo il mercato mondiale.
13)
L’effetto della crisi del mercato siderurgico sull’Ilva
Gli
effetti della crisi sono evidenti. RIMANGONO
IN FUNZIONE 2 ALTIFORNI SU 5. Col blocco dell'altoforno 2, l'Ilva di Taranto
marcerà solo con due altiforni, essendo l'altoforno 1 già stato fermato l'8
dicembre scorso mentre l’altoforno 3 è inattivo da molto tempo. Restano quindi
in funzione gli altiforni 4 e 5. Fermata anche l'acciaieria 1, è in funzione
solo la 2. Ferme le batterie 3-4-5-6 e 9 della cokeria. Ferma una parte della
produzione dell'agglomerato. Fermo il treno nastri 1.
Fonte: http://www.agi.it/economia/notizie/201306301355-eco-rt10051-ilva_domani_stop_altoforno_2_per_crisi_mercato_siderurgico
Le
ragioni di questa crisi non sono congiunturali ma strutturali e gli effetti
sono destinati ad aggravarsi nei prossimi mesi.
14)
I debiti dell’Ilva
Le
dinamiche economiche e finanziarie più recenti pongono quindi un grave problema
di sostenibilità degli investimenti chiesti per ottemperare alle prescrizioni
dell’AIA, che pongono sulle spalle dell’ILVA uno sforzo economico calcolato in
circa 3,5 miliardi di euro. Tali investimenti, che dovranno concludersi entro
il 2016, rappresentano il 76% di tutti gli investimenti che l’ILVA ha
effettuato nello stabilimento di Taranto dal 1995 al 2011. Si tratta di un
impegno onerosissimo, difficilmente sostenibile con le sole risorse finanziare
della Società e del Gruppo.
Lo
sostiene Siderweb, il portale della Siderurgia (http://lists.peacelink.it/news/2012/12/msg00016.html).
I
debiti finanziari dell’Ilva sono aumentati soprattutto nell’ultimo quadriennio
(da 1,8 a 2,9 miliardi) a causa della riduzione dei flussi di cassa provocata
dai risultati negativi della gestione industriale (-805 milioni di euro).
Queste le conclusioni di Siderweb all’11.12.2012: “Alla fine del periodo considerato
i debiti finanziari della società salirebbero a 4.500 (50% degli investimenti
finanziati con prestiti), 6.200 miliardi di euro (100% degli investimenti
finanziati con prestiti), mentre il patrimonio diminuirebbe per far fronte alle
perdite d’esercizio provocate dal peggioramento dei risultati della gestione
industriale e dai maggiori oneri
finanziari. In assenza di un consistente aumento di capitale la società
registrerebbe una significativa conIn conclusione, senza un intervento
dello Stato per alleggerire gli oneri connessi agli investimenti che l’ILVA
dovrà sostenere nei prossimi anni e/o un apporto di capitali freschi da parte
dei soci attuali o altri che potrebbero entrare nella compagine azionaria, la
prosecuzione dell’attività dell’ILVA nel medio periodo appare molto
difficile”.
15)
Che fare? Riconvertire per garantire i lavoratori
E
l'unica prospettiva, dunque, è quella di includere Taranto - come Trieste - in
un piano di riconversione industriale, utilizzando l'articolo 27 del Decreto
Sviluppo 2012 ("Misure per la crescita sostenibile").
(http://www.altalex.com/index.php?idnot=18726#t3c1)
L'articolo 27
recita:
Riordino della disciplina in materia di riconversione e
riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa
Nel
quadro della strategia europea per la crescita, al fine di sostenere la
competitività del sistema produttivo nazionale, l'attrazione di nuovi
investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di
situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla
politica industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta
Progetti di riconversione e riqualificazione industriale.
La questione è
certamente complessa. Ma visto che la crisi dell'Ilva sembra irreversibile, in
un quadro gravato da una forte "overcapacity", il nodo della
riconversione è la questione chiave. Se non affrontata con anticipo e con
competenza, rischia di essere un'occasione perduta per chi ha veramente a cuore
la sorte dei lavoratori dell'Ilva e della siderurgia italiana.
16)
Occorre avviare le bonifiche e progettare per Taranto le eco-alternative
Occorre una rivoluzione copernicana.
Sostituiamo lavori dannosi con altri che non lo siano.
Condividiamo la posizione del dott. Valerio
Gennaro (epidemiologo): “I 500 euro a testa che spendiamo ogni anno in Italia
per le spese militari - siamo circa 60 milioni - potrebbero essere
tranquillamente, urgentemente e opportunamente riconvertiti per le spese
sociali, civili, ambientali. Abbiamo ricchezza. Continuare a dire che siamo
poveri è un depistaggio, siamo tra i paesi più ricchi del mondo ma usiamo
malissimo le nostre ricchezze. Se l’obiettivo è di impossessarci delle
ricchezze altrui, allora servono le spese militari. Dobbiamo partire dai
bisogni e cominciare a pretendere di conoscerli meglio, avremo così
un’indicazione su cosa dobbiamo e cosa dobbiamo smettere di fare. Occorre che
la comunità riprenda fiducia nella possibilità e nell’opportunità di
partecipare alla costruzione del proprio destino”.
Per cambiare Taranto occorrono persone
creative, preparate e oneste. Una
rivoluzione culturale dal basso. Perché da chi ci governa non ci possiamo
aspettare nulla.
I
giovani laureati sono il vero motore di Taranto e occorrerebbe una “chiamata
a raccolta” di tutti i giovani tarantini che si sono laureati in altre
città italiane o che hanno fatto anche esperienze all’estero.
TINA: There Is No
Alternative. Vogliono convincerci che non ci sono alternative. Noi dobbiamo
batterci per studiarle e realizzarle. A partire dalle ecoalternative che i
nostri giovani laureati hanno già studiato con le tesi di laurea o che possono
studiare con le prossime tesi di laurea.
ECOALTERNATIVE
SECONDO L’ONU. Lo
sviluppo sostenibile non distrugge ma crea milioni di posti di lavoro. La Green
Economy può creare fino a 60 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi
20 anni. Ma occorre una politica economica e formativa. PeaceLink da un
anno ha messo online il documento dell'ILO, l'agenzia dell'Onu che si occupa di
lavoro
Scaricatelo
da qui: http://www.peacelink.it/ecologia/a/36349.html
ECOALTERNATIVE
SECONDO L’OCSE.
Le città possono generare crescita economica e lavoro semplicemente diventando
più rispettose dell’ambiente. A spiegarlo è un rapporto dell’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), intitolato Green Growth in
Cities.
Scaricatelo
da qui: http://www.oecd.org/gov/regional-policy/49330120.pdf