Conferenza
stampa di PeaceLink
Taranto, lunedì
1 luglio 2013
Libreria
Gilgamesh
via Oberdan 45
Presentazione
del
Dossier
Ilva
Lo
scenario economico di una crisi irreversibile
1) Scenario mondiale con eccesso di
capacità produttiva
Il 28 novembre 2012 un’analisi del Wall
Street Journal ha evidenziato a livello mondiale un eccesso di
capacità produttiva nel settore siderurgico: si produce più acciaio di
quanto il mercato ne richieda.
Oggi nel mondo dagli impianti
siderurgici ogni anno si possono ottenere 1,8 miliardi di tonnellate,
mentre se ne consumano solo 1,5. John Miller sul Wall Street
Journal avverte che la capacità produttiva è enorme e continua ad
aumentare. "Il bilancio sarà ancor più squilibrato nei prossimi
anni", sottolinea Roberto Capezzuoli nell'articolo dal titolo "Il
mondo dell'acciaio ha un problema, l'eccesso di capacità produttiva".
Fonte: http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f
2) Acciaio, la depressione dei prezzi a
livello mondiale
L'eccesso di capacità produttiva ha avuto
effetti depressivi sui prezzi di mercato. Roberto Capezzuoli porta dati
eloquenti: "Dall’inizio del 2008 ad oggi, negli Usa, i prezzi dei coils
laminati a caldo hanno perso il 35%, arrivando a 636 dollari per
tonnellata. Ne ha fatto le spese la RG Steel, il quarto gruppo siderurgico
statunitense, che ha dichiarato bancarotta e ha fermato impianti la cui
capacità è di 7,5 milioni di tonnellate annue".
Fonte: http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f
I coils sono lamiere di acciaio
arrotolate in bobine, e l'Ilva è un grande produttore di coils.
Nubi nere dunque in America. Ma in
Europa le cose vanno ancor peggio. Infatti i costi dell'energia sono superiori
a quelli degli Stati Uniti e nella siderurgia l'energia è uno dei costi che
incide di più.
3) Europa: eccesso di offerta
Inoltre l'Europa presenta un eccesso
di capacità produttiva di 80 milioni di tonnellate/anno (dentro le quali
sono contemplati i 10 milioni di tonnellate/anno dell'Ilva), come ammette la
Commissione Europea.
Fonte: http://www.europarlamento24.eu/acciaio-ue-vara-piano-per-contrastare-crisi-e-concorrenza-sleale/0,1254,72_ART_3261,00.html
4) Dipendenza dai paesi estrattori e dal
“super-ciclo” delle materie prime
Il bilancio negativo non finisce qui: ad
aggravare la situazione della siderurgia italiana ed europea è l'aumento del
costo delle materie prime: il prezzo del minerale di ferro, la materia prima
del ciclo siderurgico, è schizzato alle stelle con un +65% nel febbraio
di quest'anno. Il rallentamento della domanda globale di acciaio ha fatto
scendere il prezzo del minerale di ferro che a maggio sembra essersi
stabilizzato, ma esso è comunque soggetto alle sollecitazioni al rialzo dovute
alla forte richiesta della Cina.
Pertanto quando si dice che la
siderurgia garantisce all’Italia l’indipendenza economica si dice una cosa non
vera. Il minerale di ferro è presente soprattutto in Brasile e Australia e
l’Italia è fortemente dipendente da queste nazioni per le materie prime della
propria produzione siderurgica. Anche le quotazioni del rottame di ferro sono
fortemente correlate al prezzo del minerale di ferro, che non è distribuito nel
pianeta in modo omogeneo e che è comunque una risorsa destinata a esaurirsi.
Fonte: http://economistiinvisibili.investireoggi.it/le-commodities-il-minerale-di-ferro-17798330.html
Sull’esaurimento dei giacimenti di ferro
è aperto un dibattito.
“Alcuni studiosi,
comeLester Brown del World-Watch Institute, sono pessimisti e si aspettano che
le riserve di ferro dureranno solamente altri 64 anni, mentre altre fonti
credono che sulla terra ci siano ancora 270 miliardi di tonnellate di minerali
sfruttabili, una quantità tale da garantire il consumo per più di un secolo.
Anche se è un tema che toccherà le generazioni future, più che la nostra, una
domanda appare lecita: che succederà al mondo quando finirà il ferro?”
Fonte: http://www.metallirari.com/il-super-ciclo-delle-materie-prime-e-finito/
In ogni caso c’è il problema di una
crescita incessante della richiesta di un minerale che è destinato a esaurirsi.
Il “super-ciclo” delle materia prime (ossia la tendenza delle materie prime
come il ferro a diventare merce sempre più preziosa) non si è esaurito.
Fonte: http://www.borsainside.com/mercati_usa/2013/04/44820-il-superciclo-delle-materie-prime-e-ancora-lontano-dallesaurirsi.shtm
Ciò costituisce una grossa incognita per
la siderurgia, destinata ad alzare i prezzi dei fattori produttivi e a ridurre
i profitti a fronte di una richiesta di acciaio non più sostenuta che
quindi deprime i prezzi alla vendita.
Ma come mai sale il prezzo delle materie
prime se il Italia e in Europa la domanda di acciao scende? La risposta è
purtroppo questo: il prezzo del minerale di ferro è trascinato in alto dalla
crescente domanda dei mercati asiatici, forse anche da accordi di
cartello.
(http://www.eurosiderscalo.com/it/archivio-news/archivio-news/30-news-2013/892-pechino-accusa-i-produttori-di-minerali-di-ferro-gonfiati-ad-arte-i-prezzi)
5) Riduzione dei profitti
Il trend complessivo di aumento dei
costi delle materie prime non viene trasferito sui prezzi di vendita dei
prodotti finiti che - come abbiamo visto - si deprimono per l'eccesso di
offerta rispetto alla domanda di mercato. Dove si scarica allora l'aumento dei
prezzi delle materie prime? Semplice: sui profitti. La siderurgia perde
quindi profitti e non è più una gallina dalle uova d'oro che Riva
aveva fatto razzolare nel suo cortile tarantino.
Ora c'è crisi e si scopre che Riva aveva
fatto male i conti ad esempio raddoppiando l'attività di zincatura a caldo a
Taranto. (http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/docs/2271.pdf)
6) "Situazione insostenibile dello
zincato a caldo"
Jean-Luc Maurange, vicepresidente di
ArcelorMittal al 28° Steel Market Outlook ammette la difficoltà generata
dall'eccesso di capacità produttiva: "Il riallineamento tra produzione e
consumo non si è ancora concluso, specialmente in Europa meridionale, dove la
capacità produttiva era aumentata maggiormente ed il consumo è calato in misura
superiore". Per esemplificare questa difficile situazione, Maurange ha
citato la situazione dello zincato a caldo in Italia: mentre nel 2008 la
domanda interna era di 3,2 milioni di tonnellate e la capacità produttiva
installata di 4,4 milioni di tonnellate, nel 2012 il consumo è sceso sotto i
3 milioni di tonnellate e la capacità è schizzata a 6,3 milioni di tonnellate,
"una situazione industrialmente insostenibile".
(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)
7) Crisi epocale: chiudono gli altiforni
La siderurgia attraversa quindi una
crisi epocale perché la società non chiede tutto l'acciaio che viene prodotto,
ragion per cui un colosso come ArcelorMittal, per esempio, nel 2008 aveva in
funzione in Europa 28 altiforni, oggi ne ha 18.
(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)
8) Europa destinata ad uscire dalla
produzione di acciaio a basso valore aggiunto
Il Portale della Siderurgia Siderweb
sottolinea "l'impossibilità futura per l’Europa di rimanere un produttore
di commodity".
Commodity è un termine inglese che
indica un bene (ad esempio l'acciaio grezzo) che si acquista indipendentemente
da chi lo produce ed è l'equivalente in italiano di "bene
indifferenziato" ad elevata standardizzazione.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Commodity)
Maurange trae conclusioni drastiche:
"Non vedo un futuro per i produttori di acciaio europei concentrati
solo sui mercati a basso valore aggiunto". Ed è proprio questo il settore
di mercato su cui è posizionata l'Ilva attuale. L'Ilva pertanto avverte tutto
il peso della crisi attuale. L'economista Marcello De Cecco avverte:
"L’industria italiana dell’acciaio rischia di fare la fine di quella della
chimica di base". La situazione della siderurgia italiana è quindi di grave
difficoltà: "Il fermarsi della domanda di prodotti siderurgici nel
mondo - prosegue De Cecco - è stato abbastanza improvviso, per il persistere
del boom asiatico e specie cinese, dopo l’arrivo della crisi. Ma in Europa la
domanda di prodotti siderurgici ha ristagnato sin dall’inizio della crisi, e la
capacità di mantenere posizioni da parte dei produttori siderurgici italiani,
come d’altronde di quelli tedeschi, è dipesa in maniera essenziale dalla loro
capacità di esportare in quelle parti del mondo, i paesi emergenti, dove la
crisi ha colpito assai meno. Fino al 2012 hanno mostrato di riuscirci, ma alla
fine dell’anno scorso anche quello sbocco ha mostrato segni seri di esaurimento.
E la tendenza si è fatta più chiara e grave nei primi mesi di quest’anno.
La crisi del principale produttore italiano, l’Ilva, che domina il nostro
mercato e si colloca in buona posizione anche a livello mondiale, ha dunque
coinciso con quella della siderurgia mondiale".
(http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/06/03/news/crac_ilva_unaltra_montedison_il_peccato_capitale_dei_riva_zero_investimenti_e_prodotti_low-cost-60229058)
9) Crisi dell'acciaio: reggerà chi ha
investito in innovazione
Quindi che fare di fronte a questa crisi
siderurgica che attanaglia l'Ilva, l'Italia e l'Europa?
La prima risposta è quella di
posizionarsi - come hanno le aziende tedesche - su settori innovativi della
siderurgia, producendo ad esempio non solo acciaio ma anche tecnologie che
risparmino energia e riducano l'impatto ambientale. Un esempio è la Siemens
Metal Technologies, leader mondiale nella progettazione e costruzione di
impianti siderurgici. Ma l'Italia non ha puntato su questo modello di
siderurgia, ha basato solo a produrre e non a investire nell'innovazione e ora
è in grave crisi. Il recente piano europeo dell'acciaio fa capire che o il
settore si innova o altrimenti non può vivere di semplice speranza e di
antiche glorie.
10) Il vantaggio competitivo dell'Ilva e
la stagnazione della domanda
Il vantaggio competitivo dell'Ilva sul
mercato internazionale - specie in questi ultimi anni di rincaro dell'energia
in Europa - si è basato sul ciclo integrale che - mentre produce ghisa negli
altoforni - contemporaneamente garantisce energia a costi irrisori a
tutto lo stabilimento, in quanto produce quel gas AFO che viene
immesso nella rete di stabilimento per un auto consumo, mentre la restante
parte viene recuperata tramite le centrali termoelettriche CET2 e CET3 di
proprietà dell'Ilva. Anche il gas sprigionato nel processo produttivo delle
cokerie viene oggi riutilizzato in quanto è principalmente costituito da
idrogeno, metano, ossido di carbonio, biossido di carbonio, azoto, ossigeno,
idrocarburi, ammoniaca e idrogeno solforato: dopo essere stato trattato viene
utilizzato nelle varie utenze termiche di stabilimento. Qui sta dunque il
vero asso nella manica del più grande stabilimento siderurgico
d'Europa che può auto-prodursi l'energia in un momento in cui le altre
acciaierie italiane ed europee dotate di forni elettrici devono pagare - a caro
prezzo - quell'energia che incide per il 40% sui costi di produzione
dell'acciaio.
Ma Ilva - cresciuta come gigante europeo
- si scontra con una stagnazione della domanda che è ormai non più contingente
ma strutturale in Italia e in Europa, cosa riconosciuta anche da
Federacciai.che parla - per bocca del presidente Antonio Gozzi - di "scenari
di ulteriore contrazione dell'economia nell'anno in corso". (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/federacciai-i-dati-sulla-produzione-siderurgica-e-le-considerazioni-del-presidente-gozzi-738323.htm)
Ed ecco allora che Ilva si rivela, in
questa mutata situazione del mercato, come un gigante pieno di energia che
rimane imprigionato in una stanzetta angusta.
11) Migrare in Cina? Impossibile
Che fare dunque? La risposta può sembrare
semplice e ovvia: si potrebbe migrare in Cina.
Ma la Cina ha veramente
bisogno dei dieci milioni annui di acciaio dell'Ilva?
La Commissione Europea stima che dei
circa 542 milioni di tonnellate di acciaio annuo "in più" di
capacità produttiva mondiale, ben 200 milioni di
"overcapacity" sono sono proprio in Cina. In altri
termini: la Cina non saprebbe che farsene dell'acciaio dell'Ilva. I
10 milioni di tonnellate/anno di capacità produttiva supplementare consentita
dagli impianti dell'Ilva infatti aggraverebbero ulteriormente quella che in
gergo tecnico viene definita "overcapacity": "Ability to produce
more than is needed", ossia la capacità di produrre più di quanto
è necessario. La Cina - se si caricasse sulle spalle anche l'Ilva -
passerebbe da 200 a 210 tonnellate/anno di overcapacity, nel campo siderurgico.
E dunque ecco che lo scenario di un'Ilva che migra in Cina crolla.
12) Cura dimagrante
per le acciaierie cinesi? Figuriamoci per l’Ilva
Già nel 2010 la Cina ha preso in
considerazione una "cura dimagrante" per la siderurgia. (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/cina-alle-viste-un-ridimensionamento-degli-output-siderurgici-541950.htm)
Questione ripresa l'anno successivo in
quanto - come osserva il Sole 24 Ore - quello siderurgico cinese è un "settore
afflitto da anni da un eccesso di capacità produttiva". (Fonte:
http://24o.it/Vj5Qe)
E finalmente il nodo è arrivato al
pettine: la Cina si prende dai 5 ai dieci anni di tempo per tagliare la propria
capacità produttiva nel settore dell'acciaio. La notizia è recente ed è emersa
nel diciassettesimo Shanghai Metallurgy Expo. (http://www.scrapregister.com/news/815/china-to-takes-5-to-10-years-to-fix-steel-overcapacity-xu-kuangdi)
La Cina non potrebbe quindi accogliere
quindi impianti in fuga da Taranto.
Tutte le voci di “fuga all’estero”
dell’Ilva o dei Riva sono destituite di ogni fondamento economico in quanto a
livello mondiale l’eccesso di capacità produttiva di acciaio rende saturo il
mercato mondiale.
13) L’effetto della crisi del mercato
siderurgico sull’Ilva
Gli effetti della crisi sono evidenti. RIMANGONO IN FUNZIONE 2 ALTIFORNI SU 5. Col blocco
dell'altoforno 2, l'Ilva di Taranto marcerà solo con due altiforni, essendo
l'altoforno 1 già stato fermato l'8 dicembre scorso mentre l’altoforno 3 è
inattivo da molto tempo. Restano quindi in funzione gli altiforni 4 e 5.
Fermata anche l'acciaieria 1, è in funzione solo la 2. Ferme le batterie
3-4-5-6 e 9 della cokeria. Ferma una parte della produzione dell'agglomerato. Fermo
il treno nastri 1.
Fonte: http://www.agi.it/economia/notizie/201306301355-eco-rt10051-ilva_domani_stop_altoforno_2_per_crisi_mercato_siderurgico
Le ragioni di questa crisi non sono
congiunturali ma strutturali e gli effetti sono destinati ad aggravarsi nei
prossimi mesi.
14) I debiti dell’Ilva
Le dinamiche economiche e finanziarie
più recenti pongono quindi un grave problema di sostenibilità degli
investimenti chiesti per ottemperare alle prescrizioni dell’AIA, che pongono
sulle spalle dell’ILVA uno sforzo economico calcolato in circa 3,5 miliardi di
euro. Tali investimenti, che dovranno concludersi entro il 2016, rappresentano
il 76% di tutti gli investimenti che l’ILVA ha effettuato nello stabilimento di
Taranto dal 1995 al 2011. Si tratta di un impegno onerosissimo, difficilmente
sostenibile con le sole risorse finanziare della Società e del Gruppo.
Lo sostiene Siderweb, il portale della
Siderurgia (http://lists.peacelink.it/news/2012/12/msg00016.html).
I debiti finanziari dell’Ilva sono
aumentati soprattutto nell’ultimo quadriennio (da 1,8 a 2,9 miliardi) a causa
della riduzione dei flussi di cassa provocata dai risultati negativi della
gestione industriale (-805 milioni di euro). Queste le conclusioni di Siderweb
all’11.12.2012: “Alla fine del periodo considerato i debiti finanziari della
società salirebbero a 4.500 (50% degli investimenti finanziati con prestiti),
6.200 miliardi di euro (100% degli investimenti finanziati con prestiti),
mentre il patrimonio diminuirebbe per far fronte alle perdite d’esercizio
provocate dal peggioramento dei risultati della gestione industriale e dai
maggiori oneri
finanziari. In assenza di un consistente aumento di capitale la società
registrerebbe una significativa conIn conclusione, senza un intervento dello
Stato per alleggerire gli oneri connessi agli investimenti che l’ILVA dovrà
sostenere nei prossimi anni e/o un apporto di capitali freschi da parte dei
soci attuali o altri che potrebbero entrare nella compagine azionaria, la
prosecuzione dell’attività dell’ILVA nel medio periodo appare molto difficile”.
15) Che fare? Riconvertire per garantire
i lavoratori
E l'unica prospettiva, dunque, è quella
di includere Taranto - come Trieste - in un piano di riconversione industriale,
utilizzando l'articolo 27 del Decreto Sviluppo 2012 ("Misure per la
crescita sostenibile").
(http://www.altalex.com/index.php?idnot=18726#t3c1)
L'articolo 27
recita:
Riordino della disciplina in materia di riconversione e
riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa
Nel quadro della strategia europea per la crescita, al fine di
sostenere la competitività del sistema produttivo nazionale, l'attrazione di
nuovi investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di
situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla
politica industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta
Progetti di riconversione e riqualificazione industriale.
La questione è
certamente complessa. Ma visto che la crisi dell'Ilva sembra irreversibile, in
un quadro gravato da una forte "overcapacity", il nodo della
riconversione è la questione chiave. Se non affrontata con anticipo e con
competenza, rischia di essere un'occasione perduta per chi ha veramente a cuore
la sorte dei lavoratori dell'Ilva e della siderurgia italiana.
16) Occorre avviare le bonifiche e
progettare per Taranto le eco-alternative
Occorre
una rivoluzione copernicana. Sostituiamo lavori dannosi con altri che non lo
siano.
Condividiamo
la posizione del dott. Valerio Gennaro (epidemiologo): “I 500 euro a testa che
spendiamo ogni anno in Italia per le spese militari - siamo circa 60 milioni -
potrebbero essere tranquillamente, urgentemente e opportunamente riconvertiti
per le spese sociali, civili, ambientali. Abbiamo ricchezza. Continuare a dire
che siamo poveri è un depistaggio, siamo tra i paesi più ricchi del mondo ma
usiamo malissimo le nostre ricchezze. Se l’obiettivo è di impossessarci delle
ricchezze altrui, allora servono le spese militari. Dobbiamo partire dai
bisogni e cominciare a pretendere di conoscerli meglio, avremo così
un’indicazione su cosa dobbiamo e cosa dobbiamo smettere di fare. Occorre che
la comunità riprenda fiducia nella possibilità e nell’opportunità di
partecipare alla costruzione del proprio destino”.
Per
cambiare Taranto occorrono persone creative, preparate e oneste. Una rivoluzione culturale dal basso. Perché da chi ci governa
non ci possiamo aspettare nulla.
I giovani laureati sono il vero motore
di Taranto e occorrerebbe una “chiamata a raccolta” di tutti i giovani
tarantini che si sono laureati in altre città italiane o che hanno fatto
anche esperienze all’estero.
TINA: There Is No Alternative.
Vogliono convincerci che non ci sono alternative. Noi dobbiamo batterci per
studiarle e realizzarle. A partire dalle ecoalternative che i nostri giovani
laureati hanno già studiato con le tesi di laurea o che possono studiare con le
prossime tesi di laurea.
ECOALTERNATIVE SECONDO L’ONU. Lo sviluppo
sostenibile non distrugge ma crea milioni di posti di lavoro. La Green Economy
può creare fino a 60 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 20 anni.
Ma occorre una politica economica e formativa. PeaceLink da un anno ha messo
online il documento dell'ILO, l'agenzia dell'Onu che si occupa di lavoro
Scaricatelo da qui:
http://www.peacelink.it/ecologia/a/36349.html
ECOALTERNATIVE SECONDO L’OCSE. Ecco una delle
cose che diremo nel convegno del 2 luglio. Le città possono generare
crescita economica e lavoro semplicemente diventando più rispettose
dell’ambiente. A spiegarlo è un rapporto dell’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), intitolato Green Growth in Cities.
Scaricatelo da qui:
http://www.oecd.org/gov/regional-policy/49330120.pdf
Per queste ragioni abbiamo
deciso di promuovere il convegno di domani, 2 luglio, alle ore 15 nella Facoltà
di Giurisprudenza di Taranto (Città Vecchia):
DESCRIZIONE
DEL CONVEGNO “TESI SU TARANTO”
http://www.peacelink.it/ecologia/a/38682.html