ilva Taranto Vent'anni di omissioni dietro un dramma nazionale
lunedì 27 maggio 2013
di G. Buccini
(da A. Marescotti)
C’è da augurarsi che la Todisco abbia preso un abbaglio immane. In caso contrario siamo in presenza di un’operazione coloniale (in senso tecnico: sfruttamento di un territorio da parte di un’entità economica esterna, nativi danneggiati, risorse portate altrove). Un’operazione non consumata, tuttavia, nel buio dell’Africa del diciannovesimo secolo, ma oggi, sotto i riflettori del villaggio globale. Tutti potevano vedere. Tutti si sono girati dall’altra parte. Quando l’acciaieria nacque per mano pubblica, mezzo secolo fa, un vecchio sindaco dc, Angelo Monfredi, disse che qui erano «talmente poveri» che si sarebbero fatti mettere gli impianti «anche in piazza della Vittoria», cuore di Taranto. I suoi successori, via via meno poveri, non si sono allontanati molto dalla «linea Monfredi», nemmeno trattando con i privati che da vent’anni sono scesi quaggiù. Perché, senza voler nulla togliere alle responsabilità eventuali dei Riva (sempre più inadeguati a gestire la catastrofe) è difficile non scorgere attorno ad esse un quadro di disattenzioni e omissioni tra i politici che avrebbero dovuto legiferare, i sindacalisti che avrebbero dovuto protestare, i giornalisti che avrebbero dovuto documentare problemi noti a Taranto anche ai bambini (non per modo di dire: ci sono prati alla diossina dove è stato vietato giocare per ordinanza sindacale). Senza allontanarsi molto nel tempo, quando nel 2005 l’Ilva subì la prima condanna per inquinamento, Comune e Provincia si ritirarono dall’elenco delle parti civili e la Regione di Fitto non ci si mise neppure («certi nodi non si sciolgono per via giudiziaria»: giusto, purché si trovi un’altra via). Dai finanziamenti (regolarmente dichiarati) dei Riva a Bersani nel 2006, agli apprezzamenti di Vendola per il patron Emilio, ancora nel 2011, sulla rivista dell’azienda («credo che dalla durezza dei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi»); dalle rassicurazioni dell’attuale sindaco Stefàno al boss delle pubbliche relazioni Archinà, sul rinvio sine die del referendum avversato dall’azienda, fino al ricorso di Cgil e Cisl proprio contro quel referendum; senza dimenticare il silenzio tenace di generazioni di senatori e deputati pugliesi.
Goffredo Buccini Corriere della Sera 26/5/2013
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