Sono circa un paio d’anni che Mariangela
Lamanna, vicepresidente del Comitato 16 novembre, una ONLUS con lo scopo
di fornire assistenza ai malati di Sla e alle loro famiglie, sta chiedendo a
gran voce spiegazioni e chiarimenti sul perché il dott. Mario Melazzini, ex
presidente di Aisla (l'associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e
affetto da Sla dal 2002, dimostri un recupero fisico e motorio che non ha precedenti
nella letteratura scientifica, poiché la Sla è una malattia degenerativa
incurabile e con gli attuali farmaci a disposizione si può solo tentare di
rallentarla. Dopo diverse sollecitazioni alla fine è arrivata l’ammissione da
parte di Melazzini di aver sperimentato su se stesso un protocollo basato
sul trapianto di cellule staminali autologhe. E a questo punto scatta nella
dott.ssa Lamanna, socia per tre anni di Aisla, e in altri ammalati di Sla,
tutti poi riunitisi nel Comitato 16 novembre, l’indignazione, la delusione e la
sensazione di subire delle palesi ingiustizie. In Italia ancora oggi per
qualunque trattamento sperimentale, che non abbia un solido protocollo
approvato, esiste l’obbligo, se ci si vuole sottoporre, al consenso da parte
del Giudice e al benestare dell’Istituto Superiore di Sanità e dell'AIFA,
autorizzazioni che per il dott. Melazzini non si sa se siano mai arrivate.
Di fronte a questo grande dubbio, se il
dott. Melazzini abbia o no seguito l’iter imposto dalla legge per la sperimentazione,
Mariangela Lamanna, come rappresentante degli ammalati di Sla pretende un
chiarimento che non arriva, e perciò adotta l’estrema ratio: un esposto alla
Procura di Pavia in cui si chiede di compiere degli accertamenti sul percorso
burocratico e legale che ha permesso a un ammalato di Sla di accedere a un
trattamento personalizzato i cui esiti sono assai incerti. Avere una risposta
in questo senso aprirebbe la strada ad altri ammalati di Sla verso lo stesso
protocollo, vedendo così garantito il diritto costituzionale alla salute.
Dopo la presentazione di questo esposto
la firmataria, la sig.ra Lamanna, viene querelata, non direttamente dal dott.
Melazzini, ma da un suo fedelissimo il Sig. Fabrizio Mezzatesta, referente
della sezione Savona- Imperia per Aisla. L’intento è palese: distruggere
personalmente la vicepresidente del Comitato, perché è l’unica persona “sana”,
(sebbene sia coinvolta nella malattia per avere una sorella malata Sla)
all’interno del direttivo e perciò in grado di combattere per tutti gli
ammalati che rappresenta.
Federcontribuenti Nazionale, di cui la
dott.ssa Mariangela è il delegato per la città di Taranto, unisce la propria
voce a quella del Comitato nel richiedere innanzitutto celerità nell’allargare
il protocollo di sperimentazione anche ad altri ammalati, superando quelle
lunghezze burocratiche, di certo necessarie viste la pericolosità delle cure,
ma troppo lente a confronto della progressione della malattia, la quale nei
prossimi due anni, ossia quando è previsto l’inizio della sperimentazione su
altri pazienti, rischia di portarsi via 300-400 persone, perché la Sla non
aspetta e condanna a morte chi ne è affetto. Secondo, che tutti gli ammalati
abbiamo gli stessi diritti di accedere alla sperimentazione, soprattutto quando
questa avviene in strutture pubbliche (infatti a Melazzini il trattamento venne
praticato all’interno dell’ospedale Maugeri di Pavia) e quindi pagate con i
denari di tutti. E terzo, che se è stato commesso un illecito, allora che se ne
parli e si chiarisca perché al dott. Melazzini sia stato consentito di non
attendere i permessi del giudice e dell’ISS per sottoporsi a quelle cure
compassionevoli che tanto gli hanno giovato.
Sono molti gli ammalati di Sla che
solleverebbero dalla responsabilità degli esiti delle cure i medici e le
strutture sanitarie coinvolte pur di avere una possibilità di migliorare le
proprie condizioni di vita, ma a loro non è concesso: perchè questa disparità
di trattamento?
Infine preme sottolineare che se c’è
stata un'offesa si ha il diritto di pretendere delle scuse, ma si possono
scegliere anche strade alternative alla querela, soprattutto se le offese hanno
poco spessore. Adottare questa strategia rende evidente che ci si trova di
fronte a una vendetta personale nei confronti di chi ha sollevato il coperchio
di una pentola che ribolliva da troppo tempo. Il tentativo di zittire chi
ha avuto il coraggio di denunciare una disparità di trattamento tra i malati di
Sla, che dovrebbero godere di uguali diritti e dignità, appare un’azione meschina,
incivile e umiliante.