Nessuno scoraggiamento, vinceremo comunque, anche senza la
Corte Costituzionale.
Il procedimento penale della Procura va comunque avanti per accertare tutte le
responsabilità del disatro ambientale.
Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città da
scarificare.
La decisione della Corte Costituzionale non riporterà in vita un'azienda che è
ormai in uno stato di crisi irreversibile. Basti pensare che non ha neppure
definito il piano industriale degli investimenti per l'AIA. L'azienda - come
dimostrano svariate analisi economiche - non ha le risorse per rinascere ed è
ormai alle corde.
Quindi la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva l'Ilva perché
non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente l'AIA.
Sappiamo che la Corte Costituzionale è composta da 15 membri. Cinque giudici
sono nominati dal Parlamento, cinque dal Presidente della Repubblica e cinque
dalle supreme magistrature.
Era ipotizzabile che vi potesse essere una conclusione di questo tipo. Ciò
nonostante andava percorsa questa strada. Era un obbligo morale. Nulla doveva
rimanere intentato.
Il pronunciamento della Corte Costituzionale è doloroso per noi.
Ciò nonostante, l'Ilva chiuderà per le seguenti ragioni:
1) dovrà affrontare il problema immenso delle bonifiche dei terreni e della
falda acquifera;
2) dovrà attuare l'AIA e non ha presentato un piano industriale;
3) dovrà affrontare le richieste di risarcimento di tanti cittadini;
4) dovrà affrontare problemi enormi di mercato (concorrenza estera) e di
accesso al credito.
A nostro parere l'azienda non potrà reggere la pressione contemporanea di
questi quattro fattori.
Occorre preparere un'alternativa prima del collasso finale.
Il 14 aprile andremo a votare sì al referendum e dimostreremo che la
maggioranza dei tarantini non vuole più vivere nel terrore di ammalarsi e vuole
un futuro diverso.
Anche la Corte Costituzionale ha "salvato" la legge, il futuro è nero
per i lavoratori, che non andranno mai in pensione con questa azienda. Per loro
va preparata un'alternativa prima che sia troppo tardi. E vanno avviate le
bonifiche impegnando l'azienda a concorrere al risanamento ambientale prima del
fallimento, come è avvenuto per la Caffaro di Brescia, lasciando il territorio
nello stato attuale.
Chi si concentra sull'immediato non riesce a vedere questa prospettiva. Taranto
morirà se non si avviano le bonifiche.
Sappiamo che nel quartiere Tamburi vi è un inquinamento da piombo ed è
necessaria la bonifica, sappiamo che nel sangue dei bambini c'è piombo e va
avviato un controllo sulla valutazione dei danni sanitari del piombo, i pascoli
e il mare sono intrisi di diossina che pregiudicano l'allevamento e la
mitilicoltura.
Di fronte a tutto questo la magistratura continua a rimanere il nostro punto di
riferimento e la nostra ancora di salvezza.
Fabio Matacchiera
Presidente Fondo Antidiossina Taranto
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink