Fino a quando sprecheremo il nostro tempo a urlarci addosso? Fino a quando scanseremo le nostre stesse
responsabilità? Fin dove si lancerà la nostra inadeguatezza nei confronti del futuro dell’umanità? Non vi turbano il
sonno i dati sanitari, i reparti di oncologia affollati di mamme e bambini, i gruppi di padri che non hanno di che portare
a casa, i pescatori che piangono sulla spalla degli allevatori non meno disperati? Ma non vedete che la nostra condanna
è ormai decretata ed è evidente a tutti? O credete che siano solo allarmismi, che si possa ancora andare avanti così,
senza che noi si decida, da ora in poi, il nostro stesso destino?
Un’occasione per imparare sarebbe potuta essere quella di venerdì 22 marzo 2013, all’incontro pubblico di
presentazione dell’Elaborato Tecnico inerente il Rischio di Incidenti Rilevanti (ERIR, ai sensi del D.M. 9 maggio
2001), redatto a cura di TECSA spa, il cui gruppo di lavoro è costituito dall’architetto Leonardo Urbani, dall’ingegner
Enrico Puleo e dall’avvocato Paolo De Leonardis. I lavori sono stati introdotti dall’Assessore Francesco Cosa e
dall’architetto Mario Romandini, responsabile del programma.
Dopo la puntuale esposizione dei relatori, alcuni presenti
hanno sottolineato la gravità del fatto che sulle stesse problematiche e sulla stessa area, contemporaneamente, si stanno
cimentando Comune, Prefettura, Provincia e Autorità Portuale e sembra che stia per risvegliarsi persino l’A.s.i..
Ancora
una volta non solo la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra, ma le dita di una stessa mano tendono ad andare
per proprio conto!
Per affrontare le problematiche degli stabilimenti industriali soggetti a rischio d’incidenti rilevanti, posizionati uno
accanto all’altro e a ridosso del centro urbano (come gli stabilimenti a ciclo integrale di Taranto), occorre un approccio
olistico (cioè con una visione panoramica dei vari aspetti) e non più settoriale. L’industrializzazione spinta si è
sviluppata attraverso il metodo dell’individuare, selezionare e scomporre i problemi, in un processo continuo di
semplificazione, spingendosi sino allo studio delle particelle subatomiche in fisica e alla mappatura del DNA in
biologia.
La logica dispersiva e frammentata con cui Taranto affronta le sue problematiche sono il segnale evidente che
la città è, sì, la più industrializzata del Mezzogiorno, ma è anche inadeguata per cultura industriale (che segue il vecchio
modello) e priva degli elementi fondanti delle cultura post-industriale.
A conferma di ciò, la sparuta presenza
all’incontro di cui sopra di consiglieri comunali, provinciali e regionali, delle dirigenze di Ilva, Eni, Cementir, di
Autorità Portuale, I.A.M.C. (già Istituto Talassografico del C.N.R.) e Facoltà di Ingegneria dell’Ambiente; eppure
Taranto, caso unico, sta per “celebrare” un referendum in cui la cittadinanza tutta viene invitata a pronunciarsi sulla
presenza dell’Ilva sul nostro territorio, mentre i responsabili istituzionali e i dirigenti responsabili di fabbriche di
interesse nazionale ed europee sono assenti, qualcuno addirittura latitante. Nessuno di loro viene agli incontri, eppure, a
sentir loro, ognuno dice di avere l’asso nella manica, che calerà sul tavolo al momento giusto per vincere la propria
battaglia personale. Perdendo la guerra di tutti, aggiungiamo noi.
Lo stabilimento siderurgico tarantino, per dimensione, qualità e specializzazione, costituisce la faglia tettonica tra la
zolla del vecchio che tarda a morire e quella del nuovo che fatica ad affermarsi; in altre parole, tra l’era industriale
globale basata sull’antico approccio mercatista e consumista-capitalista, e l’era post-industriale, cioè basata su
“l’economia del bene comune”. E’ quest’ultima percezione che ha ferito nell’intimo tanto il singolo abitante quanto la
comunità, a Taranto come a Pechino, ma che ha contribuito a prospettare il diritto alla salute come un “diritto civile” di
valenza universale; non rispettarlo o, peggio, calpestarlo, indigna e genera rifiuto. Andare oltre il consumismo significa
raggiungere la società del “diversamente ricco”, cioè laddove i beni immateriali (cultura, morale, istruzione…) siano
promossi e diffusi tanto quanto i beni materiali.
All’interno delle eco-city che verranno sarà necessario far allignare
modelli post-consumistici orientati da un lato al sobrio e sapiente uso degli spazi e dei beni comuni e dall’altro al
recupero della pratica diffusa dell’otium romano, ovvero l’acquisizione di quei beni immateriali, gli unici di cui
l’umanità dispone in modo illimitato, nella direzione di una società inclusiva, solidale e glocal, all’insegna della
parsimonia, della frugalità e del riuso dei beni; una società che non si faccia ulteriormente abbagliare dalla
colonizzazione anglo-americana, avvenuta attraverso la pubblicità secondo la lezione di Serge Latouche.
Passaggio, questo, quanto mai stretto: il cambio di rotta si rende necessario per riappropriarsi della ricerca, a partire
da quella biologica-sanitaria, attualmente nelle mani delle multinazionali farmaceutiche, e del controllo dei flussi
monetari, per riprenderne il significato di bene comune, in quanto la moneta, sin dai tempi dei Greci, è sempre stata un
buon servitore, ma un cattivo padrone.
Certo è che l’attuale comunità jonica ha ereditato una situazione tanto ingarbugliata e così incancrenita da procurare
scoramento e da rendere difficile l’individuazione, financo, delle responsabilità.
Per venirne fuori, per il nostro bene, per quello dell’Italia e per quello dell’Europa intera, è quanto mai necessario
incentivare la cultura tecnica a tutti i livelli, dagli istituti tecnici professionali all’Università, fino a realizzare il Parco
Scientifico Tecnologico finalizzato alla ricerca applicata e all’innovazione di processo e di prodotto come obiettivo
prioritario. Si crei, dunque, un’attività di ricerca applicata per sperimentare, ingegnerizzare e applicare nuovi processi
produttivi meno impattanti, nella consapevolezza che l’inquinamento non è sempre uguale a se stesso in ogni luogo; in
modo particolare quando nella stessa area convivono altre industrie a ciclo integrale una contigua all’altra che si
assommano.
Si deve cominciare a scrivere una nuova pagina della vicenda umana, complessa e tormentata, a Taranto! Ai tempi
di Archita (V-IV sec. a.C.), a Taranto per la prima volta nella storia del mondo si costruì la prima grande e prospera
metropoli (circa 200.000 abitanti) e furono sperimentate nuove tecniche per l’industria tessile! E oggi si presentano le
condizioni che ci permetteranno di scrivere una nuova pagina di Storia dell’Umanità. Purtroppo nella giornata del 22
marzo abbiamo constatato ancora una volta che questa consapevolezza non è ancora maturata in tutti gli ambienti
responsabili.
Con questi presupposti, il referendum diventa seriamente problematico, perché i cittadini saranno chiamati ad
esprimersi sull’onda emotiva piuttosto che sulla razionalità, sia essa basata su elementi tecnico-scientifici per un verso,
geo-ecologico e geo-economico per l’altro e geopolitico per l’ultimo.
Il diritto di godere dell’ambiente, di salute e di condizioni di lavoro sempre migliori è ormai una conquista
antropologica e, per questo, non può essere conculcata, ma è destinata ad affermarsi nel mondo, in tutto il mondo. I
tempi per la sua progressiva diffusione non saranno identici nei vari contesti geografici.
L’umanità, sino alle soglie dell’industrializzazione, ha operato e vissuto secondo principi olistici, in cui l’uomo, pur
considerandosi al centro del mondo, aveva consapevolezza e rispetto dei beni ambientali e delle loro interrelazioni. A
partire dall’era industriale, poi, l’uomo si è invece considerato padrone assoluto, prefigurando la propria esistenza al di
sopra e al di fuori di un rapporto fecondo con la natura.
Dal 1972 tramonta un epoca, quella dello sviluppo consumistico, con la pubblicazione del saggio best-seller I limiti
dello sviluppo di Armando Peccei del “Club di Roma”, con cui si è preso coscienza di quello a cui andava incontro
l’umanità per l’incontrollato incremento demografico, per la penuria delle risorse naturali, per la necessità di una loro
attenta e parsimoniosa gestione, in particolare quelle non rinnovabili.
Oggi la parte più avanzata dell’umanità considera
l’acqua, l’aria, il paesaggio come beni comuni.
Qui ed ora si stabilirà dove vogliamo arrivare. Altrimenti sarà la Storia stessa, magistra vitae, che ci cancellerà.
Svaniremo nel nulla. Il modello di cui si è parlato sopra è fallito e questo è davanti agli occhi di tutti, e qui a Taranto ha
fallito pietosamente, in quanto quasi tutti si sono concentrati, capoticamente, ad individuare e “misurare” gli effetti,
senza risalire da questi alla causa, non solo per additarla ma anche per rimuoverla.
Purtroppo alcuni, invece di accettare la sfida, pur avendo ruoli manageriali e politico-istituzionali di prim’ordine, si
dilettano a fare “u’ retë pedë”, del tipo “armiamoci e partite!”, disertando il reale confronto, vuoi per pigrizia, vuoi per
vigliaccheria (quest’ultima indice di arretratezza culturale quanto di mancanza di coraggio politico), lasciando così il
campo a un rumore di fondo di un vociare polifonico indistinto degli “avanguardisti”, un russare del “sonno della
ragione che genera mostri”.
Si è giunti ad indire un referendum sulla presenza dell’Ilva senza porsi, coralmente e in modo stringente, domande
sull’adeguatezza del management aziendale, sulla gracilità del ruolo dell’Università (Facoltà di Ingegneria Ambientale
in primis, che in un decennio non ha prodotto un solo brevetto), sul perché, al di là dei roboanti annunci di interventi di
forestazione urbana succedutisi nel tempo, l’unico serio intervento in materia risalga alla sindacatura di Troilo con
l’apertura alla pubblica fruizione dei giardini del Peripato, sul perché con l’atterraggio di Riva si chiuse inopinatamente
l’esperienza del Fondo d’Impatto Ambientale (che si seppellì cu’ l’amorë dë Djië), sul perché si sia chiusa
inopinatamente l’esperienza di Italimpianti, nata come supporto tecnico all’Ilva, e sul perché Riva non trovò utile
rilevare l’esperienza e il capitale umano del Centro Sperimentale Metallurgico, comportandosi da “caporale di
giornata”, invece che da generale di corpo d’armata.
La consultazione referendaria non potrà eludere queste domande, che naturalmente irromperanno nel dibattito
pubblico, qui e ora.
Jo Tv ha deciso di organizzare il dibattito “L’industrializzazione a Taranto: realtà compromessa e prospettive di
cambiamento per la sostenibilità”, un confronto non stop a più voci tra esponenti di associazioni ambientaliste e
culturali, della cosa pubblica e del management industriale, delle organizzazioni sindacali, i cui partecipanti sono già
stati individuati e invitati dalla redazione.
Questa è altresì a disposizione di quanti, pur non potendo partecipare di
persona alla trasmissione, vorranno far pervenire il proprio contributo via mail, via telefono o, meglio ancora, in
videoconferenza: questi saranno inseriti nella trasmissione in diretta tv nei giorni 5, 12 e 13 Aprile dalle 15.30 alle
18.00 e successivamente pubblicati sul sito www.jotv.tv.
La trasmissione sarà condotta da Alfonso Zambrano, e la redazione è composta da Marcella D’Addato, Tommaso
Portacci, Cosimo Dellisanti (c.dellisanti2112@libero.it), Roberto Missiani, con i quali sarà possibile, per chi fosse
interessato, prendere contatti.
Jo Tv con la sua iniziativa spera di far emergere l’intreccio tra la questione ambientale e i problemi macroeconomici
regionali, nazionali, europei e mondiali, contribuendo così a diradare l’indeterminatezza che ci paralizza e la caligine
che da anni ci avviluppa, al fine di predisporre la città a rinnovarsi, senza, come al solito, autodistruggersi.
28 marzo 2013
Angelo Candelli