Venerdì 26 ottobre 2018 alle ore 18.30
l'Auditorium della Fondazione Paolo Grassi ospita la presentazione e proiezione
del film "Il paziente", scritto da Vincenzo Colucci. Seguirà incontro
con Daniela Guastamacchia, Pietro Battipede, Tonino Scialpi (Assessore alla
cultura del Comune di Martina Franca) e il Prof. Donato Martucci (psicologo e
psicoterapeuta).
[Ingresso libero]
PERCHÈ HO SCRITTO LA SCENEGGIATURA DE IL PAZIENTE - di Vincenzo Colucci
"Se mi chiedono cosa mi ha
indotto ad elaborare la sceneggiatura de Il Paziente nei titoli di testa del
film vi è il riscontro: è, soprattutto, un grazie a Luciano De Crescenzo. Ecco,
ho ritrovato tra i miei libri un testo sui filosofi greci scritto da De Crescenzo.
Non ho letto il volume per intero, la mia attenzione si è concentrata su
Socrate, e di questi ho colto il suo pensiero da animista, ben dissimile da un
Freud, perfetto patologo. Di certo, l’interesse e la passione per questa
lettura sono nate dalla comunicazione del De Crescenzo, che da bravo scrittore
e buon napoletano ha saputo illustrare “le cose” come se sostassimo tra amici.
Mi intrigava la percezione del pensiero di Socrate e di Freud sulla stessa
materia, ma distanti tra loro 2500 anni. Ho intuito che si potesse, con la mia
attività di sceneggiatore, sviluppare ciò che essi avevano postulato,
percorrendo il criterio di Plutarco nella stesura delle Vite Parallele. Ma una
lettura più attenta al Fedone ed all’Apologia mia hanno distolto da questo
intento per intraprendere un percorso più psicanalitico che storico, che va
verso un Socrate paziente. Platone nei suoi scritti mi ha offerto questa
occasione. Ne Il Paziente il dottor Lodi, un terapeuta, interrompe l’analisi
con una giornalista suggestionata da un opera di Jacques Louis David per
esamina Socrate. Questo è il percorso del mio lavoro. Non ho trattato l’aspetto
clinico legato alla eziologia della nevrosi che ha colpito Socrate, poiché
manca l’analisi diretta del soggetto ed ho concentrato le mie indagini, anche,
su una ricerca antropologica. I Sumeri e gli Egiziani hanno lasciato tracce
indelebili del loro passato, basti pensare alla scrittura cuneiforme sumerica;
è facile intuire ed avere certezza che già 4000 anni orsono vi sono state popolazioni
ordinate da un sistema politico religioso, ed è possibile che in esse nascesse
la competizione per assicurarsi il ruolo di leader. Questo comportamento è
sostenuto, anche, dalla struttura del SE’: l’immagine che abbiamo di noi
stessi, la cui configurazione negativa, là dove si presenti, condurrebbe ad un
avvilimento del soggetto. Più le popolazioni sono articolate più è presente il
desiderio di competizione per conquistare la posizione dominante, e su questo
assunto portiamo indietro di 40.000 anni le lancette del nostro tempo, siamo in
compagnia dell’uomo di Neanderthal. 40.000 anni orsono non vi era la scrittura,
sono arrivati a noi solo dei graffiti dei Neanderthal: un buon indicatore di
una società organizzata in cui le forme della competizione sociale: il
diventare leader, possono aver introdotto nella elaborazione del SE’ le prime
tracce della patologia narcisistica che forse ha preceduto nell’uomo tutte le
altre disfunzioni. Nonostante si ritenesse che i Neanderthal non avessero avuto
un linguaggio verbale articolato, la loro sepoltura in posizione fetale
assicura la tesi che si sia radicato il sentimento della rigenerazione, questo
fa intuire la presenza di una organizzazione sociale progredita e ben
struttura. All’interno di un sistema sociale nasce la sfida per l’assegnazione
del ruolo del leader, una figura carismatica destinata a competere per
mantenere il ruolo del capo. Il “leader mancato” che ha visto vanificare le
aspettative del proprio SE’ in quale trauma precipita? Questo approfondimento
segue la realizzazione del film, in cui l’analisi comportamentale a Socrate è
rilevata dagli scritti di Platone, filtrati dal DSM-III-R dell’ American
Psychiatric Association, un ente accreditato per lo studio dei disturbi della
personalità. Platone non smentisce Socrate che nell’Apologia dichiara di non
meritare la condanna a morte, ma bensì la destinazione nel Pritaneo. Socrate
svela un comportamento di beatificazione del proprio SE’, tanto da
strumentalizzare la sa condanna in una esaltazione. Dichiara di essere un uomo
innocente che accoglie il giudizio in obbedienza alle leggi, un passaggio in
cui il filosofo contradice se stesso: non può essere legge una condanna
ingiusta! Socrate non era tanto sprovveduto da non saper replicare ad un
ingiusta sentenza, ha venduto la sua vita al suo narcisismo. E’ stato un lavoro
interessante la sceneggiatura de Il Paziente, ho scoperto un aspetto poco
esplorato, o forse per nulla, del filosofo greco imprigionato dentro una
nevrosi."
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