La
scuola è faziosa. Crede di possedere la verità su fatti e pensieri tramandati
faziosamente. Il problema è che chi insegna non riflette mai sulla faziosità.
Ripete una faziosità come se fosse un rito. Così si generano menti faziose e
incolte.
Di Scuola
bisogna parlare. Ma oltre le schedature antologiche di un “pappagallismo” senza
stile. La letteratura necessita di un pensiero filosofico forte se tale
vuole restare. La cronaca non fa letteratura. Potrebbe creare piuttosto
rappresentazione.
La
rappresentatività della parola crea, comunque, dissolvenza. Se la parola
dovesse sgretolarsi nella tradizione senza il recupero dell'immaginario
resterebbe una retorica deficitaria di significante.
Tra filosofia
e letteratura vive la magia. Ovvero l'alchimia. Occorre coraggio ma anche cultura.
Più volte mi
sono soffermato su tali elementi che chiamerei epistemologici e archetipali.
Perché
intreccio la filosofia con la letteratura e la magia?
Una domanda che mi è stata rivolta in un recente convegno.
Risposta immediata: Perché penso che Platone sia un ciarlatano e Seneca
ha inventato il morire della morte. Unico filosofo in un tempo di chiacchiere
senza sottosuolo.
Un completo putiferio soprattutto da parte dei docenti schedati ieri come
oggi.
Cosa voglio
dire usando il termine docenti schierati? Che non vanno oltre la dicotomia dei
testi base di letteratura e di filosofia o di storia.
Testi
impostati che lasciano poco spazio alla dialettica e che non permettono una
discussione di fondo.
Da epoche
recitiamo il solito ritornello e inquadrano eserciti di generazioni a ripetere
una impostazione che potrebbe non essere nel vero. Incapsulata sulla cattiveria
di Manzoni sino alla cronaca pensata letteratura di Primo Levi.
Per ciò che
mi riguarda: Platone resta un cialtrone. Basterebbe considerare il suo
rapporto con Socrate e la sua assenza nella presenza della morte di Socrate. Il
filosofo registra il mondo pessimo nella coerenza delle contraddizioni. Ma non
diventa la legittimità del mondo pessimo.
La sua
apologia è la contraddizione retorica di un Occidente inventato e non vissuto
perché avrà bisogno dei pitagorici per entrare nella vera grecitá. L'occidente
è una metafora perché avrà bisogno di Troia per legittimarsi.
I pitagorici
non sono Occidente. Pitagora è un orfismo nella discussione aperta agli Orienti
del Mediterraneo.
Altri
interrogativi mi sono stati posti dai ragazzi smarriti dalle mie parole e dai
docenti esterrefatti ed ibridi.
Un'altra
domanda dunque è stata: Nei suoi scritti sembra non amare Dante. Vero?
Risposta immediata: Falso. Non sopporto le Lecture su Dante. Sono svolte da
ignoranti che non conoscono gli scritti di Guenon, Zambrano, Eliade, Ionesco,
D'Annunzio, Pascoli, Pirandello, Cioran, Horia, e la mia posizione. Dante è un
profeta ridotto a teologo dai dantisti di fatto.
Non solo
ignoranti ma gonfi di presunzioni e capaci di distruggere Dante pensando di
commentarlo. I docenti dovrebbero essere intellettuali ma sono troppo
inquadrati per avere un pensiero pensato.
Colpa di una
scuola incolta. Solo gli incolti commentano gli scrittori e i poeti.
Dante si
legge nella chiosa di una silenziosa traduzione, perché spiegandolo lo si tradisce,
perché la giustificazione scolastica è sempre pigra di un articolato modello di
conoscenza.
Gli
autori base oggi che hanno letto Dante fuori dal manierismo mnemonico sono:
l'esoterico Guenon, la metafisica Zambrano, il circolare Pascoli, il labirintico
Pirandello, il mistico Pound. Nessuno di questi rientra nella monolitica
visione delle letture conformiste dei cosiddetti dantisti di maniera e senza
Dante.
Poi?
Ormai siamo dentro la leggerezza di Italo Calvino e del populismo
moraviano - pasoliniano. Entrambi cattivi esempi di una parola sfregiata.
La leggerezza è il metodo calviniano dello scoiattolo ci dice Pavese.
Se si leggesse con serietà Cesare Pavese, che traduce soprattutto
Nietzsche, si capirebbe perché hanno trionfato gli scrittori senza
pensiero: da Calvino a Primo Levi e antropologi relativisti e della
prassi come De Martino.
Cesare Pavese
resta una parola pensante. Dopo il suo suicidio anche il percorso editoriale è
mutato completamente. Un non scrittore come Primo Levi non avrebbe invaso il
campo.
Infatti
Pavese non volle pubblicarlo. Calvino era una riserva della Einaudi e tale
sarebbe rimasto. Moravia si sarebbe chiuso nella indifferenza. La morte di
Pavese nella lezione di Vico Eliade Nietzsche ha fatto precipitare un modello
di cultura metafisica.
La
letteratura aperta alla metafisica e alla antropologia è una interpretazione
pavesiana.
Il mito
combatte la cronaca.
Senza mito
non si ha poesia.
La nostalgia
è il viaggio che vive di nostos.
Tre codici
pavesiani al di fuori dei quali non si ha la memoria della letteratura. E in
Pavese la lezione di Seneca è scavo di esistenze. Ovvero Provvidenza e destino.
La scuola sul
filo dell’archiviazione platonica e del Dante teologo si distacca dal pensiero
pensante e resta omologata in una rigidità di cose dette trite e ritrite. La
scuola è faziosa. Non ha la forza e la capacità di contrapporsi a libri di
testo solcatati da una provvisorietà terribile e da un neo posizioniamo
conformistico dilagante.