Giovedì
1 marzo appuntamento di primo piano a Grottaglie (Taranto) con lo studio e il
racconto curati da Anna Montella dal titolo “Noi. Le ragazze del
convento dei Cappuccini” per i tipi di “ la Luna e il Drago. Caffè Letterario”.
L’incontro rientra nella Settimana della Cultura del Liceo Giuseppe Moscati di
Grottaglie aperta sia agli studenti che ad un pubblico più articolato. Sarà
presentato da Marilena Cavallo, saggista, critico letterario e Responsabile del
Dipartimento Lettere del Liceo, che volle alcuni anni fa istituire fortemente la
Settimana della Cultura al Liceo Moscati. Il saluto verrà portato dalla Dirigente
scolastica Anna Sturino. Si tratta di un libro documento che racconta
attraverso testimonianze dirette la storia del Convento dei Cappuccini
attraverso una metodologia didattica, alla quale Anna Montella guarda con molta
attenzione partendo sempre dal dato scientifico. Infatti il testo si presta a
una chiave di lettura comparata. Il Convento dei Cappuccini è raccontato alla
città. Questo l’obiettivo. Un obiettivo ottimamente riuscito. L’incontro è
fissato per le ore 10.30 nel salone dell’Aula Magna del Liceo via Sant’Elia.
Nel corso della mattinata saranno proiettati dei Video relativi al percorso
della storia dei Cappuccini a Grottaglie.
Religiosità.
Arte, Antropologia dei Cappuccini. Una storia che si fa racconto nella memoria
di un territorio e di un vasto spazio di tempo.
Grottaglie,
la “Città delle ceramiche”, porta dentro di sé una storia religiosa profonda e
una dimensione in cui il senso del sacro, da sempre fondamentale, presenta
legami con il territorio e con una realtà molto più ampia.
Raccontare
frammenti della città e concentrarsi, in particolare, sull’Ospizio di
Grottaglie (ovvero, Lu spiziu di Grottaglie), ha significato per Anna
Montella, (autrice attenta, rigora e e puntuale ricostruttrice di un viaggio
esistenziale e storico di una realtà e di un’anima) penetrare una dimensione
geografico - territoriale e, al contempo, territoriale - spirituale, poiché la
spiritualità ha una sua territorialità all’interno delle nostre anime.
Questa
ricerca storica, compiuta con la consapevolezza dell’esistenza di un forte legame
tra fede e territorio, ha contribuito a individuare la chiave di lettura di una
città dal passato arcaico. Una città che ha storie antiche da raccontare e che
sta cercando di rievocare partendo proprio dai luoghi simbolo quali il
castello, il Centro storico, la zona del Fullonese, soprattutto, l’ex
Convento dei Cappuccini che accoglie, con una suggestiva immagine, il
visitatore nel suo immediato ingresso a Grottaglie (la “Sacra vallis”).
Anna
Montella, in questo suo affascinante scritto, compie un interessante excursus
mediante il paesaggio strutturale, geografico e umano del Convento dei
Cappuccini, partendo dalla sua fondazione, avvenuta intorno al 1586 per opera
dei Frati Minori Cappuccini, fino alla chiusura risalente al 1986. In questi
percorsi di dichiarazione scientifica e di dichiarazione documentata, l’autrice
non fa altro che viaggiare attraverso anni di apostolato cappuccino non
perdendo mai di vista il territorio, l’Ospizio di Mendicità, l’Orfanotrofio
femminile e l’operato delle Suore Compassioniste Serve di Maria.
Considero
questo lavoro di Anna Montella un unicum sia per la peculiare
strutturazione della documentazione, comprensiva di immagini iconografiche e
fonti dirette, sia per l’interessante valore che acquista nell’ambito di una
visione che travalica i confini nazionali grazie a una metodica ricerca che
include anche strutture religiose europee. Un testo che non riguarda, quindi,
esclusivamente la comunità di Grottaglie, tanto più se lo si analizza
nell’ambito di una esperienza personale, quella dell’autrice stessa. Anna
Montella, avendo vissuto quel tempo, ne recupera la memoria storica
identificandosi con la struttura religiosa; infatti, in un passaggio
dell’Introduzione, scrive: “Noi, le ragazze del convento dei Cappuccini”.
Questa
frase ci fa comprendere come, quello dell’autrice, non sia stato esclusivamente
un approccio di carattere storiografico, quanto principalmente di amore nei
confronti di questa realtà. Di amore e di riscoperta di un significativo
passato, legato al tempo dell’apostolato dei Frati Minori Cappuccini. Passato
che rappresentò un momento fondamentale nella storia di questa comunità e che
impresse un’impronta determinante nell’ambito del contesto storico dell’intero
paese.
Nel
percorso dell’autrice vi sono due aspetti determinanti: la realtà del vissuto
personale e la ricostruzione storica attraverso le fonti. Si potrebbe
raccontare per “sentito dire”, oppure attingendo direttamente dalla tradizione
quella parte di storia che ha visto il paese al centro di una contestualizzazione,
di una sua contemporaneità. Lo scritto di Anna Montella propone, invece, una
interpretazione che è quella basata su una esperienza personale.
L’autrice
ha vissuto una fase importante della sua esistenza all’interno di questa
struttura religiosa, captandone il suo reale valore intrinseco. In seguito, ha
scelto di trasportare la sua testimonianza diretta in uno studio molto
articolato in cui il vissuto ascetico dei frati Cappuccini interagisce con
un’esperienza individuale. Quando cita ricordi facenti parte di questa realtà,
come l’apostolato dei Cappuccini, i lazzaretti (rifererendosi, in fondo,
anche ai Promessi Sposi) non fa altro che intrecciare esperienze
personali alla storia del Convento di Grottaglie che attraversa i complessi elementi
del Rinascimento contraddistinto da un forte dibattito del mondo ecclesiastico
e degli Ordini religiosi.
Ecco
perché, quando si fa riferimento alle dimore provvisorie dei frati (in un’epoca
che si aggira intorno al 1586) si vanno a toccare quegli aspetti nodali in cui
la presenza religiosa, e cristiana in generale, ha acquisito un valore sia come
modello spirituale che culturale.
Oggi
questa peculiare realtà rientra in ambiti pertinenti che vanno sotto il nome di
“antropologia storica” e “antropologia religiosa”, dimensioni di studio che
contemplano ciò che ha rappresentato il mondo cattolico in un’epoca di grande
difficoltà storica e religiosa come il Cinquecento (si pensi alla Riforma
Protestante e alla Controriforma) imprimendo un’impronta decisiva a un
territorio come quello di Grottaglie, a una terra definita “delle gravine” e,
in modo particolare, a quella parte di territorio chiamato del “Fullonese” così
denominato per l’arte tintoria che lì si praticava ad opera di una colonia di
ebrei (il termine fullo in latino significa “tintore”).
L’eccellente
lavoro di ricerca dell’autrice costituisce il risultato di un confronto tra
riferimenti storici e documenti che vanno interpretati o che sono stati
interpretati. L’aver intrecciato la storia del Convento, della chiesa,
all’intero territorio in un suggestivo mosaico avente per base sempre la
devozione, non deve essere stata impresa facile.
Una
devozione che fa approdare a una visione strutturale delle chiese e dei
conventi nella loro complessità attraverso un viaggio dell’autrice, sia fisico
che della “memoria”, all’interno di questa affascinante struttura religiosa
consultandone la ricca bibliografia, visitandone gli spazi particolarmente
suggestivi, come la camera funeraria, e seguendone la fasi dei lavori di
recupero documentando in che termini sono visibili oggi questi lavori. E poi il
“viaggiare” tra le tele del Settecento, opere d’arte che tramandano, oltre al
valore artistico, la testimonianza di un’arte sacra che diventa conversazione e
comunicazione dialogante con la contemporaneità. Anna Montella ci tiene a
precisare che tali opere hanno visto la luce nel Convento di San Francesco di
Paola a Grottaglie, precisazione che troviamo in quel momento del libro in cui
tale Convento viene considerato un vero e proprio museo dell’arte e della
religiosità dell’Ordine dei Minimi.
Il
legame tra ciò e la storia del fondo librario dei Cappuccini ha rappresentato,
e continua a rappresentare, un punto di contatto tra la cultura religiosa e la
storia poiché, come dicevo, si tratta di una ricostruzione storica, tuttavia il
confronto con il territorio chiama inevitabilmente in causa il “bene
culturale”. La storia e la soppressione dell’Ordine dei Cappuccini dopo l’Unità
d’Italia hanno fatto sì che questo luogo di mendicità diventasse una geografia
allargata per tutto il mandamento di Taranto, Brindisi e della provincia di
Otranto. Un “ricovero” in cui è possibile registrare un’accoglienza all’interno
di tutta quella storia partecipante che è stata vissuta dopo l’Unità d’Italia.
All’interno
di questo discorso rivestono un ruolo di primaria importanza le Suore
Compassioniste Serve di Maria, religiose legate all’attività dell’Orfanotrofio
femminile, struttura destinata ad assumere non soltanto un ruolo fondamentale
nell’ambito di una geografia territoriale ben identificata, ma anche a
stabilire un forte legame con quella dimensione umana ed esistenziale che si
riassume nell’orgogliosa dichiarazione dell’autrice “Noi, le ragazze del
convento dei Cappuccini”.
Anna
Montella qui sembra penetrare il senso di una nostalgia profonda che giunge
alle radici, a quell’immaginario che continua a vivere all’interno dell’autrice
e che si manifesta mediante la narrazione di accadimenti vissuti, attraverso la
descrizione di quegli spazi comuni in cui le ragazze si incontravano e il
racconto del rapporto speciale che le legava alle suore. Una narrazione che
arriva a sfiorare anche la testimonianza di Maria Luisa Quaranta, ospite del
collegio fino al 1955.
Una
resoconto che viaggia tra le pieghe del tempo, penetrando le fasi esistenziali
più importanti dell’autrice, contemplando anche gli anni della scuola
elementare, quegli anni ’70 che hanno significato per Anna Montella un
essenziale confronto con la realtà della sua generazione. Un attraversare il
tempo avvalendosi anche di ricordi tangibili come le immagini della Prima
Comunione, delle gite durante le vacanze estive, dei Natali trascorsi in
collegio in un arco temporale che va dagli anni ’60 fino agli anni ’70. Un
canovaccio che chiama in causa la storia e la confessione. Il genere
letterario, o il genere storico, diventa poi Storia e Letteratura. Una
confessione, appunto, come genere letterario.
In
quella sezione del libro intitolata “C’erano” l discorso diventa
prettamente antropologico. Si ricordano, infatti, la Festa della Mamma, le
gare, il Carnevale, in un ambito in cui l’antropologia si sposa e
interagisce con un vissuto esistenziale che include al suo interno un vero e
proprio processo umanizzante. Questo dimostra come le ragazze del Convento dei
Cappuccini siano state testimoni rappresentative di un vissuto comunitario
diventando parte integrante della storia stessa della struttura religiosa.
Un
discorso, quello di Anna Montella che, prendendo le mosse dalla fase
pre-rinascimentale, approda ad una contemporaneità che è specificatamente la
sua. È come se avesse percorso, attraverso la storia del Convento dei
Cappuccini e di Grottaglie, non solo il suo personale vissuto, ma anche quello
di un territorio e della devozione a un territorio. In questa contemplante
visione, la storia, l’immaginario e la realtà diventano un bene culturale. Il
bene culturale è il linguaggio dell’antropologia e quando, nella conclusione,
Anna Montella parla proprio di questi aspetti, va a toccare il linguaggio
introspettivo di un’antropologia della comunicazione che è antropologia
dell’offerta storica, vera e propria conoscenza.
“L’antropologia della conoscenza” passa attraverso l’analisi storica e umana di
questa struttura religiosa raccontata con grande abnegazione e nostalgica
passionalità da Anna Montella.
Un
libro unico, dicevo. Certo. Perché la storia non è fatta da coloro che pensano
di essere storiografi di mestiere o di storie patrie. Ma di chi sa conoscere i
documenti con l’anima e leggere all’interno dei documenti non la cronaca
soltanto, ma veri e propri pezzi di vita.
In
questo viaggio Anna Montella, con i suoi collaboratori, è l’unica che a
Grottaglie ha saputo intrecciare il vissuto con la memoria, il tempo con i
documenti, la storia di una identità con la propria eredità di valori.