I folli chi sono? Il Gruppo
“Le Grazie“ sul palco del Teatro Monticello di Grottaglie con “Li pacci siti
vui” con attori solidi e scene ben articolate in una brillante commedia di
Scarpetta
Pierfranco Bruni
Il
teatro si vive sempre smettendo la maschera dell’uomo e indossando quella del
personaggio. Nel teatro amatoriale questo avviene sempre, tranne in casi
eccezionali in cui l’attore – uomo porta dentro il suo caratura il personaggio
di ciò che avrebbe voluto essere. Così la rappresenta. Nel teatro di Scarpetta
Eduardo la mistura tra reale e rappresentativo è una incognita che si risolve
solo sulla scena.
La
Compagnia Teatrale
di Grottaglie (ovvero Gruppo culturale teatrale) “Le Grazie” della Parrocchia
Madonna delle Grazie ha portato in scena, per la regia di Ciro Aquaviva, “Li
pacci siti vui”. Un libero adattamento di un testo, appunto, di Eduardo
Scarpetta. Una Commedia in tre atti che il Gruppo Teatrale ha magistralmente
gestito con una appropriazione di linguaggio ben curato, in un vocabolario
“volgare” tra il napoletano popolare, quindi alla Scarpetta e poi dei De
Filippo (più estetizzato), e il Grottagliese che ha un idioma la cui matrice
linguistica è salento – napoletano in una traiettoria di un archeolinguaggio
messapico. Le antropologie delle parlate recuperato il senso di una comunità.
Quando
Mimmo Arces mi ha invitato, gentilmente come sempre, a questo nuovo spettacolo
e mi ha tracciato un po’ le linee della trama mi sono volontariamente posto in
riflessione. La vita è buffa e quando non è buffa è comica e quando non è
comica è ironica… tragica? A volte sì…
Il
fatto è che quando Arces mimmo (Cosimo, anagrafato) sparisce di sera significa
che stanno tramando una nuova commedia…
Commedia
signori. Ma portare in scena il triangolo di Scarpetta ci vuole non solo
coraggio, ma anche bravura. Questa compagnia di bravura ne ha tanta…Se lo dico
io che non capisco nulla di letteratura, teatro, cinema, filosofia… dovete
crederci… Bisogna fidarsi di chi improvvisa… Io sono un improvvisatore nato… Un
giullare come il Gruppo delle Grazie…
Nella
vita bisogna fare delle scelte: essere giullari o essere “anguille”…
Poi
è molto carismatico questo Gruppo. Sono ormai amico di tutti loro. Divertenti
nella realtà e nella vita…
A
pensare che sono, per la maggior parte, i ragazzotti cresciuti sotto il manto
della parrocchia e di don Salvatore, ora Vescovo, è veramente sublime. Che
meraviglia! Altri tempi nella fedeltà di cercarne dei nuovi.
Sono
tornato appositamente da Milano, dopo un tuffo di sciampo pirandelliano, per
assistere allo spettacolo de “Le Grazie” e bene ho fatto.
Il
sorridere è sempre magnetico, magico e bisogna saper sorridere…
Non
solo c’era e c’è da ridere, ma c’è anche da riflettere. Perché il riso senza la
meditazione ci porta alla debolezza della leggerezza del pensare.
Scarpetta
è l’istrione che non abbandona mai la macchietta per farla diventare “scuppetta
stellare” (attenzione alla pronuncia). Perché la lingua volgare della
“eloquentia” si percepisce nella sua oralità che diventa anche gestualità. A
Dante era sfuggito ciò. Mannaggia. Non era arrivato a questo Ovidio.
Nel
caso specifico di questi tre atti la lingua interagisce con il costume e con la
fisicità dei movimenti. Senza il movimento dei personaggi il dialetto diventa
piatto, inespressivo, non comunicativo. Invece questo Gruppo teatrale, ormai di
lunga esperienza, con attori storici diventati anziani quasi, (non me ne
vogliano ma i capelli bianchi o i senza capelli o quelli colorati delle donne
belle, comunque e affascinanti dalle labbra carnose alla “Carmen”, sono la
testimonianze che il tempo è una cifra che tocca tutti tranne me, questo è
certo) è un riferimento all’interno del territorio non solo grattagliese, ma
pugliese.
Grottaglie,
città della Ceramica, quando diventerà città della cultura? E non di un museo
della ceramica assente…
Eppure
energie non mancano. Si veda questo spettacolo…
Bravi
i maschietti con baffi o senza. Brave le femminucce isteriche o senza isterie
(in teatro, mi riferisco).
Grandiosa
la scenografia con il cambio di tre impalcature.
Non
vi racconto la trama perché è necessario andare in teatro (al Monticello di
Grottaglie, perché andrà avanti sino a febbraio con repliche a suon di
richiesta…), ma il tema centrale è la follia.
La
domanda che si pone: chi sono i folli? Chi fa il folle, chi pensa di essere
pazzo, chi pazzo è realmente o i diversamente pazzi? Ma i diversamente pazzi
dovrebbero essere i normali?
L’unica
verità certa è che non c’è alcuna certezza della verità.
La
commedia offre un paio di ore rilassanti, scene dove pensi di essere sulla
scena io tu spettatore e poi ti dici… no non sono pazzo sono loro che fanno i
pazzi… fanno i pazzi… coinvolgendoci…
Qui
è il punto! Nel momento in cui veniamo coinvolti la commedia è riuscita…
A
dire il vero mi sembrano realmente folli nella realtà conoscendoli (Dio mio che
dico? Ma il mio Dio è trasgressivo…, perdonate un folle giullare come voi…)…
devo fare i nomi… Esiste una realtà? Per chi fa teatro qual è la realtà?
L’invisibile!
Guardate
un po’ cosa mi ha creato il teatro… la maschera doppia e non la maschera nuda… Un
bel nudo ci starebbe sempre bene… Dipende … Un maschio nudo assolutamente no…
Divagazioni di terzo tipo.
Il
teatro è rendere nudi sapendo di indossare le vesti che pensi di non indossare…
Filosofia? No. Recita!
Il
personaggio femminile della novellante giornalista non faceva forse la
venditrice di storie altrui…
La
zia ricca del medico non medico non giocava alla vanità? E lo zio?, attore
formidabile, non ricuciva un ruolo di un aristocratico napoletano grottagliese
che vendeva ciò che non possedeva ma aveva?
La
signora ben compita, proprietaria della pensione, almeno, che voleva accasare
la figlia ha vestito le vesti di una popolana boccacciana e furba…
Così
come il chiaro vestito che per aiutare il mancato medico si offre come pazzo
non è pazzo realmente tanto che resta sbigottito nel momento in cui non deve
fare più il pazzo…
E
così via sino al mascherato cromato amletico rivoltatore degli amori…e al
maestro suonatore e orchestrato come folle musicista…
Diamoci
una regolata, ora... Ridete con ironia. Siamo un po’ tutti pazzi… Anche io a
dover scrivere sono diventato folle…
Bravi.
Tutti Bravi (non come quelli di don Rodrigo, Manzoni aveva delle fisime e
indossava maschere d’anima e non di viso… come è insopportabile…) nelle loro
parti.
Bravissimi
anche nella musica d’inizio e nelle chiare e dolci fresche parole della miss
Marilena, ovvero la prof calviniana, nel presentare la serata.
C’è
da dire che il Gruppo teatrale ormai conosce molto bene sia l’opera di
Scarpetta sia la funzione che ha svolto Scarpetta nella cultura post
goldoniana. È la terza opera che mette in scena. Quella “miseria e nobiltà” che
ha scaldato il letto dei duellanti si è innescata nel beffato e malinconico medico
non medico, il medico dei pazzi. Il Gruppo è ben addentrato nel teatro
napoletano che è sostanzialmente quello del Regno di Napoli post borbonico.
È
stata una lezione vera di teatro con delle regole prettamente antropologiche. È
giusto che sia così. È giusto che si continui così. A far ridere. Perché
facendo ridere non si nasconde la verità della vita pur non dicendola.
Una
forte ironia che sembra calata in ogni epoca.
Il
bello di stare insieme è un religioso patto per non sradicarsi dalle radici. Questo
mi sembra un dato molto importante. Bisogna che vengano valorizzate queste
manifestazioni culturali in cui il linguaggio diventa una vera e propria misura
dell’identità antropologica di una comunità. La serata è stata presentata dalla
brava Marilena Cavallo, la prof, che dovrebbe ritornare a “cavalcare” le scene
del teatro anche lei insieme a tutto il gruppo, come la ricordo in anni
passati.
Un
serata serena. Finalmente. Diceva Antoni Garcia: “Quando si resta seduti e si
ascolta osservando, vuol dire che una striscia di armonia vive dentro”.
È
così è stato. Così sarà. Bravi! Di teatro si vive sempre. Non si muore mai.