Fluttuano
nei cuori orfani dei loro cantori.
Alimentano
i rivoli di una speranza.
Ritornano
lì dove si scioglie il dolore e nasce il canto.
Sgorgano
in rime mancate.
Rinascono
nei loro versi.
Entrando “alle soglie della Profezia”
si incontra la Madre, una presenza antica, velata dal pianto di chi mai avrebbe
voluto perderla e poi s-velata in versi, strappati al dolore e consacrati alla
parola, quasi sussurrati: “Non sarai mai solo figlio mio, amato mio”.
Il Poeta scalzo, ormai senza i sandali di
alcuna certezza, inizia il duro cammino verso il riscatto della sua solitudine
di Figlio. Una anafora martellante avanza “non posso…non potrò… non sei”, sfida
la “mancanza” con il doloroso campo semantico della sottrazione, del “non” e si
libera nel verso conclusivo dell’Incipit “ti trovo perché ci sei”.
La via è la parola, il colloquio con la
Madre, con una Presenza nuova, mai assente e sempre accesa nel proprio impasto
di vita. Le vie del canto poetico diventano misteriose e si snodano in 21
frammenti come un poème en prose, che fissa in 21 battiti di poesia 21
momenti di vita.
Le parole, morse dall’abbraccio della Morte,
duellano sulla “soglia”, in gola, quasi strozzate! Ecco che ancestrale e
autentica la Rivelazione si compie nel ritorno della Madre, di quella grande
Alfa, principio di tutto.
All’improvviso nei versi si sente il profumo
del bucato, quell’odore di fresco di una vita, una essenza che sembra
aver varcato il limite del Tempo per divenire effluvio di ricordi. Il sapone di
lavanda è nel vento che da Levante tira…tra i suoi capelli.
(Booktrailer - ALLE SOGLIE DELLA PROFEZIA di Pierfranco
Bruni CLICCA QUI).
L’ora è il tempo del meriggio che restituisce
la fisicità statuaria di una Donna alta , mora, dagli occhi profondi e scuri,
che raccoglie il bucato, una Madre-Mare, nel Mediterraneo delle estati a
Trebisacce e negli inverni delle partenze e della lontananza.
Rinasce nella “rimembranza” quella ironia
di madre antica che risveglia suo Figlio con voce sicura, per
parlare ancora in un commovente dialogo sul bordo del letto, sempre sulla soglia,
sorseggiando un buon caffè.
Struggente è la lama del Tempo che taglia con
il suo gridare: siamo passati…! Un urlo nero, spezzato in una
punteggiatura decisa e dura che frammenta l’animo in tormento e isola la
parola-verdetto in un solo verso Inesorabili! A questo strazio come un
controcanto risponde la voce-vocalizio della Madre: sapevo, sentivo,
ti ho ascoltato, la profezia di chi conosce l’incantesimo dei sogni
e il loro infrangersi nella distrazione degli anni.
Il cammino del Poeta prosegue alla scoperta
del cuore di foglie che solo le madri hanno, un cuore capace di
conoscere le stagioni dell’esistere, il verdeggiare e l’ingiallire dei sogni,
la storia dell’animo dei propri figli e l’avvincente ciclo della vita.
Realtà e sogno, quotidiano e eterno si
contendono la terra del cuore, ora che l’assenza fisica della Madre apre come
un varco nella memoria. E rinasce per un attimo la magia della montagna di
farina, in cui uova fresche e olio d’oliva giocano nell’amalgama dell’impasto.
Il poeta è stato bambino e con occhi curiosi
ha seguito il bucherellare del fondo delle crostate di sua madre con i rebbi
della forchetta, il suo decorarle con strisce diagonali, per poi incorniciarle
con piccole palline e mandorle tostate.
Ora. Non ci sono più crostate.
La magia si è rotta, l’incantesimo spezzato… il poeta è uomo e sa che quelle
mani di donna vissuta ora non possono più impastare, nè accarezzarlo, ma
restano ricche di racconti in ogni piega del loro palmo. Così il canto
si risolleva e si libra alto, perché di sera la tua voce/ ha la favola
antica di parole mai dimenticate.
Con scatti fulminei nel cortocircuito della
memoria, tra un caffè bevuto in tazze spesse, pranzi attesi e crostate
che non ci sono più, tra la 5 e la 15 stanza, il poeta gioisce e soffre, per
poi consacrare, ancora una volta, in un refrain suggestivo, la prévertiana
immagine del cuore di foglie.
Questa analogia lieve e vibrante è uno
sciabordare caro al Poeta che insegue i ricordi di una Madre che è oramai scesa
per sempre dal terrazzo assolato della Vita e resta con Lui in una corrispondenza
di tenerezza silente.
Ora Lui lo sa, io e te siamo una linea tra
due orizzonti, e nella notte della separazione la accarezza con la sua mano
di figlio, divenuta un petalo del deserto. Rotta la pietrificazione del
dolore, di sera, nell’ora in cui più visceralmente si pensa ai propri cari,
leggero il verso si fa petalo nel deserto anaforico di una rosa senza
pioggia/ rosa di vento/ rosa per sempre.
Perentorio e dolcissimo il monito materno, di
colei che sa che le Madri non vanno mai veramente via, ma restano silenti
attaccate a un lembo di cuore dei propri figli. Con quella suggestione notturna
della profezia della luna, come in un climax sempre più crescente, mamma
Maria diviene donna greca e separa la verità dalle false paure: Figlio
mio non misurare più assenze distanze lontananze. Un solo verso, tutto d’un
fiato, senza virgole, privo di pause, trafelato e autentico!
Un soffio agostiniano: non misurare! La
regola aurea della misura dell’amore è “amare senza misura”
“Umbra sumus”!
L’epilogo
non concede consolazione e veritiero incalza in 10 versi una amarezza: sei
passata tra le ombre! Eppure è vivo nella Casa-Madre un indirizzo inciso a
lettere di fuoco: Un tempo in via Carmelitani.
Bruni, poeta di “quando fioriscono i rovi”, ha tra le mani ora un doloroso
cardo, che s’innalza tra spine per fiorire ancora, ora che la trupìa del
cuore lo tempesta di vento sui vetri della cucina e nel
cielo calabrese di quelle che orgogliosamente chiama le mie infanzie.
“Beviamoci insieme una tazza di vino” chiedeva Scotellaro a quella madre, che
lo aveva cresciuto “nel pianto/ sotto la ruota violenta della Singer”.
Bruni, dopo i tanti caffè bevuti con la sua Donna-Madre, può giocare con il
tempo e ritrovare solo gocce di caffè … sulle tue labbra.
Il Poeta ama le rose del suo giardino nella
casa di paese, ama amorosamente anche quelle che “non colse” e ora le afferra
dal gambo, lasciando che le spine incidano l’incavo delle mani e solchino le
vie del suo amato dolore.
Delle rose sono rimaste le spine spente …
Questo il nuovo paesaggio del suo animo: il
naufragio si è consumato, il bambino è sceso dalla rutilante giostra persa
dell’infanzia, il caffè è giunto al fondo nel cuore che singhiozza come fosse
solo un angolo spezzato di memorie.
La pergamena di parole si è srotolata in 21+11
stanze poetiche abitate dal soffio di una Vita altra. Nel tempio non c’è il
Profeta che legga verità assolute, né una Sibilla che interpreti l’oracolo. C’è
l’alchimia dei numeri 21+11… tanto cari al Poeta.
Siamo sulla soglia, nel chiaro del
bosco di parole.
“Il chiaro del bosco è un centro nel quale
non sempre è possibile entrare”, la soglia è il limen di una profezia
aurorale, direbbe la Zambrano cara al battito filosofico del Poeta.
E così si chiude l’omaggio di un figlio Poeta
a sua Madre.
Le
sue nostalgie sono vele, come Heminguay gli ha insegnato, in questa vita
che è una festa mobile.
11
ottobre 2015 la trama di una vita si sgrana!
… Era d’autunno
Eppure questa poeticamente scandita Profezia,
come olio di nardo lenisce ferite che mai potranno chiudersi e, se il Poeta
facesse l’appello dei suoi affetti più cari, il nome di Lei svetterebbe rosso
nella “rubrica” della sua memoria.
Maria Caracciolo?
Presente!
Sempre!
Brilla chiara la sua promessa: Ti porterò,
oh Madre, il canto!
Al lettore rapito non resta che entrare
religiosamente nell’aurora di questo canto lirico.
Solo a Lei, la Madre, la facoltà di
penetrarlo tutto nel Mistero.
“Tu che il mio canto intendi sola: in te si
perde la mia parola come foresta”. (R. Maria Rilke)