Incisivo o
periferia degli esclusi? Il Mediterraneo è stato sempre un legame e uno
scontro. È nelle epoche che è stato percepito e vissuto come tale. Si può
parlare di un Mediterraneo delle culture all’interno dei processi geopolitici?
Quale valore ha il legame tra l’Europa storica del Nord e un Mediterraneo tutto
intrecciato tra divisioni etniche e religiose? La Mostra “Donne Mediterranee e
Balcaniche in immagini” che è stata inaugurata nei giorni scorsi a Cosenza
(San Lorenzo del Vallo – Istituto Storico Antropologico Virgilio Bruni) si pone
come interfaccia tra culture ed etnie.
Mostra che
nasce all’interno del Progetto Etnie del Mibact. Ci sono alcune riflessioni che
si pongono. Un aspetto importante è quello etno – antropologiche- e su questo
sto lavorando grazie ad una chiave di lettura le cui immagini che risalgono agli
anni Trenta ci conducono ad una temperie e a delle civiltà ben definite.
I popoli
restano sempre, nonostante il vissuto di società in transizioni, ancorati a
divisioni e condivisioni che sono il portato storico di territori e aree
geografiche. Ma la visione che si presenta nella attuale realtà è ormai tutta
letta attraverso chiavi interpretative che si pongono come apri pista tra le
eredità di un Occidente complesso e di un Oriente articolato. C’è da dire che
in un tempo in cui il Mediterraneo non è soltanto una geografia o un “modello”
geopolitico l’antropologia delle etnie assume una concordanza con quelle
eredità che hanno attraversato la civiltà pre Magno Greca sino a tutto il
contesto Romano.
È proprio
nello spaccato tra le identità greche, neogreche e latine che le etnie del
Mediterraneo assumano una valenza sia politica sia prettamente antropologica
sia metafisica. Finora abbiamo trattato la questione relativa al rapporto etnie
e Mediterraneo come se fosse una dimensione meramente territoriale.
In un tempo
di vissute incompiutezze esistenziali il Mediterraneo resta un destino, come
volle definirlo Braudel, ma anche una sostanziale filosofia della conoscenza
dei saperi in una visione antropologica.
I veri
saperi del Mediterraneo nascono dalla definizione di un processo etnico che
significa la forza di una archeologia dei saperi dei popoli e delle loro
identità. In fondo questo Mediterraneo oggi resta senza una precisa identità.
Anzi senza una appartenenza perché se vogliamo dirla in termini di saggezza
delle conoscenze le identità ci sono ma sono una dichiarazione di confusione e
di reali conflitti anche di ordine economico oltre che religioso etico e
culturale tout court.
Bisogna fare
in modo di recuperare il Mediterraneo delle etnie nelle archeologie. Questo è
il punto, perché le etnie storiche hanno un senso nello sviluppo che i popoli
hanno dichiarato lungo i secoli. Secoli che sono state e sono epoche.
Il
Mediterraneo è fatto di epoche e parla attraverso le epoche , ma le epoche sono
una espressione di interpretazioni e di letture puramente etniche. Da questo
punto di vista la chiave di lettura antropologica resta, nonostante le crisi
religiose e ideologiche, il dato centrale per entrare tra le onde dei marti
vissuto e decifrare una storia che, comunque, è sempre la nostra storia. Una
storia che trova in Omero e Virgilio i punti non sono di contatto ma i
riferimenti anche rispetto a ciò che abbiamo definito il sapere delle
archeologie delle lingue.
Restano
fondamentali i legami tra le lingue, l’archeologia e le tradizioni. Senza una
valenza antropologica, comunque, neppure la storia avrà senso. La storia non è
da considerarsi soltanto come elemento storiografico o geo-storiografico, ma va
inserita in quel processo di identità in cui le etnie restano appartenenze e le
identità si misurano costantemente con le la tradizione ma anche con le
innovazioni sia linguistiche che etno archeologiche. La Mostra di “Donne
Mediterranee e Balcaniche” è un segnale preciso che ci permette di leggere le
civiltà meticciato e ci pone una questione di pluralità etnica e di relazioni
antropologiche tra civiltà.