Settantanni fa nasceva la Costituzione italiana.
martedì 26 dicembre 2017
da Vito Piepoli
Una data importante quella del 22 dicembre, perché settantanni fa veniva approvata la Costituzione che sarebbe poi entrata in vigore il 1° gennaio del ‘48. L’originale della Costituzione è custodito al Senato, davanti al tavolo, nella stessa sala dove hanno messo la loro firma sull’ultima pagina il capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola ed il presidente del consiglio, Alcide De Gasperi. Settantanni fa i membri dell’Assemblea Costituente hanno scritto discusso ed approvato in meno di un anno e mezzo la legge fondamentale della nuova democrazia italiana, l’architettura istituzionale che regola i tre poteri dello stato. Tempi che appaiono straordinari oggi quando ci sono leggi che stazionano per anni tra le due camere. Nel 1947 l’Italia aveva ancora tutte le ferite della guerra, strade ingombre di macerie, migliaia di sfollati e senza casa, campagne devastate e fabbriche ferme, ma gli italiani erano animati da una volontà di rinascita, da una energia sociale che li spingeva a partecipare alla vita politica. Questa energia degli italiani entra nella Costituzione, investe i costituenti che sono figli di quella energia, perché eletti in quel contesto e l’energia è quella che scaturisce da quel biennio cruciale 1943/45, dalla stagione della Resistenza e dalle diverse forme di partecipazione che l’attraversa. Ogni articolo è stato discusso dai costituenti parola per parola, verbo per verbo, come il primo: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Inoltre negli anni del dopoguerra gli articoli della Costituzione Italiana sono stati fonte di ispirazione per le costituzioni di paesi che riconquistavano libertà e democrazia dopo lunghe dittature. Quale eredità ha lasciato il pensiero del mondo cattolico nell’elaborazione dei princìpi costituzionali? Si può dire che la finalità del lavoro fatto, sono sintetizzate da un passaggio di un discorso al Senato di don Luigi Sturzo del 27 giugno 1957: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella coscienza nazionale, anche attraverso l’insegnamento e l’educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”. La guerra era da poco terminata, la persona umana era stata umiliata, le ideologie erano totalizzanti e asserventi, le pressioni internazionali dopo il referendum del 1946 erano forti, eppure il lavoro svolto dai 556 deputati costituenti, che iniziò il 25 giugno 1946 e terminò il 22 dicembre 1947, giorno dell’approvazione della Costituzione Italiana, riuscì a mettere le basi per costruire il Paese sia a livello materiale che a livello spirituale. In questa cornice storica c’è stato un punto fermo: i costituenti scelsero di comprendere la democrazia non solamente come una serie di regole e procedure ma come un “valore morale”, che aiuta il “cittadino” a diventare “persona”, essere in relazione con e per gli altri, e definisce un orizzonte di cammino per lo sviluppo del Paese.
Poi quello di strutturare e articolare la vita della società civile sugli enti intermedi per far crescere la persona e la democrazia. Il gruppo dei cattolici concorsero a costruire i tre livelli su cui si basa la democrazia italiana. Della “democrazia rappresentativa” e dell’ingegneria costituzionale, voto, buona formulazione delle leggi, la loro applicazione, e così via, se ne occupò il Presidente De Gasperi e i suoi collaboratori. Della “democrazia economica”, in cui tra lo Stato e il mercato il mondo cattolico pensò “lo stato sociale”, se ne occupò la III Sottocommissione in particolare l’on. Fanfani. L’ultima dimensione della democrazia, quella “partecipativa”, richiese un “patto sociale” tra i partecipanti, dando luogo al nascere di soggetti sociali come ad una nuova idea di famiglia, al nascere delle fondazioni, allo sviluppo delle associazioni, delle chiese, della scuola, dei sindacati, delle imprese, delle cooperative e così via. Tanto che in conclusione si può dire che la vera salute della democrazia è data anzitutto dalla salute degli enti intermedi e Luigi Sturzo si spese tanto in questo. Luigi Sturzo non è stato un “costituzionalista di professione” bensì un uomo politico con vasti interessi culturali che ha avuto la ventura di vivere in una posizione pubblica preminente non solo come segretario nazionale del Partito Popolare negli anni della crisi dello Stato liberale, ma anche, come senatore a vita, nella stagione della affermazione della democrazia costituzionale. Le sue posizioni sulla Costituzione repubblicana richiamavano la profonda concezione dei nessi tra etica e politica e le ragioni specifiche della lunga polemica contro la “partitocrazia”, non escludendo le sue prospettive per le riforme costituzionali da quella del sistema bicamerale a quella per lo sviluppo di un modello politico degli assetti regionali. Rivisitando tali posizioni, si approfondisce il costituzionalismo di Sturzo e si comprende l’innovazione apportata alla tradizione del cattolicesimo politico anche attraverso la ripresa di modelli istituzionali propri della cultura anglo-americana. È recente la pubblicazione di un libro su Don Luigi Sturzo, scritto da Giovanni Palladino, figlio del prof. Giuseppe, esecutore testamentario, edito dalla Rubbettino. Questo libro racconta per la prima volta la genesi e la positiva conclusione della fase diocesana della Causa di Beatificazione di don Luigi Sturzo. Un sacerdote che si è sempre battuto in difesa della moralizzazione della vita pubblica e dell’economia sociale di mercato. Egli ha posto alla base del suo pensiero e della sua azione i due “pilastri” del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, senza dei quali “invano edificano i costruttori”. Il suo insegnamento e il suo esempio di vita, ben conosciuti e apprezzati dai 154 testimoni ascoltati in Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti dai giudici del Tribunale del Vicariato di Roma per le Cause dei Santi, devono ispirare una nuova classe dirigente, di cui l’Italia ha un gran bisogno, sulla scia di quanto sostenuto dalla Rerum novarum di Leone XIII e dalle numerose Encicliche Sociali successive: “Impegnatevi in politica ricchi della forza meravigliosa del Cristianesimo”.
Vito Piepoli giornalista tess. n. 99479 cell. 3472293761
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