Sono
una “Illusione cosmica”. Con i tarocchi che leggono le alchimie. La civiltà del
popolo Maya. Gli abissi toccano sempre il sottosuolo dell’anima. L’Occidente e
l’Oriente sono un intreccio di magia e di sensualità. Le etnie sono espressioni
antropologiche in cui la danza, il ballo, la musica, il canto costituiscono una
priorità nel linguaggio della comunicazione tra eredità e identità. Le culture
etniche, in modo particolare tra quelle culture e quei colori che intrecciano
le visioni mediterranee, in un verso simbolico vero e proprio, e le culture che
provengono dal mondo della dimensione maya costituiscono un itinerario in cui i
Mediterraneo diventano voci di popoli con gli Oceani. Una civiltà che raccontò
il tempo senza misurarlo.
I colori del ceppo culturale del popolo Maya
ha un’articolazione di luci che tocca tutti gli sfondi dell’arcobaleno. Mistero
e magia sono un vissuto nel quotidiano. È come se fossero i colori
dell’arcobaleno che insistono soprattutto in un processo etnico in cui la magia
non è mai finzione o maschera, ma visione onirica. il La terra e il cielo, sono
una Identità che rappresenta anche il limite e il non limite dal punto di vista
metafisico e antropologico.
La
terra e il cielo costituiscono il dato di un paesaggio in cui la natura è
una natura che si confronta con le stagioni, con la circolarità e con il tempo.
Una natura che si confronta con tutta una dimensione che è la dimensione della
luce naturale e quindi del sole, della notte, del buio, delle diverse dimensioni
dei colori, delle diverse articolazioni dei colori.
I
deserti sono la terra. I deserti ci riportano ad un immaginario che è
l’immaginario costruito, ma di fatto reale, dalle donne e dagli uomini del
popolo Maya. Si pensi alle donne che portano sul capo i tessuti che scendono
sulle spalle. I vestiti che indossano sono una festa di colori. È proprio una
festa del colore che sembra non conoscere ombre, che sembra non conoscere i bui
o il buio in sé. È la gemmatura, la fioritura di un’esplosione di luci. Gli
arcobaleni.
Allo
stesso modo, la terra che sembra un muro grigio, non è il muro sartriano dal
punto di vista filosofico e antropologico, ma è il muro della percezione di uno
scavare nell’anima. Terra metafora dell’anima. Questo deserto è fatto anche di
impasti e le sfumature sono un intreccio della dimensione fissa del
Mediterraneo che ha l’alchimia di una magia di albe e di tramonti. Luoghi di
una metafisica dell’indissolubile. La dimensione fissa del Mediterraneo è il
meridiano che attraversa le acque e le sabbie.
Il
meridiano Mediteraneo è l’insieme delle luci che provengono dall’alba, dalle
aurore e dalle ombre che provengono dal crepuscolo, dal tramonto. Sono
rappresentate dal sole che sorge e che si depone negli orizzonti. Questo è il
colore del Mediterraneo in cui il meridiano taglia queste due sfere di colori,
di conseguenza la partecipazione al colore diventa una “non forma” perché è il
colore che crea l’immaginario della forma, così come nei deserti che chiedono
alla voce degli abissi di diventare anemone e farfalla. Una civiltà che
tratteggiò il vento senza catturarlo.
Tutte
queste sfumature ci portano alla tessitura di una cultura primitiva, di una
cultura primigenia che soltanto i popoli che possiedono una profondità
antropologica (archeologia dell’anima vera), una profondità etnica, possono
esprimere. Tra questi c’è la cultura dei Maya che si confronta con il mondo
azteco.
Siamo
nel Guatemala, popolo di sciamani e di curandere, nella zona del Messico,
vicino alle sfumature caraibiche, in quel mondo del Centro America che si
spinge verso il Sud America, il perimetro caraibico che ha una profondità che è
la profondità della cultura spagnola.
“La
storia dei maya è di monito, affinché non si creda che soltanto le società
piccole, marginali e situate in zone fragili siano esposte al rischio di
crollo: anche le civiltà più avanzate e creative possono sparire”. Così disse
il biologo e antropologo Jared Diamond
Non
è la cultura americana in sé. È la cultura spagnola. La lingua del
Guatemala è spagnola e la Spagna ha questi colori che sono il vissuto di un
ancestrale significante umano in cui il territorio dell’anima è metafisica.
Perchè
ha questi colori? I colori del Guatemala, i colori del Messico, che provengono
da una demologia, e quindi anche a un linguaggio che è quello spagnolo,
sembrano portare con sé i colori che noi avvertiamo, viviamo, se dovessimo
assistere, o se assistiamo, o abbiamo assistito, alla scenografia di una
corrida.
Pensate
al torero, al toreador. Quali colori porta questo personaggio così emblematico
tanto caro a Ernest Hemingway? Porta tutte le sfumature che sono i colori della
luce (del sole e dell’alba) e i colori della sera, ovvero i colori del
crepuscolo, del meriggio, del tramonto, fino ad arrivare a quei colori che
annunciano la notte. È come se dicessimo, con Garcia Lorca, alle cinque
della sera si divide in fondo il paesaggio del giorno.
Dividere
il paesaggio del giorno attraverso la fioritura delle ombre significa dare una
forma visibile di un intreccio delle sfumature stesse, perché si gioca intorno
alle sfumature. Il mio viaggio - viaggiare è rappresentato dalla
metafisica delle ombre e si pone di fronte non a una divisione di colori –
ombre, ma ad un intrecciare di ombre - colori. Tra le ombre e i colori parlano
i tarocchi.
Ecco
perché ho citato la cultura dei Maya. Perché la cultura dei Maya si identifica
proprio nella semplificazione della fioritura delle sfumature e sono lampanti,
“colori ombre fuoco” quando questa coloritura riprende alcuni tratti di alcune
stagioni della tradizione andalusa. Mistero e magia sono un incontro.
Sono
tratti più leggeri quando risiede la ricerca del colore nel luogo. Si pensi che
i due colori fondamentali del Guatemala sono il bianco e il celeste, celeste
che ha diverse sfumature, ma c’è il bianco. Cosa ne deriva fondendo insieme il
bianco e il celeste? Fendere il sole, quindi il colore del sole,
nelle sfumature del passare delle ore nelle giornate - tempo.
Tutto
questo sembra offrire non soltanto un’interpretazione etno – letteraria -
paesaggistica in sé, ma offre un’interpretazione antropologica, anzi direi
etnoantropologica, e quando queste ombre - colori insistono, la scrittura
è una scrittura che porta dentro una nuova ricerca, tutta la sua identità
mediterranea che è una identità profonda, una identità che proviene da
testimonianze molto antiche e sono testimonianze del territorio - anima che
sembra invisibile e percepibile, ma diventa visibile nel cuore e percepibile
nello sguardo. è quello della Calabria. Una civiltà che visse gli orizzonti
disegnandoli nell’anima.
C’è
un’altra considerazione in questo legame antropologico ed è dato dalla
percezione che si ha nel guardare il sorgere dell’alba e nel perdere l’alba
nella sera. Una metafora? Certo, è una metafora. Questo insieme di sfumature
non è altro che una danza, un canto, una musica.
Accanto
alla cultura maya, quindi a questa civiltà del tessuto e del terreno, insiste
anche il dono peruviano, andino, della cultura degli sciamani e sembra che
tutto questo colore abbia come forza un grido, un urlo, che non è l’urlo
disperato in sé di Munch, ma è il “grido riposato”, è il grido rivelante della
pazienza. Popolo di profezie. Popolo di profeti in cammino nella proprio
stanzialità.
Questi popoli, queste civiltà, sono rimasti
molto fedeli a un dato concreto che è l’identità di un primitivo incipit dei
paesaggi e della terra - anima. La vera identità è un dato importante e
significante nelle antropologie di questi popoli che hanno vissuto e sanno
vivere la grandezza di una metafisica che è il sapere dell’anima. Il popolo che
lesse la terra nelle ombre del cielo e che catturò il cielo nelle orme della
terra. Un popolo che raccolse i granelli dei giorni per custodirli come
memoria. Poi come mistero. Dopo come magia.