O’ tiempo de ‘na vote
Taranto
10 dicembre 2017
Michele
Santoro - Taranto
Con il passare
del tempo sono sempre di meno le pubblicazioni di testi in forma dialettale,
presentate in molte zone della penisola. In questo articolo saranno analizzate
le opere del prof. Luigi Vellucci, tarantino, che ha iniziato, con gran
successo, la pubblicazione , a partire dal 1990, restando ligio a quella lingua
madre che egli aveva appreso giocando nei vicoli del borgo. Ad una creazione
inizialmente in vernacolo, che è un voler scandagliare nella sfera dei ricordi,
si sono succedute opere di narrativae di poesie, in lingua italiana. “
’A scogliera d’ore”, “Tarde…A piccenna meje”, “Fantasia Tarantina”,
“Natale de ‘na vote”, “Il braciere”, “Settimana d’amore (U trucculande)”,
“Eleonora” e “Sulle ali del cuore”, “Io FedericoII”.
L’autore è
sempre alla ricerca della parola giusta e ad effetto, che riesce a trovare,
facilmente, da una lingua parlata, quella tarantina, non ricca di molti
vocaboli, e collocare, al punto esatto, con facilità ed efficacia. E’
necessario ringraziare, più volte, gli studiosi dell’idioma per l’opera di
ricerca, meritoria, che essi svolgono e per il messaggio che, alcuni di loro,
portano nelle scuole.
Per scrivere in
dialetto occorrerebbe pensare nello stesso modo e soprattutto avere una
grammatica. La generazione degli anni quaranta, forse è quella che può ancora
esprimersi nella lingua paterna. Dopo, i ricordi non prendono più forma e sono
come la sabbia che, stretta tra le mani, sfugge. Non è un caso che i tempi “de
‘na vota” siano quelli sui quali si sofferma e scava, in profondità, il poeta e
scrittore Vellucci per riportare alla luce sentimenti religiosi e popolari
legati alle tradizioni e per descrivere i vari personaggi tipici della città.
Capita leggendo i libri di sentire il profumo delle pettole, di vedere le
carteddate e le “sannacchiudere” ben appoggiate sopra “o cascione” nella casa
della nonna. Passeggiando per le strade s’incontra Marche Polle “ca
camine chiane chiane trascenanne le cepòdde. Uè ‘na bbuste? Addummanne a tutte
quante”; Don Cataldine “tazze e buttiglie”, Ciccio Cauro, Finanicchio
ed altri personaggi che la fantasia dell’autore ha creato; per le strade si
ascoltano quei suoni gutturali dei tanti venditori che si aggirano per la città
proponendo la propria mercanzia. Quei suoni sono quelli de “na vote”,
quelli dei ricordi, che ritornano come per incanto. Le vie si animano al passaggio
delle carrozze, i taxi di tanto tempo fa, e lungo queste strade acciottolate i
bambini imparano e si divertono con i giochi appresi dai loro genitori:”Manuè
zzozzò”, ‘A livoria”, “’U spezzidde”, ‘U turnijdde”, ‘U currucolo”, ‘U
zippere”, “’U palme”, “le Cinque petre”.
La strada è la
casa di tutti e lì si materializzano anche le voci di mestieranti: ”il
carbonaio”, “l’impagliaseggie”, “lo stagnino”, “il cestaio”, “L’aggiustapiatti
e recipienti di terracotta”, “’O mola forbici”, ”’o Mbrellaro”. Dalle tante
porte lasciate tutte aperte si odono le voci delle donne che, cucendo o
ricamando, parlano con la “comare” della porta accanto. Dalle case escono
quegli odori di una cucina povera ma ricca di aromi particolari che stuzzicano
l’appetito.
Come fare a
descrivere tutto questo alla nuova generazione che vive in un altro mondo fatto
di smartphone, Pc, o di notte nei pub o discoteche, sorseggiando un drink?
- Come fare
per riproporre quelle sensazioni che i ricordi infantili tendono ad
enfatizzare ancora più?
- Come fare
per raccontare il silenzio di una città che poco per volta si sveglia al
rumore degli zoccoli dei cavalli o al canto del gallo e che si anima con
le modulazioni dei venditori ambulanti?
- Come fare a
descrivere il dolce suono di una serenata e di un canto che un innamorato
faceva sotto la finestra della donna che amava.
Questo è “‘o
tiempo de ‘na vote” che deve essere esposto nella sua semplicità, al pari
di come si racconta una favola, poiché di una favola si tratta!
La storia di una generazione che sta scomparendo stritolata dall’avanzare di
una tecnologia che consegna alle future generazioni, un mondo nuovo, in cui le
favole non possono esistere più.
Chi ha la
capacità ed il dono di scrivere e raccontare storie, tradizioni, poesie in
dialetto deve farlo poiché sarà, il suo, un testamento ed un atto d’amore verso
i nuovi cittadini.
Con l’allargamento dell’Europa e con la necessità di dover parlare un
linguaggio comune, si corre il rischio di far scomparire, nel tempo, tante
lingue, così com’è avvenuto con i dialetti. Per questo motivo, ogni nazione, in
sede del parlamento europeo, almeno in parte, dovrebbe esprimersi, negli atti
ufficiali, nella propria lingua ed in quella universalmente scelta, l’inglese.
La storia, che è
anche fatta di tanti linguaggi, non può essere cambiata con un colpo di
spugna.
Art.
Michele Santoro
l'impagliasedie