Quando
Giovanni Paolo II giunse in Calabria nel 1985 pronunciò un lungimirante
discorso sui Santi della Calabria ed ebbe a dire: “Voglio sperare, che voi non
mancherete di rileggere la storia religiosa della vostra Regione, che ha
accolto il messaggio cristiano fin dal primo secolo, alla luce splendente dei
Santi calabresi che hanno forgiato generazioni di cristiani secondo lo spirito
del Vangelo e della Croce di Gesù Cristo. Come non rievocare alcune figure
emblematiche che ebbi occasione di venerare nel corso della mia visita: S. Nilo
e S. Bartolomeo, illustri rappresentanti del Monachesimo Cenobitico; S. Bruno,
che diede impulso in Calabria al Monachesimo Certosino, fondando quella
splendida Certosa, che ancora porto davanti al mio sguardo; S. Francesco di
Paola, il Santo dell’umiltà e della carità, sempre vicino al cuore della gente!
Gli alti esempi di questi Santi luminosi e sempre attuali devono costituire uno
stimolo costante per quella animazione cristiana e sociale della Calabria, oggi
non meno dei tempi passati, bisognosa di uomini e donne che sappiano
testimoniare con coraggio l’impegno per una rinascita spirituale. Ma, i Santi
calabresi, soprattutto San Francesco di Paola, non hanno disatteso l’impegno
sociale, anzi non hanno lasciato occasione per porsi a servizio e a sollievo
dei poveri, dei deboli, dei malati. Oggi il problema sociale, che tocca la Calabria, va sotto il nome più vasto di “questione meridionale”. Si tratta dei problemi
riguardanti le differenti condizioni di vita delle popolazioni meridionali e
quelle più specificamente calabresi, gli aspetti relativi alla vita morale e
religiosa, ed alla coerenza nei comportamenti privati e pubblici, le
preoccupazioni sociali relative alla disoccupazione, specialmente quella
giovanile e intellettuale, ed il problema di fondo di un più vasto ed omogeneo
sviluppo economico, che riguarda non solo la Calabria ma tutte le Regioni del Mezzogiorno d’Italia”. Era l’1 giugno del 1985). Un grande
Papa che lesse nella cristianità popolare l’identità di un popolo.
Nella
cristianità dei Santi calabresi l’incontro con il monachesimo ha segnato sempre
un percorso contemplativo, in cui il valore della pietà ha assunto una visione,
quasi penitenziale, all’interno di una geografia che ha visto confrontarsi
l’Occidente con l’Oriente. (Nel mio libro di prossima uscita, “Antropologia
religiosa e metafisica delle culture”, Mibact, affronterò anche questi elementi
spirituali di una presenza forte nella cultura popolare).
San Francesco di Paola, in pieno passaggio epocale tra l’Umanesimo e il
Rinascimento, non è stato soltanto il santo della “Charitas”. La sua presenza,
come ascoltatore della cultura dei “minimi tra i minimi”, ha sostenuto il
carisma del mistero in una storia in cui la cristianità ha dovuto, spesse
volte, interpretare il mondo musulmano e lottare per la tolleranza e la
persuasione.
In
Francesco il concetto di persuasione si lega, chiaramente, a quella di carità e
in Calabria, che è la stretta geografica e umana tra Occidente ed Oriente, la
persuasione è anche l’incontro costante con la tolleranza tra le genti.
A
questa famiglia di umili, di caritatevoli, di perseveranti, oltre la
persuasione della religiosità dei valori, appartiene San Nicola di Longobardi.
Ma la Calabria è anche la Città del Sole, ovvero è l’eresia che comprende il
destino della teologia. Lo stesso San Francesco nella obbedienza, mai venuta
meno, (ubbidire è capire, non ubbidire non comprendendo si corre il rischio di
toccare la via della perdizione), ha dato senso non alla ragione dell’eresia,
ma alla eresia come utopia.
D’altronde
la cristianità è consapevole dell’utopia, ma soltanto l’utopia farà camminare
il cristiano lungo la Croce per condurlo lungo l’attrazione verso la Redenzione. Il concetto di “minimo”, non solo tra i “minimi” ma anche tra gli “umili”, è una
declamazione dell’esistere dell’anima come antropologia della religione che
resta nella sfera della teologia, ma si identifica sempre nel cammino di una
carità diffusa attraverso l’umiltà compresa.
Perché nella cristianità calabrese la santità è vissuta come personificazione
interlocutoria tra le culture che hanno reso il popolo calabrese “accettante”?
Perché è proprio nella cristianità il dono dell’accoglienza, ma l’accoglienza è
realmente una metafisica dell’anima.
Gioachino
da Fiore, sia come teologo sia come camminatore nel mistero, non smette di
incrociare l’eredità di un Oriente mistico con un Occidente carismatico. Nella
sua religiosità l’antropologia dell’anima è sostanza oltre la ragione ed è
quindi sostanza d’anima pur accettando, ecco dunque l’accoglienza, una griglia
simbolica che proviene da un mondo sacro di un Oriente meta-esoterico.
Lo
stesso Campanella è un migrante per eresia nei confronti dell’Occidente perché
il Sole è una metafora della Luce graziante che diventa una metafisica della
Grazia accogliente. Il culto mariano, in Calabria, resta fondamentale ed è il
culto che ha la sua voce parlante nella Madonna del Rosario di Pompei.
San
Nicola di Longobardi è un “mariano”, come lo sono i “minimi” che vivono il
modello della evangelizzazione tra la virtù e la cerca della perfezione nella
ottemperanza dell’umiltà.
La Calabria al tempo di San Francesco di Paola è Regno di Napoli. Ma anche nel
tempo di Bernardino Telesio la ragione della sostanza è sostanza non in divenire,
ma sostanza metafisica. Non c’è Ragione nel mistero del mistico. C’è la
fragilità della Ragione che si custodisce come elevazione nella contemplazione
e nella provvidenza che è fatta dalla speranza.
Non avrebbe senso, nella cristianità di Francesco e di San Nicola, l’orizzonte
del concetto gioachimita di “spirito profetico dotato”. La santità dei Santi
calabresi si incontra con la teologia di Gioacchino da Fiore, di Bernardino
Telesio, di Tommaso Campanella, di San Nilo e del misterioso cammino del silenzio
di Serra San Bruno, ovvero di una fede carismatica bruniana che “spigola” anche
con il nolano Giordano Bruno.
La Calabria ha la sua eredità orientale. Il mondo ortodosso è ben presente al
punto tale che la Chiesa cattolica dialoga costantemente con le Eparchie.
Francesco non scaccia i musulmani. Li ferma. San Nicola, orante ai piedi della
Madonna di Loreto, si rende interprete di una cristianità. D’altronde i
conventi dei Minimi sono l’anima della terra nella continuità tra l’Oriente e
l’Occidente.
La Calabria
non può astenersi dal linguaggio di San Francesco. Accanto alla Carità e
all’Umiltà si pone la Fortezza.
San
Nicola ha compreso subito questa mirabile spiritualità ed ha decodificato il
concetto di anima stessa in Spirito nell’essenza della sua comunità. Ecco il
senso che, in fondo, si offre alle orazioni, ovvero ecco come le orazioni
diventano pellegrinaggio di preghiera nella parola orante.
Diventa
molto complesso e affascinante il processo del dialogare tra teologia e
mistero, perché la Calabria propone come voce religiosa in Cristo la teologia.
Gioacchino da Fiore è dentro questo cammino. Campanella per sfuggire alla
teologia diventa errante, pur nella ubbidienza della fede.
Francesco
legge, e lo fa con le Regole, il “giardino” di Gioacchino, ma interviene con le
azioni e con la presenza e comprende che il mistero, affinché possa essere
fede, ha bisogno del mistico.
Essere
“Taumaturgo” ed/o essere considerato tale significa aver assorbito una teologia
dell’Essere, ma ciò lo rende un interlocutore tra la Chiesa e il vivere la Trinità nel mistero del cammino che lo conduce tra il mare e le terre.
San
Nicola interpreta questa visione e la traduce nella Grazia beatificante in un
raggio di luce tra l’estasi e il sublime. Ma la santità può raccogliersi
nell’estasi e nel sublime?
Quando la penitenza chiama e la persuasione è provvidenza la voce è un
camminare nella spiritualità. Ma camminare nella spiritualità è rendersi degno
dell’umiltà ed è così che ebbe a dire: “Signore mio, Gesù mio, non ero degno
che la Maestà vostra venisse a me vilissima creatura, e però giacché vi siete
degnato di dispensarmi questa grazia fatemi degno del vostro santo amore”.
L’umiltà
è potente, l’umiltà guida, l’umiltà disegna le vie, l’umiltà certifica la
carità, l’umiltà è un camminare di senso. Ma l’umiltà resta al centro del dono
della contemplazione. La contemplazione di vissuto è il donarsi nel sempre.
Perché in questo donarsi si ramifica la ricerca della perfezione.
Il
cristiano per vivere la santità deve lasciarsi assorbire completamente
dall’accettazione e allontanarsi da ogni gesto che non sia la accoglienza
mistica del perdono. Così il monachesimo è la pazienza espressa nello sguardo
che ha il silenzio gaudioso. Così il monachesimo è la speranza legata alla
volontà caritatevole della provvidenza.
Francesco di Paola è la provvidenza nell’osservanza.
San
Nicola è l’osservanza nella provvidenza.
Questo
incontro di santità nella Calabria degli intrecci delle cristianità, nella
latinità e nella ortodossia, è la Calabria che ha dialogato con gli Orienti di
un sacro immenso che è nella vita dei popoli.
Una
Calabria dei Santi, che nel mistero del mistico viaggiatore ha attraversato il
linguaggio della teologia, ha legato la religione alla filosofia, ma ha saputo
interpretare il mistico passaggio di Paolo tra le terre dell’anima. Qui si
ritrovano l’esperienza mistica, che è il cammino mistero, e l’obbedienza.
San
Nicola di Longobardi è la voce che recita la provvidenza nel Cristo Redente.
Ovvero un Cammino nella Provvidenza.
Comunque la Calabria ha un lungo elenco di Santi che qui voglio riassumere proprio per una lettura
antropologica di una terra il cui principio portante è la devozione: S. Agatone
Beato Angelo da Acri, S. Antonio di Gerace,S. Antero, S. Arsenio, S. Bartolomeo
da Rossano, S. Bartolomeo da Simeri, S.Bruno, fondò la famosa Certosa, S.
Cipriano di Reggio,S. Ciriaco di Buonvicino, S. Cirillo, S. Cocofante di
Scilla, S. Daniele da Belvedere, S. Dionisio, S. Domenica da Tropea, S. Elena
da Belforte, S. Elia lo Speleota, S. Eusebio
S. Felice da Scilla,San Fantino di Taureana San Fantino “il Giovane” da
Melicuccà, SS. Fanzio e Deudata da Tauriano S. Francesco da Paola, S. Gerasimo,
S. Giorgio da Vallettuccio, S. Gregorio da Cassano, S. Giovanni Teresti, Beata
Madre Isabella De Rosis da Rossano, S. Jeiunio, S. Leo di Africo, S. Leone II,
S. Luca Vescovo di Bova, S. Luca da Messina, S. Luca da Melicuccà, S. Nicodemo,
S. Nilo da Rossano, S. Onofrio, S. Pietro Spina, S. Proclo da Bisignano, S.
Simone, S. Stefano III, Beato Stefano da Rossano, Teodora da Rossano, S.
Telesforo, S. Ugolino da Cerisano, S. Umile da Bisignano, S. Veneranda, S.
Zaccaria da Rossano, S. Zosimo.
L’elenco
potrebbe ancora continuare. Devozione e fede tra il viaggio di Gioachino da
Fiore, Tommaso Campanella e la centralità metafisica di Bernardino Telesio. Uno
scavare nella civiltà di una terra e della preghiera tra i luoghi e la
geografia dell’anima.
Pierfranco Bruni e Padre Salvatore Discepolo
- Scrittore, archeologo e Responsabile Progetto Etnie del
Mibact