Luigi Pirandello è lo scrittore dei simboli e degli
archetipi oltre ad essere il drammaturgo delle visioni sciamaniche e
alchemiche. Magia e sciamanesimo vivono dentro il suo linguaggio, la sua
parole, il suo immaginario e i personaggi che sono la vita dei simboli.
Si pensi a “La giara”. È una novella che è stata trasformata in commedia.
Un punto di riferimento della simbologia mediterranea e adriatica.
È
stata messa in scena nel 1917 (dalla novella alla commedia), ma la messa in
scena a teatro ha una sua chiave di lettura che pone in essere un filo che lega
la rappresentazione simbolica con la rappresentazione di un immaginario lirico.
Infatti nasce da una novella scritta nel 1906 e pubblicata, per la prima volta
sul “Corriere della Sera” e successivamente la si trova in “Novelle per un
anno”. L’adattamento teatrale in un atto unico viene messo in scena il 9
luglio del 1917 al Teatro Nazionale di Roma. La Compagnia che la mette in scena
è quella di Angelo Musco. Una nuova versione risale al 1925 ma è in lingua
italiana. Di questo lavoro si interessò anche il cinema. Infatti nel 1954
in un film dal titolo “Questa è la vita” Giorgio Pàstina ne trae un importante
episodio. Così, appunto, come nel film dei fratelli Taviani, “Kaos” del 1984,
vi è un episodio di straordinario impatto etno-antropologico e lirico.
Ma c’è di
più. Giorgio de Chirico nel 1924 costruisce costumi e scenografie per un
balletto messo in scena a Parigi per conto dei Ballets suédois e nel 1982
Abdellah Mohia, drammaturgo berbero ne fa un adattamento importante dal titolo
“Tacbaylit” in un adattamento cabilo. Si tratta di una grande opera
pirandelliana nella quale si rintracciano le articolazioni delle culture arabe,
islamiche e balcaniche.
Nella rappresentazione teatrale sembra prendere il
sopravvento il legame realtà - storia, ma non è così perché i simboli giocano
una partita importante, necessaria, per cercare di capire e comprendere un
Pirandello calato in una luce demoetnoantropologica, nella misura in cui il
distacco semantico diventa anche sinergia con la geografia, con la terra, con
il suo paese, con la sua realtà.
Nella “Giara”
c’è una visione prettamente simbolica, mitico simbolica, archetipale. Quando
l’aggiustatore “magico”, perché sarebbe da definirlo tale, si infila dentro la
giara, per “catturare” quel frammento di rottura della giara, e poi non riesce
a uscir fuori perché si rende conto che la bocca della giara ha una rotondità
che non permette ad un corpo umano di uscir fuori, lì, si consuma un dato
prettamente antropologico. È come se la giara non riuscisse a partorire… I
simboli sono singolari.
Ritorna
la luna che ha bisogno di essere vista e ascoltata, che ha bisogno di un
colloquiare con i personaggi della giara. C’è un dettaglio importantissimo che
è la danza intorno alla giara. I due attori principali del film dei fratelli
Taviani sono Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Hanno espresso
un’interpretazione sublime.
Quando si
fa girare la giara, e il personaggio dentro la giara dice “…Girate fino a
quando io non vedo negli occhi la luna…”, si vive una dimensione onirica. Ha
l’espressione del mito lo sguardo di questo personaggio di fronte alla luna che
dice “… Quant’è bella questa luna, mi sembra un secolo che non la vedo…”.
È come se si vivesse
una partecipazione alchemico - sciamanica (ritorna l’elemento sciamanico, in
Pirandello, e alchemico).
Tale
rapporto è un rapporto mediterraneo, uno scavo all’interno di quei processi
antropologici non soltanto culturali ma mitico – simbolici, in cui l’immagine
della luna diventa mito accompagnato dal canto siciliano, che rimanda alla
cultura araba, a quella cultura mediterranea orientale.
Intorno
alla giara, intorno alla figura del personaggio che è dentro la giara, si vive
un’interpretazione che è l’interpretazione dell’alchimia del suono,
dell’alchimia della danza e dell’alchimia del rapporto con la luna. Vi è poi la
danza ruotante intorno alla giara, la quale rimanda a una dimensione arabo
- alchemica. Anche le
movenze, i gesti dei personaggi, non sono altro che il “passo” in cui la
Sicilia , quella Sicilia, si lega con il mondo prettamente mediterraneo, arabo.
La
rappresentazione scenica della giara è un’interpretazione fortemente araba. La
danza è un ballo tondo, contaminato intorno alla giara. Diventa un canto
sibillino che ci rimanda a quella dimensione fortemente onirica. Il sogno
interagisce con la cultura popolare.
Qual è la cultura popolare di
Pirandello?
Non è una
cultura razionalista, ma è una cultura della tradizione legata al territorio,
legata alla geografia della Sicilia. Quella Sicilia che ha il canto, il suono
mitico e simbolico del legame tra Oriente e occidente. Pirandello è (anche)
questo.
Pirandello
è sì il grande protagonista dell’enigmaticità dei personaggi, dell’enigmaticità
della mancanza di una identità del Il fu Mattia Pascal, che diventa
centrale come profilo nel ‘900, ma è anche il recupero di una identità
mediterranea, il recupero di un’identità in cui i simboli sono rappresentativi
di una letteratura che non ha pari nella cultura occidentale.
Pirandello,
nato in pieno Occidente siciliano e calamitato da questa cul-tura orientale,
recupera queste forme simboliche alchemiche e archetipali. Il vissuto della
religiosità non è un vissuto della religiosità in cui c’è la profondità
religiosa cristiana, ma c’è la religiosità antropologica dei popoli iniziatici,
di quei popoli che si iniziano alle culture preomerici.
C’è una scena simbolico - sacrale da non trascurare,
sempre vista nel film dei Taviani. Il personaggio che incolla il frammento di
questa giara innalza al cielo una piccola giara che è il simbolo sacrale,
appunto, di una rivelazione al
Dio, al cielo. Il
richiamo sufico è evidente.
Pirandello
vive l’inquieto sempre, ma si serve di alcune forme esistenziali e letterarie
che richiamano un mondo in cui il mito non è soltanto quello greco, ma i
richiami e gli echi di una alchimia della cultura sciamanica sono pregni di
significato. La danza intorno alla giara e sotto la luna è una danza
propriamente sciamanica con richiami profondamente orientali. Una danza
stregata dalla luna e dal canto arabo. La magia è la caratteristica che occorre
recuperare in tutta l’opera di Pirandello. Il Pirandello studiato sinora dalla
critica non è il vero Pirandello. Bisogna andare oltre e scavare nei talismani
della parola e in un profondo pozzo che è quello della memoria dell’onirico e
della stregoneria.