La scorsa settimana si è insediato presso la Regione il Gruppo
di lavoro per la predisposizione del piano di interventi per la CittĂ vecchia,
sulla base dei progetti scaturiti dal concorso internazionale “Open Taranto”.Â
Il Comune, per il
tramite dell’assessore ai Lavori Pubblici, Di Paola, ha fatto sapere che
addirittura già l’11 ottobre farà pervenire al tavolo la bozza di proposte
scelte fra i tre progetti vincitori ed i due oggetto di menzione. In sostanza
accade che ancora una volta la cittĂ risulti espulsa da ogni partecipazione al
processo decisionale in un ambito di enorme importanza per il suo futuro.
Perché qui non si parla di banali interventi edilizi, o del rifacimento di una
strada, ma della visione che guiderĂ il cambiamento della parte di cittĂ in cui
risiede la nostra storia e da cui può e deve partire la sua rinascita.Â
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con la scorsa amministrazione si era delegata l’intera progettazione al
Governo, attraverso il suo braccio operativo Invitalia, ora anche quella nuova
rinuncia a farne un percorso che, prima ancora di essere urbanistico, è sociale
e culturale. Non si tratta di un principio da derogare o, nella migliore delle
ipotesi da sopportare, ma quello di naturale condivisione che dovrebbe ispirare
sempre la pubblica amministrazione.Â
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Il problema però è anche
di sostanza poiché, per quanto il patrimonio progettuale del concorso sia di
grande respiro e valore internazionale in una cittĂ assolutamente bisognosa di
“sprovincializzarsi”, vi sono idee che spaventano per il loro orientamento alla
cementificazione, gentrificazione e modernizzazione dell’Isola. Il cui valore e
precipuitĂ risiedono proprio nella sua memoria. Addirittura nel progetto primo
classificato si registra l’abbattimento di intere porzioni della marina che
andrebbero a rafforzare il convincimento, duro a morire, che il “vecchio” debba
lasciare spazio al nuovo, piuttosto che essere recuperato, finché possibile,
quale partrimonio identitario della comunità . L’isola subì già quest’oltraggio
in epoca fascista, allorquando fu raso al suolo l’intero pittaggio di
Turripenne per lasciare spazio ai palazzoni che oggi insistono sulla Scesa
Vasto. E corse un nuovo rischio alla fine degli anni ’60, quando la demolizione
di palazzo Bellando-Randone, lato Mar grande, diede vita ad una mobilitazione
intellettuale senza precedenti che evitò di fatto l’avanzamento prepotente
delle ruspe. Il risanamento è recupero, non oggetto per nuove speculazioni e la
Città Vecchia dev’essere laboratorio per nuove forme di urbanistica in senso
partecipativo e non l’ennesima imposizione senza visione. Risiedono in questa
formula le ragioni di un successo, come nelle scelte calate dall’alto quelle
delle cause perse.
Premiazione progetti "Open Taranto"
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