La letteratura della coerenza non
piace. Non è amata. Non fa cassetta. Servono gli “scoiattoli”, come diceva
Cesare Pavese riferendosi a un certo Italo Calvino o della leggerezza.
Brasillach mai scoiattolo ma sempre aquila. Il viaggio tra i luoghi – pensieri
– labirinti di Celine, di Mishima, di Brasillach, La Rochelle e poi Eliade,
Horia Cioran, Berto infastidisce.
Ma
perché è stato ucciso un poeta? Un grande poeta. Unico. Robert Brasillach
(Perpignan, 31 marzo 1909 - Forte di Montrouge, 6 febbraio 1945) ha una voce
che si fa inquietudine e armonia. Si fa rapimento esistenziale e superamento di
qualsiasi disperazione. Poetica dell'attesa della rivelazione pur fortemente
consapevole dell'innocenza in un destino che accomuna sacrificio e fede. Un
poeta fortemente cristiano che recitava:
"… O Signore, noi che
siamo stati rinchiusi dietro queste porte,
E che siamo stati sbarrati con mille catenacci,
Noi per i quali i soldati di questa fortezza
Fanno risuonare i loro passi nel chiuso dei corridoi,
O Signore, Voi sapete che
sdraiati sulla paglia
O sul duro cemento delle prigioni senza finestre
Abbiamo saputo trovare in noi stessi, sia quel che sia,
La speranza incrollabile dei tempi migliori.
Abbiamo ricordato gli
antichi affetti
Abbiamo disegnato sul gesso dei muri
Le affascinanti immagini della nostra santa giovinezza
E i nostri Cuori senza rimorsi sanno che resteranno puri.
Fuori la stoltezza si
bagna di rosso sangue,
E il nemico già si crede immortale
Ma egli solo spera nel lungo avvenire del suo potere.
E le sbarre, O Signore, non riescono a nasconderci il cielo."
Una poesia che si raccoglie in una
parola che sembra dettata come preghiera e si canta come se fosse una recita di
rosario. Si tratta di una poetica, quella di Brasillach, che ha due punti di
riferimento letterari ma anche due espressioni ontologiche.
Nel 1990 nella mia monografia -
saggio dedicata a Brasillach (dal titolo“La voce e i destini”, Demetra)
e nei numerosissimi saggi su “Letteratura e Fascismo”, cercai di sottolineare
l'importanza del poeta e dello scrittore attraverso l'armonia della fede e
della grazia anche attraverso i suoi scritti di saggistica, tra i quali il
saggio importantissimo su Corneille, che traccia un profilo di una letteratura
altamente europea.
Poesia della tensione ma anche della
distinzione. Poesia del conforto ma anche della fede. E' un cantico non
dell'esperienza ma un poema unico battuto sulla corda di una religiosità
quotidiana.
Dopo i romanzi e dopo la costruzione
di alcuni straordinari e riusciti personaggi che raccontano avventure (da René
e Florence a Fabrizio e Caterina dalle voci del tempo al gioco dei colori, da
Giovanna D'Arco a Virgilio), dopo il dramma e il destino (che ha coinvolto
Brasillach stesso in un comune destino con i suoi stessi personaggi) di quella
stagione in cui la giovinezza era saper correre senza timore nella vita e nei
sogni e in cui la giovinezza non era soltanto "una primavera di
bellezza" ma l'ancoraggio ad un tempo che supera la storia e si fa appunto
avventura e destino la poesia, come parola in versi e come poetica dell'essere
o come poesia-vita, è riconquista del cuore dell'uomo.
Tutto
ci parla e sul piano letterario affiora il poeta che sa del destino della
poesia, che sa del destino del linguaggio che raggiunge le epoche nascoste e sa
catturare i segreti. Appunto nelle ultime pagine poetiche Brasillach affida
tutto alla parola. La parola stessa "scavata" nel cuore e nell'animo
diventa la sola compagna del suo destino. E' una poetica della distinzione
perché in essa la parola non è soltanto uno strumento di comunicazione ma è
soprattutto l'anima di un pensare che oltre la cronaca, oltre la tragedia,
oltre la morte la rivelazione esiste. E la poesia si fa segno premonitore,
gesto risolutore, superamento della realtà.
Al di là c'è sempre qualcosa che va
oltre. E la poesia per Brasillach disegna la poetica non solo dell'attesa e
siglando la voce del destino prepara non l'angoscia del domani ma la serenità
del dopo. Brasillach non soffre con i suoi fantasmi: dai morti di febbraio al
canto di Andrea Chènier, dai personaggi del Vangelo ad egli stesso personaggio.
Ma è come se giocasse senza ritualità, senza nascondersi ma raccontandosi come
avviene nei passaggi di Spoon River di Lee Masters.
Proprio per questo è piuttosto una
poesia della riconciliazione che sembra sottoscrivere un testamento sia
esistenziale che spirituale. Un testamento di fede. Si pensi ai versi di
"Getsemani". La metafora del tradimento inquieta Brasillach. Ma ciò
che trionfa è la figura di Lazzaro: "Tutto è possibile quando Voi volete,
Signore./Il catenaccio viene tirato sulla soglia della prigione,/Il fucile
s'abbassa davanti al bersaglio,/I morti già pianti escono dal sepolcro".
Brasillach sa guardare la morte in
faccia e senza timore ci lascia la sua "accettazione". Ecco, tra
l'altro, è una poesia dell'accettazione. Mai della disperazione. E il
linguaggio dei suoi versi è sofferto sul piano espressivo perché ondeggia tra
la recita e il diario. Versi raccolti come un diario. O un diario raccontato in
versi. Ma la poesia è una lunga tensione tra la vita e l'attesa e riesce ad
assorbire la straordinaria manifestazione di un incontro, che non è mai
cortocircuito. L'attesa-speranza di Brasillach.
Sempre nel gioco infinito (e
indissolubile) del tempo-memoria. Un tempo che non cancella i ricordi nel
quotidiano ma i ricordi stessi si fanno metafora del sempre in quella
metafisica del tempo che è rivelazione di una comunione che solo la poesia può
partecipare e rendere vivibile. Tasselli di un mosaico che colorano il
presente. Ma esiste il presente della poesia?
Esiste, invece, il viandante della
poesia che approda non solo ai porti ungarettiani ma che riesce anche ad
ancorarsi nel mare d'altura perché ciò è sublime, in tutto questo, non è la
meditazione dell'atto poetico o la poesia stessa, bensì la contemplazione. Il
poeta vive di dettagli, anzi la poesia è un dettaglio tra i ritagli di un
incontro e tra lo sguardo della poesia e l'anima del poeta.
Nostalgia e riconciliazione sono,
dunque, un ritornare al tempo primordiale dopo aver camminato tra le pareti di
un labirinto. Nostalgia – tempo. Riconcialiazione – speranza. Ma non esiste una
cultura inclusiva. O una cultura condivisa. Omologazione significherebbe. Ed io
non condivido, non includo, non mi omologo.
Ci lascia questo pensiero:
“A
trentacinque anni, prigioniero come Villon, incatenato come Cervantes,
condannato come Andrea Chenier, prima dell'ora dei condannati, come altri in
altri tempi, su questi fogli scarabocchiati inizio il mio testamento. Per
sentenza, dei miei beni terreni mi si vuol togliere il possesso. È facile, non
ho terre ne tesori e i miei libri, le mie visioni possono essere dispersi al
vento: amore e coraggio non sono soggetti a processo. Per prima cosa lascio
l'anima mia a Dio suo creatore, né santa né pura, lo so, soltanto l'anima di un
peccatore. Possano i Santi francesi, quelli della fiducia, dire egli non arrivò
mai a peccare contro la speranza. Cosa donare alla mia patria se ella stessa mi
ha scacciato? Ho creduto d'averla servita e l'amo sempre, anche oggi. Essa mi
ha dato il mio paese, e la lingua che è stata mia. Io non posso che lasciarle
qui il mio corpo, in terra sconsacrata”.
Brasillach resta la punta di diamante
del Novecento poetico europeo. Un poeta nella coerenza, ucciso per essere stato
coerente.