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Nuovi studi confermano la nobiltà del casato calabrese dei Gaudinieri Bruni tra il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e i Buddenbrook di Mann
mercoledì 13 settembre 2017

di Micol Bruni *




La storia è tale soltanto se si ha la capacità critica della costante rivisitazione. Soprattutto nelle storie “patrie” il localismo andrebbe costantemente rivisitato e aggiornato. Siamo in una fase di civiltà in cui la verità deve dialogare con le fondi della certezza della storia attraverso i documenti.

Dal 1945 in poi si è fatto un uso strumentale della storia perché si è costruita attraverso l’ideologia e non usando la metodologia rigorosa dei fatti accertati. Il passaggio dalla aristocrazia – nobiltà (o nobiltà – aristocrazia) alla borghesia nella temperie della caduta del Regno di Napoli non fu, chiaramente, indolore. Non fu neppure un passaggio immediato.

Si avvertì la complessità e la conflittualità dello sradicamento di un sistema anche dopo, addirittura, la Seconda Guerra Mondiale. La borghesia, soprattutto quella meridionale, ha sempre “preteso” o inteso diventare aristocrazia. Si è aristocratici e soprattutto si è nobili. L’aristocrazia può essere anche borghesia. Ma la borghesia non può mai essere nobiltà.

Il passaggio venne attutito sia nel corso dei preparativi e dello svolgimento della Grande Guerra sia, soprattutto, durante il Fascismo sino alla sua caduta. Si avvertì un attraversamento storico che fece molto discutere sul valore (e sul concetto) di Risorgimento incompiuto.

Perché, in fondo, si parlò di Risorgimento incompiuto?

Perché se ne parla ancora oggi studiando quella temperie?

C’è un fatto che resta molto indicativo. La nobiltà – aristocrazia non fu pienamente risorgimentale, o meglio non fu pienamente consapevole di una accettazione del Risorgimento.

Fu incompiuto perché non solo non espresse in termini concreti tutto il progetto programmato, ma anche perché non venne accettato da chi il potere lo aveva esercitato realmente, fino al giorno prima che si sancisse l’Unità d’Italia.

La Grande guerra accentuò questo fenomeno sino a definire la borghesia come classe dominante. La borghesia, sostanzialmente, è la classe che diede vita al socialismo e poi si manifestò sotto gli emblemi del comunismo. Non il proletariato. Ciò che il socialismo non volle capire fu  il traslocamento del potere dalla nobiltà – aristocrazia alla borghesia. Non passò mai al proletariato.

La cosa peggiore è stata la borghesia arricchita e ignorante, meglio incolta.

Il romanzo di Tomasi di Lampedusa è l’estrema “spiegazione” di una visione in cui gli Stati – Regioni – Regni sarebbero dovuti diventare Nazione unica. Il rifiuto di don Fabrizio, nel romanzo citato, nell’accettare il seggio senatoriale è la metafora vera della rottura della Nazione, perché sancisce la divisione delle classi.

Se avesse accettato si sarebbe conformato con la piccola o grande borghesia perdendo quella dimensione valoriale di aristocrazia – nobiltà. Nel senso che la nobiltà, pur sconfitta e decaduta, non può intrecciarsi con una borghesia incolta e senza eredità - radici o identità.



 

È la storia, da me evidenziata più volte nei miei studi, vissuta da molte famiglie nobili e aristocratiche anche dopo la caduta del Fascismo. Il libro i “Cinque fratelli. I Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà” (Pellegrini, tra qualche mese in nuova edizione, cfr. Docu Video di Anna Montella: https://www.youtube.com/watch?v=IiGEJhkTxHI) pone, tra le pagine storiche e di interpretazione storiografia e politica, una simile questione. C’è da sottolineare un dato storico importante. Franz Von Lobstein, figlio del Barone Erwin von Lobstein e da Virginia dei Baroni Coppola Picazio documenta, attraverso i suoi Studi Calabresi, la nobiltà dei Gaudinieri, i quali erano iscritti al Sedile di Bisignano.

Franz Von Lobstein era nato a Napoli il 25 giugno del 1921 si era laureato in giurisprudenza e in lettere e filosofia. Scrisse sulla araldica del Regno di Napoli e pubblicò testi  sulla storia del reame di Napoli, svolgendo lezioni sul monachesimo aristocratico nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale degli Studi di Cassino.

Fu Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito Melitense, Cavaliere dell’I.R. Ordine di San Gennaro, Balì Gran Croce di Giustizia del S.M. Ordine Costantiniano di San Giorgio, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Cavaliere di Giustizia dell’Ordine di S. Stefano di Toscana, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di S. Anna. Muore il  12 giugno 2012. Scritti importanti restano “Settecento Calabrese” e “Nobiltà e città calabresi infeudate”.

Ma anche in altri testi è possibile riscontrare ciò. Si pensi alle “Memorie storiche di Acri” di Raffaele Capalbo, nel quale si fa preciso riferimento alla nobiltà dei Gaudinieri. Si tratta di un testo risalente al 1924, edito allora dalla Casa editrice “ La Fiaccola ”.

I Gaudinieri – Bruni furono tra Gattopardi, tra i Buddenbrook in un’epoca che portava la decadenza nel destini. I Gaudinieri prima, e poi i Gaudinieri – Bruni segnarono un solco profondo nella storia della Calabria. Il mondo cattolico e l’aristocrazia nel Regno di Napoli costituiscono, ancora oggi guardando alla storia, una chiave di lettura necessaria per comprendere il passaggio dal mondo borbonico a quello sabaudo. Una delle famiglie che si è trovata a vivere tra due epoche incarnandole profondamente è la famiglia Gaudinieri – Bruni. Al mondo cattolico e alla aristocrazia nobiliare si aggiunge la proprietà terriera.

Una famiglia nella Calabria cosentina. Qui, in questo raccontare, si è consumata tutta la visione di Thomas Mann quando afferma: “Lo scrittore è un uomo che più di chiunque altro ha difficoltà a scrivere”. Difficoltà di auto raccogliere  le testimonianze di epoche e trasformarle in una articolata storia tra le continuità.

Mio nonno Virgilio Italo (nobile di madre Gaudinieri e monarchica e di padre aristocratico e fascista), il terzo dei “Cinque fratelli”, perché la storia si fa con i propri vissuti e con i documenti alla mano e non con il sentito dire, non volle mai accettare di diventare sindaco del proprio paese. Proprio all’interno delle famiglie il confronto fu spesso forte.

Il caso che mi riguarda personalmente. Mia nonna Maria Caracciolo, sposata Bruni, è stata una militante decisa democristiana, dopo la caduta del Fascismo, ed è stata più volte presidente dell’Azione cattolica del suo paese. Il suo cognome rimanda ai Caracciolo di Napoli. Un’altra nobile dinastia che incontra con i Bruni.

Una famiglia, i Bruni – Gaudinieri, del nord della Calabria, di professionisti, proprietari e commercianti, portava nel sangue la nobiltà stemmata dell’aquila con la rosa in bocca di alto lignaggio nobiliare. Restarono fedeli sino alla fine alla loro tradizione e alla loro appartenenza culturale.

Questi due nuclei vengono arricchiti da altre rappresentatività come i Notte (Maria che sposa Mariano), i Tricoci (Adalgisa che sposa Luigi) e i Fiore (Teresa che sposa Adolfo). Possidenti di antichi lignaggi.

I Gaudinieri, come abbiamo avuto modo di evidenziare, erano, dunque, dentro le due monarchie, ma anche dietro la forza dell’eredità clericale. I Bruni erano, durante gli anni Venti – Quaranta, il Fascismo ma anche l’economia del mercato e dei nuovi modelli commerciali.

Un nucleo familiare all’interno della trasformazione del Regno di Napoli e successivamente nel passaggio tra la Grande Guerra e il Fascismo.

Era, come che si suole dire, una classe nobile – aristocratica dominante.

 

Ecco perché il romanzo il “Gattopardo” diventa una premessa fondamentale ai “Cinque fratelli”. Un racconto nell’intreccio tra storia, identità e famiglia. Comprendere ciò è capire anche un sistema “ideologico” che le classi borghesi non sono riusciti ad afferrare. Borghesi, infatti, si diventa e non per ceto.

Nobili e aristocratici si nasce.

Il tema del Risorgimento incompiuto non bisogna svilupparlo intorno alla figura del “povero” Garibaldi, più volte illuso e tradito, ma intorno alle sfaccettature di una borghesia incolta e non preparata. L’emblema del personaggio Sedara, nel “Gattopardo”, è una vera testimonianza. Così come in tantissime altre realtà.

D’altronde la situazione politico – culturale di questi anni contemporanei è una testimonianza drammatica di ciò che è stato il passaggio di classi e il passaggio generazionale, consumatosi in una Nazione che non è mai diventata tale e che non è rimasta Regno. Borghesi si diventa ma nobili si nasce!

Nel “Gattopardo” c’è una chiosa che fa riflettere: “Il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali”. La borghesia, infatti, non difende una tradizione e cerca di allontanare i ricordi.

La nobiltà è e resta Tradizione. Il distacco si legge proprio tra le pagine di Giuseppe Tomasi di Lampedusa quando afferma: “Ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone”.

Una interpretazione molto singolare e trasparente.

Perché, come è accaduto in ognuno dei cinque fratelli, “L'uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma cosciente o incosciente anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall'idea di volerli criticare…”(una osservazione dai “Buddembrook” di Thomas Mann).

In una decadenza di modelli sia storici che culturali il nucleo del casato Bruni Gaudinieri resta una lezione di nobiltà che si è intrecciata sia ad una aristocrazia già dentro, in parte, alla stessa nobiltà, sia nei riferimenti borghesi che provenivano dal ceto istituzione.

 

 

Fu, dunque, una famiglia che visse dei passaggi epocali e che segnò un territorio proprio in termini economici. Fu, tra l’altro, una famiglia che legò non solo aristocrazia e nobiltà, ma anche potere monarchico (con la sua immagine e con il suo immaginario sia borbonico che sabaudo) con l’autorevolezza della Chiesa. Una famiglia che ha lasciato testimoni generazionali. Sia da parte Gaudinieri che da parte Bruni. Consapevole che la storia non si fa con gli strumenti dei rimandi antropologici e della tradizione popolare posso affermare che questa famiglia è stata un riferimento nella Calabria del Regno di Napoli tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del 1900. una testimonianza i cui eredi sono ancora presenti.

 

 



·    Micol Bruni
Storica delle Etnie

 

 





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