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Comunicazioni M5S
mercoledì 23 agosto 2017

da deputato M5S L'Abbate

da Valerio L'Abbate
Ufficio Stampa Deputato Giuseppe L’Abbate
Ordine dei Giornalisti della Puglia
Tessera n. 105289
valerio.labbate@camera.it
www.giuseppelabbate.it
342.8632827

AGRICOLTURA: CAOS DIGITALIZZAZIONE E INNOVAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

L’agricoltura rischia di perdere il treno della “Rivoluzione 4.0†a causa di AGEA e SIAN, sistemi che complicano la vita a chi lavora la terra. A lanciare l’accusa è il M5S

L’informatizzazione e la digitalizzazione del comparto primario stentano a prendere piede tra gli agricoltori italiani ma a rivelarsi un vero e proprio ostacolo non è tanto il digital divide, di cui l’Italia soffre in maniera endemica, quanto le stesse strutture realizzate negli anni allo scopo. L’agricoltura italiana, se non si interviene con decisione, rischia di perdere il treno della “Rivoluzione 4.0†con impatti devastanti in tutto il sistema Paese.

“Questo potrebbe accadere perché il sistema SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) – dichiara il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura alla Camera – è stato costruito con una complessità tale da renderlo non efficiente. Negli anni, non vi è stata né una governance stabile e preparata né la volontà politica di intervenire sulle numerose criticità da tempo note agli operatori del settore. Il SIAN è un sistema che la Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle Pubbliche Amministrazioni, istituita a giugno 2016, sta esaminando per mettere in luce carenze che non sono esclusive del comparto agricolo ma che riguardano l’intera PA. Molte delle criticità rilevate nel sistema – prosegue L’Abbate (M5S) – sono soprattutto legate alla mancanza di interazione tra il committente, ovvero la PA, e il fornitore di tecnologie. Il punto è che, spesso, il committente non sa come risolvere un quesito e non è in grado di valutare la qualità di quanto realizzato: compra tecnologia senza inserirla in un piano di sviluppo organico con la conseguenza che anche il fornitore, una volta realizzato un progetto, considera finito il suo compito.
Si tratta – continua il deputato 5 Stelle – di gravissime complicazioni che si sono succedute e accumulate negli anni e che oggi sono diventate talmente grandi che viene da pensare che non si vogliano risolvere perché fa comodo a molti avere sempre un ‘capro espiatorio’. Del resto, come può funzionare AGEA, l’ente erogatore nazionale, se negli anni ha visto cambiare un direttore ogni anno? È giunto il momento di superare presappochismo, interessi di parte e incompetenza per assumersi ognuno le proprie responsabilità e rimboccarsi le maniche affinché venga finalmente portata la digitalizzazione nel settore primario.
Il sistema va cambiato – conclude Giuseppe L’Abbate (M5S) – e fatto funzionare poiché AGEA è solo un tassello: poi ci sono le singole Regioni e i CAA, i centri di assistenza agricola. Se non si interviene con decisione, nulla cambierà in meglio e a pagarne lo scotto saranno sempre gli agricoltori. Noi ci siamo e faremo di tutto per modificare questo assurdo sistema che, ad oggi, complica la vita a chi lavora la terraâ€.

**********

GRANO: LA BEFFA DELLA NUOVA ETICHETTATURA D’ORIGINE

 

Il decreto fortemente voluto dal Governo non garantisce i consumatori sulla reale presenza di grano nazionale nei pacchi di pasta italiani. Per il deputato L’Abbate (M5S), “il limite del 50% rischia di rilevarsi una beffaâ€

 

Con i nuovi decreti sull’etichettatura della pasta e del riso, dal prossimo febbraio sarà obbligatorio esplicitare sia la provenienza del grano, ovvero il suo Paese di coltivazione, sia il luogo della sua molitura. In pratica, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura “Italia e altri Paesi UE e/o non UE†in funzione dell’origine comunitaria o meno della restante metà. Idem per l’etichetta del riso dove dovranno essere chiaramente indicati sia il Paese di coltivazione sia quello di lavorazione e confezionamento. Un provvedimento che ha diviso la filiera con, da un lato, le aziende produttrici di pasta che hanno sempre avuto ritrosia nel dichiarare apertamente che il 20-40% del grano utilizzato proviene da Australia, Canada, Francia o Stati Uniti, difendendosi dietro l’insufficienza della produzione italiana e la sua scarsa qualità proteica mentre, dall’altro lato, le associazioni di categoria degli agricoltori a difesa delle coltivazioni nazionali.

 

“Ma nel braccio di ferro tra Ministero delle Politiche Agricole e Ministero dello Sviluppo Economico il più grande sconfitto è, purtroppo, il consumatore – dichiara il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura alla Camera – L’etichetta, infatti, rischia di essere assolutamente ingannevole perché nessuna verifica può garantire che il grano italiano presente nel pacco di pasta che compriamo sia presente al 50% o all’1%. Il limite della percentuale inserita dal Governo non fa altro che raggirare i consumatori italiani. Sarebbe stata più onesta una generica dicitura ‘miscele di grani Ue/non Ue’ piuttosto che illudere tutti dell’acquisto di un prodotto in gran parte tricolore ma che, nei fatti, rischia di non esserlo. Per questo – continua L’Abbate (M5S) – alla riapertura dei lavori della Camera presenteremo una interrogazione parlamentare per chiedere come il Governo intenda verificare la veridicità di ciò che verrà dichiarato in etichetta. Siamo da sempre in prima linea per una ‘etichetta parlante’ ma questo provvedimento, che peraltro non ha rispettato le tempistiche indicate da Bruxelles, sembra essere più uno specchietto per le allodole che uno strumento in mano ai consumatori e alla filiera cerealicola nazionaleâ€.

 

Le imprese italiane avranno 180 giorni di tempo per adeguarsi alla normativa nonché per smaltire le etichette e le confezioni già prodotte. I provvedimenti, nelle intenzioni del Governo, intendono anticipare la completa ed effettiva entrata in vigore del Regolamento comunitario 1169 del 2011 ma rischia, al contempo, di aprire una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles ai danni dell’Italia.

 





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