A TARANTO MUSEO
NAZIONALE VENERDI’ 11 AGOSTO
“GLI ULTIMI ANNI DI
OVIDIO”
Al
Museo Archeologico Nazionale di Taranto MArTA (Mibact) by Night 11 agosto
apertura notturna dalle ore 20 alle 23 con un Incontro su Ovidio nel
Bimillenario della morte di Pierfranco Bruni. Un Museo all’avanguardia che
nelle Notti di cultura ha saputo legare archeologia, letteratura, antropologia
e nuovi saperi. Ad Ovidio il MarTa, diretto da Eva Degl’Innocenti, ha dedicato
due appuntamenti. quello di domai venerdì 11 agosto è il secondo incontro nel
quale si parlerà dell’Ovidio dell’esilio.
La Conferenza: “L’esilio di Ovidio” a cura di
Pierfranco Bruni, responsabile nazionale del progetto “Etnie, letterature e
minoranze linguistiche” del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo, porrà all’attenzione gli ultimi anni di Ovidio e verrà proiettato un
Docu – Video, in anteprima Nazionale, dal titolo “Culta Placent. Amando Ovidio”
di Pierfranco Bruni e curato graficamente, immagine e musiche, da Anna
Montella. Un’anteprima che preannuncia l’appuntamento a Scanno, in Abruzzo
(terra ovidiana), il 16 settembre prossimo.
Eva
Degl’Innocenti – Pierfranco Bruni
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GLI ULTIMI ANNI DI
OVIDIO
Al MarTa di Taranto si
celebra, nel Bimillenario della morte, OVIDIO e L’ESILIO venerdì 11 agosto con
l’anteprima del Video “Culta Placent”
PIERFRANCO BRUNI
Ovidio.
Dopo le “Metamorfosi” l’esilio! Quasi un viaggio nell’ignoto. Fino a toccare il
Mar Nero. Esiliato? Sarebbe meglio dire relegato. Distante dalla sua Roma e
dalle sponde che lo hanno visto protagonista tra la grecità, attraversata da
una diffusa e prepotente testimonianza umana e geografica della Magna Grecia, e
un Mediterraneo che lo aveva condotto a sancire un patto metafisico con Omero.
Dalle
“Metamorfosi”, che sono l’espressione della assolutezza del mito e della
“varietas” di letture interpretative dei simboli ad essere considerato uno
straniero con la relegatio. Da qui fino a considerarsi lo straniero e
peggio, come ebbe a scrivere nei “Tristia”: “…qui il barbaro sono io…”, con la
precisa espressione “barbarus hic ego sum…”.
Vive
dall’8 sino alla morte la religiosità del distacco, a Tomi, l’attuale Costanza
(Romania), che si trasformerà in una permanenza della lontananza. È da notare
che il classicismo delle “Metamorfosi” diventano l’inquieto dell’esistenza dei
“Tristia”. Dal mito ad un dolore elegiaco che permea tutto il suo esistere in
una disarmonia che si farà erosioni. Non c’è più il concetto di popolo in
Ovidio (dato che resterà intatto in Virgilio con l’insistenza di Popoli –
Civiltà – Impero). Il concetto di Popoli in Ovidio si trasformerà in Singolo.
Al
MarTa di Taranto (Mibact) si parlerà di “Culta Placent”, docu – film curato da
Anna Montella: https://www.youtube.com/watch?v=1UgMEmUwYng.
Le
“Metamorfosi” sono esperienza ed espressione di classicità nella civiltà greco
– romana. Nei “Tristia” i singoli diventeranno l’Uno, la persona, appunto, il
singolo. Si avverte la necessità di capire che Ovidio degli “Amores” non è
quello dell’esilio.
Non
è quella della desolazione, relegazione, nostalgia. In amore la nostalgia non
ha apparenze perché non può esistere, ci dice. Nella vita lo nostalgia è
proprio quella ancorata al viaggio che si appende ai fili della speranza per un
desiderato ritorno.
La
chiave di lettura e il chiaro – ombra di Ovidio sta nelle sue “Heroides”. Una
anticipazione di ciò che accadrà. Si pensi alla lettera di Penelope ad Ulisse.
Quel libro di mezzo è diventato il libro della profezia. Un vero e proprio
viaggio accanto che ha il senso costante del nostos. Gli eroi diventano la
consolazione dello straniero in esilio.
C’è
tutto il dramma di Medea e di Giasone. Sembra rivivere la trasformazione del
dramma in tragedia. Tragico epilogo per un poeta che cantava gli amori. Le
immagini mitiche (l’immagine, o meglio “imago”) diventano apparenza e si
incavano in una archeologia della nostalgia dell’uomo. Ugo Foscolo, più che
Leopardi di “Primo amore”, recupera tutto questo scenario ovidiano proprio nel
momento in cui scrive: “Forse perché della fatal quiete/tu sei l’imago a me sì
cara vieni/o sera…”.
Una
grecità soffusa e nostalgica quella del Foscolo del peregrinare che ha rimandi
alla nostalgia tragica e perenne di Ovidio. Infatti proprio da Ovidio cominicia
il senso della metafisica dell’esilio, il quale consapevole del viaggio di
Ulisse riscopre se stesso nel momento in cui diventa assente a se stesso.
Dopo
il mito e la classicità delle “Metamorfosi” la vera tragedia, nella profondità
della grecità, non è l’inquieto esistere, ma la consapevolezza di esistere
nella assenza. Il simbolo di Itaca viene riscoperto da Ovidio, ma al contrario
di Ulisse, morirà lontana dalla “sacre sponde”.