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LA NUOVA RIFORMA DEL TERZO SETTORE
Lo scopo
e l’attività dell’ente vanno indicati nello statuto
La nuova
normativa sul terzo settore concerne
non tutto il novero degli enti non societari (essendo enti del terzo settore
solo quelli che perseguono le finalità «di interesse generale» sopra
menzionate) ma esclusivamente:
•le organizzazioni di volontariato, le
associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali,
incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo
soccorso;
•le associazioni, riconosciute o non
riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle
società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalitÃ
civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o
più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di
erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o
scambio di beni o servizi.
Evidentemente, queste finalità dovranno essere
esplicitate nella parte dello statuto di questi enti che si occupano dello
scopo e dell’oggetto dell’ente, vale a dire la descrizione dell’attività che
l’ente si propone di svolgere.
L’atto costitutivo
deve indicare la denominazione dell’ente
 (la denominazione,
in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di “ente del terzo
settore†o l’acronimo Ets) e deve esplicitare:
•l’assenza di scopo di lucro;
•l’ubicazione della sede legale;
•il patrimonio iniziale ai fini dell’eventuale
riconoscimento della personalità giuridica;
•le norme sull’ordinamento, l’amministrazione
e la rappresentanza dell’ente;
•i diritti e gli obblighi degli associati;
•i requisiti per l’ammissione di nuovi
associati e la relativa procedura;
•la durata dell’ente (se prevista);
•la nomina dei primi componenti degli organi
sociali e del soggetto eventualmente incaricato della revisione legale dei
conti;
•le norme sulla devoluzione del patrimonio
residuo in caso di scioglimento o di estinzione.
È importante notare che la legge impone l’ammissione di
nuovi associati secondo criteri non discriminatori, coerenti con le
finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta dall’ente: in
altre parole, questi enti dovranno consentire l’ingresso a chiunque lo richieda
e che, obbligandosi a rispettare lo statuto associativo, professi interesse
alle finalità dell’ente e al raggiungimento degli scopi che esso si propone di
perseguire.
Va comunque sottolineato che la prima lettura del Codice del terzo settore
effettuata da parte di un operatore professionale che si occupi di governance
degli enti diversi dalle società (e, quindi, di scrivere le norme statutarie
che ne disciplinino il funzionamento) sollecita impressioni contrastanti.
Se il Codice ha, da un lato, l’enorme e indubbio merito di dare disciplina e
impulso a quelli che vengono denominati gli enti del terzo settore (i quali, in
sostanza sono quelli che esercitano «attività di interesse generale per il
perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di
utilità sociale»), d’altro lato perde l’occasione di riformare quei pochi
articoli del Libro primo del Codice civile che, dal 1942 ad oggi, hanno
disciplinato e disciplinano gli enti no profit nel nostro ordinamento e che
rimarranno a disciplinare tutto il no profit che non sia qualificabile come
terzo settore.
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Quelle
del Codice civile sono norme che, scritte negli ultimi anni del regime fascista
e completamente superate non fosse altro per il fatto del tempo trascorso da
quando furono emanate, fanno acqua da tutte le parti e sono completamente
inadeguate a regolamentare uno scenario sociale radicalmente mutato rispetto a
quello nel quale esse videro la luce.
Insomma, si poteva forse avere l’auspicio che
il Codice del terzo settore, oltre a disciplinare quella gran parte del mondo
no profit che è animata da «finalità civiche, solidaristiche e di utilitÃ
sociale», “sistemasse†anche quella parte di normativa del no profit che non
rientra nel concetto di terzo settore.
Invece, la normativa “tradizionale†rimane
intatta, inadeguata e asfittica e viene affiancata e sovrastata dalla ponderosa
nuova normativa del terzo settore. In sostanza, per scendere a un esempio,
banale ma significativo, invece di unificare tutto il no profit in un unico
pubblico Registro, ora avremo il nuovo Registro unico nazionale del terzo
settore a fianco dei registri delle persone giuridiche tenuti da ogni singola
Prefettura e dei registri delle persone giuridiche tenuti da ogni singola
Regione. Uno scenario che da sé evoca disorganicità , assenza di visione
d’insieme, carenza di mentalità semplificativa.
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13/07/2017Â Â
Archita Di Serio