Amore e Marte
Sandro Botticelli, “Venere e Marte”
(1482-1483) - Tecnica mista su tavola. National Gallery, Londra
Il Festival della Valle
d'Itria - doverosamente e con grato affetto - dedica la sua 43ª edizione alla
memoria di Rodolfo Celletti nel centenario
della nascita. Allo storico direttore artistico della rassegna si deve l'intuizione su
cui si basano,
ancora oggi, le scelte culturali e
artistiche di
un festival
fedelmente impegnato in percorsi di ricerca e di approfondimento sul Belcanto italiano.
Con questo
spirito il
cartellone 2017 intende dipanare il filo rosso che percorre il teatro
musicale
di
tutti i tempi
nel
segno della
tradizione belcantistica italiana, che Celletti faceva
risalire al recitar cantando monteverdiano e che prolunga la fioritura
dei propri rami fino a tutto il primo quarto del XIX secolo, per inoltrarsi poi su sentieri anche molto
divergenti tra loro e
dallo spirito delle origini del melodramma. Ambiti diversi e lontani hanno però
continuato a testimoniare la straordinaria fecondità dell'invenzione
originaria:
quel matrimonio alchemico
che nella lingua italiana trovò - e non smette di farlo - il crogiolo
d'elezione.
Quattro secoli di teatro
musicale italiano si snodano lungo il cartellone di questa 43ª edizione: da Monteverdi a Puccini, passando per Vivaldi, Piccinni,
Meyerbeer e Verdi.
Vale la pena annotare le
date di composizione delle opere ospitate in cartellone: 1608, 1727, 1763,
1820, 1840, 1918. La serie è di per sé eloquente e parla di secoli lontani, e di epoche, stili, modi e
poetiche molto
diverse tra loro; le opere e i compositori
qui richiamati recano però, ciascuno a suo modo e ricorrendo alle risorse
che la storia ha via via loro concesso, il suggello di una stessa gloriosa - e
riconoscibilissima - civiltà musicale.
Ogni volta
che intelligenza e sensibilità di un interprete - non solo cantante, ma anche
direttore e regista - sono in grado di infondere linfa vitale al rapporto tra parola e musica
(atto puramente creativo, che pesca nell'intero repertorio tecnico, stilistico
ed espressivo, risorse che solo una compiuta consapevolezza della cultura
melodrammatica può mettere a disposizione) si alimenta lo stupefacente atanor del recitar cantando:
si libera l'intero potenziale espressivo riposto nelle profondità del testo
drammatico-musicale; il canto prende a fiorire
sul respiro, nel modo più naturale e quasi infantile, come puro ri-generarsi di
nuova vita, che si sprigiona autonomamente, slegata da qualunque vincolo
materico e fisico con quella reale; non c'è più nulla di concreto,
e tutto sembra sciogliersi, a partire dalla stessa legge di gravità. In quella
dimensione nuova, limpida e smaterializzata, tutto - persino l'ineffabile,
l'inverosimile o il puro astratto - diviene possibile e
trova la sua espressione compiuta e la sua propria essenza: è questo il modo belcantistico
di interpretare il teatro musicale.
Tutto ciò è
particolarmente evidente nel canto richiesto dal repertorio cosiddetto
"barocco", al quale il festival dedica ogni anno, e nelle ultime
edizioni con impegno programmatico particolarmente evidente, una particolare
attenzione.
Nel 2017 trovano spazio
due giganti della tradizione italiana, Claudio
Monteverdi (di cui ricorrono i 450 anni dalla nascita) e Antonio Vivaldi.
Al secondo è riservata
l'inaugurazione della 43ª
edizione
del Festival della Valle d'Itria, con uno nuovissimo spettacolo realizzato in coproduzione con la Fenice di Venezia. Si tratta dell'opera vivaldiana più nota ed amata, quell'Orlando furioso, il cui
soggetto è naturalmente tratto dal capolavoro di Ludovico
Ariosto, di
cui lo
scorso anno
si è celebrato il mezzo millennio di
storia. Di particolare interesse il team creativo cui è affidato il progetto: Diego Fasolis torna al festival dopo la memorabile Rodelinda di Händel e l'Armida di Traetta, e questa
volta a capo del suo complesso stabile, I Barocchisti, tra le compagini
più ammirate per le esecuzioni del repertorio barocco; mentre dopo Orfeo, immagini di una
lontananza
e Giovanna d'Arco, il cartellone martinese
torna a ospitare il giovane regista Fabio Ceresa
- "best young director" agli Opera Awards 2016 di Londra -
che, dopo il felice battesimo di Martina Franca, ha inanellato una serie di
bellissimi successi internazionali. Con lo scenografo Massimo
Checchetto e il costumista Giuseppe Palella,
uno dei più fantasiosi creativi del costume teatrale italiano e il disegno luci
di Giuseppe Calabrò, Ceresa ha confezionato
il progetto di uno spettacolo di vivida suggestione, che mira a fondere
l'eleganza del decorativismo proprio dell'estetica teatrale italiana con una
vivacità di affondo drammaturgico del tutto personale.
Il cast,
accanto alla prestigiosa presenza di Sonia Prina
nel ruolo eponimo e a quella di Lucia Cirillo
e Riccardo Novaro, tutti
esperti interpreti del repertorio settecentesco,
presenta un gruppo di giovani cantanti, alcuni al debutto italiano,
che avranno modo di farsi apprezzare nelle diverse pagine di virtuosismo e di
ricchezza espressiva che Vivaldi riserva ai diversi personaggi. Da segnalare
il debutto nel ruolo di Angelica di Michela Antenucci,
uno dei frutti più interessanti dell'Accademia “Celletti” degli ultimi
anni.
Di Monteverdi si è scelto di
eseguire, nella cornice del Chiostro di San Domenico, una preziosa antologia dall'Ottavo Libro dei Madrigali, pubblicato
nel 1638 (i celebri Madrigali
guerrieri et amorosi), a cui è stato
dato l'emblematico titolo Altri canti d’Amor,
che è la composizione dell'VIII Libro con cui si apre la sezione dei madrigali guerrieri. Con il Ballo delle Ingrate - singolare
forma di balletto semidrammatico rappresentato per la prima volta a Mantova il 4 giugno 1608, in occasione delle feste per le
nozze di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia - sarà eseguito lo splendido Lamento della Ninfa, oltre al gioiello Hor che'l ciel e la terra, sonetto
tratto dal Canzoniere di Francesco Petrarca.
La
guida musicale è naturalmente nelle mani del musicista in
residence del festival per il repertorio barocco, Antonio Greco, a capo dell'Ensemble barocco del Festival; all'acuta
sensibilità di
un
giovane e già molto apprezzato regista - Giacomo Ferraù -
e alla sua compagnia teatrale, Eco di Fondo (una
delle giovani realtà teatrali più interessanti e premiate di questi ultimi
anni, che Ferraù guida insieme all'inseparabile Giulia
Viana), sarà affidata la parte visuale dello
spettacolo, in
cui l'elemento coreografico - affidato a Riccardo
Olivier - avrà naturalmente grande rilievo. Le scene sono
di Alessia Colosso, i costumi di Sara Marcucci e le luci di Luciano Almerighi.
Ai tre
madrigali è stata data continuità drammaturgica, quasi a formare una vera e
propria rappresentazione drammatica unitaria. Secondo le parole degli autori
dello spettacolo: "Immersa in un banchetto
nuziale d'altri tempi, una sposa dorme, testa china sul margine della tavola,
le braccia ciondoloni, il corpo abbandonato. Viene a svegliarla un piccolo
bimbo dalle ali di cartone. È Amore, "Virgilio" della nostra storia.
Viene ad accompagnare la sposa, conducendola per mano, in una discesa infernale
attraverso le sue più profonde ed indicibili paure. Un viaggio nei ricordi,
nella coscienza, tra le mille figure d'ombra che la abitano. Protagonista la
commovente bellezza della musica di Monteverdi, la sua inarrivabile sapienza
nel tinteggiare "a tempo dell'affetto e dell'animo" le ragioni del
cuore e dello spirito delle donne, di
ogni luogo e di ogni tempo".
Presenza di
assoluto prestigio è quella di Monica Bacelli,
al suo debutto al Festival della Valle d'Itria: ai personaggi di Ninfa e Venere
potrà dare il prezioso contributo della sua straordinaria personalità artistica
e musicale.
Incoraggiati dal felice
sviluppo dell'Accademia del Belcanto "Rodolfo
Celletti" - che ormai da sette anni offre a giovani cantanti di
tutto il mondo un percorso di alta formazione tecnico/artistica nell'ambito dei
repertori d'elezione del festival, guadagnandosi una posizione di assoluto
rilievo in ambito nazionale e internazionale - crediamo siano maturi i tempi
per un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani talenti che scelgono Martina
Franca per coronare il proprio percorso formativo, specializzandosi nel
belcanto sei/settecentesco e protoromantico. Il Festival mette oggi in
cartellone - oltre a un lavoro seicentesco nel Chiostro di San
Domenico - una seconda produzione operistica, a Palazzo Ducale, appositamente
ideata e riservata ai giovani cantanti dell'Accademia.
Il pieno successo del
progetto incoraggia a proseguire in questa direzione: l'incontro dei nostri
giovani talenti - che per diversi mesi approfondiscono lo studio del repertorio
belcantistico, sia dal punto di vista tecnico vocale (e tecnico pianistico per
i maestri collaboratori), sia da quello stilistico/interpretativo - con i
grandi autori della storia dell'opera italiana, offre uno spazio unico e
privilegiato di crescita artistica, anche dal punto di vista dell'espressione
attoriale. Il progetto, infatti, prevede anche una lunga fase di formazione
laboratoriale con i registi incaricati di portare in scena l'opera, che si
sviluppa per alcuni mesi, prima di trovare compimento sul vasto palcoscenico
del cortile di Palazzo Ducale o nell'intima cornice del Chiostro di San
Domenico.
Per l'edizione 2017 del
festival si è pensato di affidare ai giovani dell'Accademia del Belcanto
un'opera del grande catalogo verdiano. La scelta è caduta su un titolo giovanile
di Verdi, ancora poco eseguito e da sempre valutato con il condizionante limite
di diversi pregiudizi, fin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta nel 1840
al Teatro alla Scala.
Un
giorno di regno, ovvero Il
finto Stanislao, è la seconda opera di
Verdi e la sua prima opera comica (e rimane l'unica, tolto il capolavoro della
sua terza età
artistica,
Falstaff, che comunque
"comico" non si può certamente definire): partitura assai brillante,
con pagine di espressa comicità, dà vita a un manipolo di personaggi caratterizzati
secondo i tratti della tradizione dell'opera buffa; un duetto tra i due buffi
che rimane una delle invenzioni musicali più felici di Verdi e alcune scene
"di insieme" costruite sull'imprescindibile modello rossiniano, ma in
cui il calibratissimo ingranaggio ritmico inizia a misurarsi con un istinto già
perfettamente riconoscibile per una melodia più "fisica" ed emotivamente
caratterizzata.
Un
giorno di regno è anche l'opera in cui il giovane Verdi - a soli ventisette
anni, forte solo dell'inatteso successo di Oberto, conte
di San Bonifacio e fortemente provato dalla serie di lutti che gli
avevano letteralmente azzerato gli affetti familiari più intimi - si accosta
alla grande tradizione belcantistica dell'opera comica italiana, in un periodo
in cui Rossini, nonostante il ritiro dall'agone operistico, continuava a dominare la
scena teatrale europea,
ingombrante e inarrivabile icona.
Come ebbe modo di
scrivere Rodolfo Celletti, il modo migliore per cavare i valori di quest'opera
è quello di dare rilievo al carattere che la ricollega senza mediazioni alla
tradizione belcantistica rossiniana, e di interpretare le diverse pagine che si
prestano a tale trattamento con le fioriture, l'eleganza di eloquio drammatico
e le cure stilistiche tipiche del belcantismo.
Confidiamo nel fatto che
un avveduto approccio belcantistico possa aiutare a valorizzare le
indiscutibili potenzialità dell'opera, emblematica tra le cosiddette
"opere di ensemble", quindi particolarmente adatte a produzioni
ideate per giovani interpreti.
Abbiamo affidato la
responsabilità musicale e teatrale della produzione a due artisti di comprovato
talento e forte personalità: il direttore Sesto
Quatrini,
che ha molto positivamente impressionato nel Concerto del Belcanto della scorsa
edizione,
e
Stefania Bonfadelli, ormai di casa a Martina Franca sia come
cantante (indimenticabile la sua Annetta in Crispino e
la Comare) sia come docente dell'Accademia del Belcanto; alla sua esperienza e carisma e alla brillantezza del suo
straordinario talento
teatrale è affidata la responsabilità di una messa in scena, che dovrà
reinventare lo spazio del palcoscenico di Palazzo Ducale senza il
"conforto" (che in certi casi, però, rischia di essere puro
succedaneo alla carenza di autentica ispirazione teatrale) di un apparato
scenografico vero e proprio. Anzi, la sua regia ha deciso di giocare con
questo vincolo, richiamando esplicitamente un tema purtroppo noto ed attuale:
le peripezie di una compagnia teatrale in un momento di grave crisi di fondi...
Nel ruolo del
Cavalier Belfiore, e "giovane veterano" alla guida del manipolo di
artisti dell'Accademia “Celletti”, debutta a Martina Franca il baritono Vito Priante, mentre
il ruolo di Edoardo di Sanval è affidato ai notevoli mezzi vocali del giovane Ivan Ayon Rivas.
Il progetto viene
realizzato grazie a una coproduzione con la Fondazione
Paolo Grassi,
con
il contributo della Fondazione Puglia e in
collaborazione con l'Accademia delle Belle Arti di Bari.
Il ciclo Novecento e oltre, su cui il festival ha molto
investito in termini progettuali negli ultimi sette anni, ha già ospitato, come
nell'ultima edizione del festival, un'opera da camera - o adattabile a
dimensioni esecutive cameristiche - del "secolo breve". Gianni Schicchi - come Un
giorno di regno e Falstaff lo sono
per Verdi - è espressione dell'incontro dell'ultimo glorioso erede nazionale
del grande teatro musicale italiano con il repertorio cosiddetto
"comico": ne scaturisce la più luminosa e geniale fioritura
novecentesca del genere.
Il capolavoro comico
pucciniano vedrà protagonista un beniamino del pubblico del festival, Domenico Colaianni, insieme ai giovani artisti dell'Accademia del Belcanto, eseguito in versione cameristica nella cornice intima del
Chiostro di San Domenico, con la parte teatrale affidata all'estro del giovane
regista Davide Garattini Raimondi, che torna a Martina Franca dopo il successo del
suo Don Chisciotte di Paisiello dello scorso
anno (e sempre con i costumi di Giada Masi). Alla guida
dell'Orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto il giovane tedesco Nikolas
Nägele,
che
ha appena ultimato il suo perfezionamento presso l'Accademia
del Maggio Musicale Fiorentino.
Prosegue il
personale percorso che il direttore musicale del festival Fabio
Luisi sta proponendo nell'alveo della tradizione belcantistica di
Martina Franca, orientato all'approfondimento dell'altro Ottocento, tra Rossini
e Verdi.
Dopo Medea in Corinto di Mayr
e dopo Mercadante - autore che il Festival ha assai
felicemente
onorato nel 2016 con la trionfale prima mondiale assoluta della Francesca da Rimini - la scelta, pressoché obbligata, cade
quest'anno sul Meyerbeer cosiddetto
"italiano".
Cogliendo
l'opportunità offerta da una nuovissima edizione critica
Ricordi a cura di Paolo Rossini e Peter Kaiser, si è deciso di riportare in scena,
per la prima volta
in
epoca moderna, un'opera
di particolare rilievo storico e con diversi punti di forza. Margherita
d'Anjou è passata agli annali della storia del
melodramma non soltanto perché segna il debutto di Meyerbeer al Teatro alla
Scala, ma soprattutto per il fatto che grazie ad essa si rivelò il valore del
giovane compositore tedesco, che a Milano ottenne il primo, autentico, grande
successo.
Margherita
d'Anjou - melodramma semiserio
di Felice Romani del 1820 - sfoggia le
caratteristiche tipiche di un'opera di facile presa: soggetto storico ma
rivisitato con la libertà poetica volta a mettere in primo piano vicende sentimentali
e private rispetto allo sfondo epico e militare; caratteri di evidenti
dimensioni teatrali; ampie pagine di plateale virtuosismo e altre di vasto
respiro corale, con l'aggiunta -
molto sapida ed efficace - di un personaggio buffo, di uno en
travesti (per necessità drammaturgiche) e di diverse scene
d'assieme affidate a voci scure maschili, in grado di arricchire e variare, con
tinte e toni diversi, il carattere drammatico di base.
Non è
difficile ravvisare in quest'opera dalle evidenti ambizioni - Meyerbeer
sapeva bene di giocarsi nome e carriera con il debutto milanese - un modello
per La forza del destino (naturalmente al
netto della dimensione tragica del finale verdiano), sia per il procedere del
racconto per grandi pagine di colore popolaresco e altre di valore epico e
corale, sullo sfondo di vicende militari; sia per il contributo di quel
peculiare carattere comico, che contribuisce a una inedita prospettiva di
stampo ironico per un dramma di soggetto pseudostorico.
La direzione
di Fabio Luisi saprà restituire i giusti
bagliori a musica in grado di
distinguersi soprattutto per la trascinante vena melodica e per la plastica tensione delle pagine
più riuscite; puramente e tutta melodrammatica, già pienamente ottocentesca
ma ancora condizionata dai più puri stilemi
belcantistici,
e dall'inarrivabile modello dell'opera seria rossiniana.
Per questo
Meyerbeer torna a Martina Franca il talento di Alessandro
Talevi, che proprio al Festival deve il debutto italiano (con Crispino e la Comare, nel 2013). Il regista
sudafricano
legge
la regalità di Margherita in chiave contemporanea, trasformandola in una diva
del regno del fashion. Un po' Anna Wintour e
un po' la Miranda Priestly di Meryl Streep ne Il diavolo
veste Prada. La sua corte nel Regno Unito pullulerà di stylist e top model,
sulle passerelle della "London fashion week" e non mancherà
l'elemento da spy story. Madeleine
Boyd firma scene e costumi dello
spettacolo,
Giuseppe Calabrò
le luci.
Fedele alla
propria tradizione di vetrina per giovani emergenti, anche in questa occasione
il Festival dà fiducia ad alcuni nomi dell'ultima generazione, di solidissima
formazione e indiscutibile carisma scenico. Giulia de
Blasis, Gaia Petrone e Laurence Meikle, usciti negli scorsi anni dai corsi
di perfezionamento dell'Accademia “Celletti”,
saranno rispettivamente Margherita, Isaura e Glocester. Marco
Filippo Romano, tra i migliori buffi della nuova leva, vesterà i
panni di Michele Gaumotte e Anton Rositskiy
quelli del Duca di Lavarenne.
L'edizione 2017 del
Festival della Valle d'Itria certifica l’Opera in
masseria quale elemento qualificante del cartellone annuale del
Festival. Si tratta di
una delle più fortunate iniziative delle ultime
stagioni: dopo tre anni di sperimentazione via via più strutturata, da
quest'anno la produzione si arricchisce, e per la prima volta verrà eseguita
con orchestra a ranghi completi. Con l'Opera in masseria
Martina Franca
torna al suo repertorio di elezione, quello della scuola
pugliese-napoletana, e lo fa con un'opera comica di Niccolò
Piccinni di particolare valore musicale e drammaturgico. Il giovane
direttore Ferdinando Sulla ne curerà la parte
musicale, mentre il progetto registico sarà firmato da Giorgio
Sangati. Cresciuto artisticamente nell'alveo del Piccolo
Teatro di Milano - scoperto e valorizzato da uno dei grandi maestri del teatro
contemporaneo, Luca Ronconi, e rivelatosi al pubblico grazie alla recente e
assai fortunata produzione milanese de Le donne gelose
- Sangati avrà occasione di
misurarsi nuovamente con il teatro goldoniano, questa volta nelle forme di un
gustosissimo libretto affidato a uno dei più prolifici autori del
Settecento napoletano.
Nei quattro
ruoli previsti da Goldoni si esibiranno tre giovani artisti dell'Accademia “Celletti” e un giovane e assai
promettente tenore, originario di Martina Franca e attualmente in forza
all'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, il ventenne Manuel
Amati. Le scene dello spettacolo sono di Alberto
Nonnato, mentre i costumi di Gianluca Sbicca, ispirati agli anni della
bélle epoque, sono realizzati
attingendo al patrimonio del Piccolo Teatro di Milano, con cui il
Festival e la Fondazione Paolo Grassi sono in procinto di siglare una
prestigiosa e molto attesa collaborazione, nell'anno del settantesimo
anniversario del primo teatro stabile italiano e nel nome di Paolo Grassi, tra i padri spirituali del Festival.
Il cartellone
2017 si arricchisce di una straordinaria serata di musica vivaldiana, affidata
a I Barocchisti di Diego
Fasolis, che eseguiranno uno dei capolavori più amati dal grande
pubblico, Le quattro stagioni, con il
violino solista di Duilio Galfetti, oltre ad arie e duetti del catalogo del Prete Rosso. Nel corso
della serata verrà assegnato il Premio Celletti 2017 al
tenore Ramon Vargas.
Il popolare Concerto per lo Spirito nella Basilica di San
Martino sarà diretto dal giovane tarantino, di formazione nordeuropea, Vincenzo Milletarì, con un programma Porpora/Haydn/Mozart accostato al Requiem per archi di Takemitsu, affidato ai musicisti dell'Orchestra
ICO della Magna Grecia, che sarà poi replicato a Matera, Capitale Europea
della Cultura 2019.
L'atteso Concerto Sinfonico a Palazzo Ducale vedrà impegnata
come di consueto l'Orchestra Internazionale d'Italia diretta
da Alvise Casellati, in
un programma tutto tricolore, di composita fattura: nella prima parte, in prima
esecuzione italiana, I gnostr, del giovane nocese Domenico
Turi e il concerto "Piccolo mondo
antico" di Nino Rota, con il pianoforte di Alessandro
Taverna; nella seconda parte la Sinfonia in Mi minore di Alberto Franchetti, di assai rara esecuzione.
Per Festival Junior, la
popolare serata dedicata ai giovani interpreti, addestrati nel corso dei mesi
invernali, è stato scelto un adattamento del capolavoro comico di Puccini,
ideato da Davide Garattini Raimondi: C'era una volta... Gianni Schicchi! affidato
alle cure musicali di Angela Lacarbonara,
preparatrice del coro di voci bianche, e di Vincenzo
Rana.
Oltre alla
storica compagine del Festival, l'Orchestra
Internazionale d'Italia, coro residente
torna a essere quello del Teatro Municipale di Piacenza,
diretto da Corrado Casati: si esibirà in Un giorno di regno e Margherita
d'Anjou. Altro ritorno da salutare con piacere è quello di Fattoria Vittadini, la giovane compagnia di performers e danzatori, che nel 2014 si aggiudicò a
sorpresa un Premio Abbiati speciale.
Quest'anno saranno impegnati pressoché in tutte le opere del Festival, e con
maggiore incisività in quelle di Vivaldi, Monteverdi e Meyerbeer.
La presenza
di Fattoria Vittadini, della compagnia
teatrale Eco di Fondo, la collaborazione con
il Piccolo Teatro di Milano, quella con il
quarto anno del corso "danzatori" dell'Accademia
Paolo Grassi di Milano, con l’Accademia
del Maggio Musicale Fiorentino e l'Accademia
delle Belle Arti di Bari sono il segno evidente di un percorso
sempre più motivato e strutturato, che punta allo sviluppo di un qualificato
avamposto riservato alla creatività d'autore, anche in chiave puramente
teatrale, di teatrodanza e di espressività interdisciplinare.
Lo storico
direttore artistico del Festival sarà al centro di un convegno
di due giornate, "Rodolfo Celletti - Maestro di
scrittura e (censore) di voci", affidato al
coordinamento di Angelo Foletto, con la
partecipazione di studiosi, musicologi e operatori del mondo teatrale e
musicale italiano.
I consueti
appuntamenti di Fuori orario e la mostra documentaria "Amore e Marte - arte,
immagini, visioni dalla Magna Grecia al Rinascimento" suggellano
la composita e ricchissima offerta di questa 43ª edizione del
Festival.
Milano, 15
maggio 2017
Alberto
Triola
Direttore artistico
www.festivaldellavalleditria.it