Una antropologia dei Mediterranei nel legame tra beni culturali e scuola nel tempo degli sradicamenti. Il mio viaggio in Albania
venerdì 3 marzo 2017
di Pierfranco Bruni
I beni culturali costituiscono sempre più un riferimento non solo identitario, ma una “piattaforma” per educare alla cultura delle civiltà e degli incontri tra popoli. Dall’archeologia all’arte contemporanea, dai monumenti alle demoetnoantropologie. Credo che proprio intorno alla “questione” demoetnoantropologica si giochi una bella e vera trasparenza pedagogica, il cui rapporto con il mondo della scuola diventa un riferimento certo.
È di questi giorni un incontro tra l’Istituto comprensivo Casalini di San Marzano di San Giuseppe (comunità Italo – albanese) e l’Ambasciata d’Italia a Tirana con la scuola e il mondo dell’arte. Un incontro al quale ho avuto il piacere di partecipare e di vivere, sul piano anche istituzionale, un percorso significativo.
Più volte sono stato in Albania per motivi legati al mio progetto sulla tutela e conoscenza delle Etnie. Ma questo recente viaggio, mi ha permesso di leggere, con una forza culturale e spirituale, un legame che ha il portato di una reciprocità di chiavi di lettura.
Mi è parso che la cultura popolare sia la strategia attraverso la quale poter far quadrato per approfondire, sul piano anche metodologico, uno scavo esistenziale in un popolo che è attraversato dal suono dell’intreccio tra i vari Orienti. I cosiddetti Mediterranei inclusivi non sono soltanto una geo politica della storia, ma sono una geo metafisica dei linguaggi, in cui il dato letterario diventa una finestra aperta sul mondo delle antropologie comparate e dei linguaggi finalizzati.
Scuola e beni culturali rappresentano una pedagogia di un apprendimento ben definito all’interno dei processi non solo etnici ma soprattutto conoscitivi. La conoscenza diventa valorizzazione nel momento in cui i due elementi prioritari diventano modelli. Questi due elementi sono il sapere, come conoscenza e saggezza e come archeologia dei sentimenti di un popolo e metafisica dell’identità, e la prospettiva di una metodologia educativa volta ai codici dell’appartenenza.
Il bene culturale radica ad una appartenenza. La scuola sviluppa, in una ermeneutica pedagogica, il quadro delle appartenenze grazie ad un immaginario storico che deve diventare processo culturale permanente. I beni culturali sono sostanzialmente uno scavo in quella pedagogia che è educazione permanente ai valori della civiltà e dell’integrazione pur in una giusta alterità dei popoli.
In un tale discorso soltanto il principio delle dimensioni demoetnoantropologiche può dare una visione complessiva dell’ascolto. I popoli si ascoltano in un immaginario individuale e non collettivo. Il cambio di un registro critico è proprio questo: dalla visione oggettuale e collettiva di un processo storico bisogna passare ad uno scavo soggettivo e individuale delle culture. Non siamo più ad una antropologia della prassi. Siamo ad una antropologia dell’umanesimo.
Il bene culturale nella scuola è il segno non problematico, ma distintivo di un approccio ad una antropologie delle vite, dei popoli e delle lingue. Ecco perché soffermarsi sulla potenza del concetto etnico permette di scavare nella soggettività dei popoli. Noi non siamo prassi. Siamo tradizione. Il legame tra l’Albania e l’Italia è una “evocazione” di tradizioni.
L’Albania è l’Adriatico che entra nel Mediterraneo. L’Italia è il Mediterraneo che accoglie le linee degli Orienti e dell’Orizzonte greco – balcanico – asiatico. Il Mediterraneo italiano è non solo il nord dell’Africa e il centro dell’Africa. È diventato una geografia della comparazione tra storie e popoli (anche vaganti) e civiltà tra le identità. Intorno a questo scorcio di mare si identificano non solo i tracciati mitico – simbolici archeologici, ma anche quelli medioevali e, in tempi più moderni, quelli richiamati nel Regno di Napoli.
Il Regno di Napoli è stato il Mediterraneo inclusivo perché all’interno della geo metafisica della Magna Grecia si sono inseriti gli Orienti grazie ad un intreccio di contaminazioni dalle quali è possibile una partecipazione ai saperi delle etnie.
Bene, dunque, fa l’Istituto di San Marzano, diretto da Maria Teresa Alfonso, a creare questi legami e queste politiche scolastiche inclusive.
La scuola dialoga sempre più sui saperi dei popoli e delle civiltà sapendo di confrontarsi, quotidianamente, con una soggettività etnica. I beni culturali nelle interpretazioni demoetnoantropologiche sono la garanzia di un processo strategico e congiuntivo tra la tradizione popolare e la lingua.
I linguaggi sono suoni, parole, canti e richiami. Ma sono anche musica, danza, costume, sorriso e partecipazione di un dare e avere uno spazio di contributi proprio riferiti a ciò che ho sempre definito antropologia dell’umanesimo dei Mediterranei.
Una antropologia dei Mediterranei nell’umanesimo delle culture. Questa resta la sottolineatura non solo per comprendere, ma anche per essere compresi in una relazione tra Occidente ed Oriente, soprattutto in una temperie di costanti sradicamenti.