Il bimillenario di Ovidio letto nelle celebrazioni Pirandelliane: che pazzia può sconvolgere la mente?
martedì 7 febbraio 2017
di Pierfranco Bruni*
Siamo al bi - millenario della morte di Ovidio che attraversa le celebrazioni pirandelliane a 150 anni dalla nascita. Un appuntamento importante tra cultura latina ed eredità greche.
“Che pazzia vi ha sconvolto la mente…” (Ovidio). Dunque. Pirandello recupera da Ovidio il passaggio ancestrale delle "metamorfosi" metaforizzandolo nei personaggi che recitano sotto lo specchio della luna. La luna è uno degli incisi alchemico - simbolici che si lega quasi sempre alla cultura del cerchio e a una danza che ha il senso dell'antico ritorno. Tutto il mondo latino è in Pirandello. Ma si tratta di una cultura latina che ha intrecciato la maschera greca e quella troiana. L'occidente latino in Pirandello non si regge da solo. Filtra la recita greca e in particolare omerica ma ancora di più riesce ad assorbire la griglia mitica virgiliana.
Virgilio e Omero sono capisaldi in Pirandello. Ma in Virgilio recupera Anche un Oriente che non è solo Mediterraneo ma Adriatico e balcanico. Il canto pirandelliano infatti è un intercalare di suoni tra gli Orienti turchi di Troia e la melanconia ellade. Insomma la luna che resta riferimento è il musicare metafisico delle fiamme troiane e l'essere "nessuno" omerico. Si serve però del filtro ovidiano che è trasformazione. La metamorfosi è il teatro dello sdoppiamento in Pirandello. Resta tale sino a congiungere la sintesi delle maschere con il vedersi in uno specchio.
Omero e Virgilio sono filtri decisamente incavarmi tra Occidente e Oriente. Una geografia comunque parziale intrecciare ai temi del viaggio della solitudine dell'isola della fuga. La fuga non è uno stereotipo. È la metafora che occupa il centro di Enea e di Ulisse. Entrambi viaggiano e fuggono.
Il sentimento dell'esilio che resta forte in Pirandello è uno scavo che si ascolta dall'ultimo Ovidio. L'esilio è vivere il desiderio di una terra la cui distanza si misura con la intensità della nostalgia. In Ulisse ci sono i trionfi del nostos e della permanenza.
Nelle "Metamorfosi" ovidiano c'è la trasfigurazione: “L'estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi./Oh dèi (anche queste trasformazioni furono pure opera vostra)”. In Pirandello prende corpus la trasfigurazione ovidiana. I suoi personaggi nascono all'interno di un costante modello ovidiano in cui trasfigurarsi è recitare in un palcoscenico dove le maschere non sono strutture precostituite. Plauto è distante. Come è distante Goldoni. Il copione della improvvisazione campeggia sulla scena. Si pensi al "Berretto a sonagli".
Ovidio: “Nacque l'uomo, o fatto con divina semenza da quel grande artefice,
principio di un mondo migliore, o plasmato dal figlio di Giapeto [Prometeo]
a immagine degli dèi che tutto regolano, impastando con acqua piovana la terra ancora recente, la quale, da poco separata dall'alto ètere, ancora conservava qualche
germe del cieloinsieme a cui era nata”.
Sembra la ricerca inquieta di Mattia Pascal, ovvero di un personaggio che non ha trovato ancora il suo destino – personaggio (Ovidio: “„Bene visse chi seppe vivere nell'oscurità”).
Nel tempo della contemporaneità l'incontro avviene con Scarpetta del "Miseria e nobiltà " e soprattutto con il teatro napoletano orientaleggiante di Totò. Anche se in Pirandello su vivono le contraddizioni di Tolstoj del "Guerra e pace" di "La battaglia la vince colui che ha deciso fermamente di vincerla" o di "Si deve credere nella possibilità della felicità per essere felici".
Dunque. Uno dei legami importanti vissuti da Pirandello è quello con Scarpetta. I figli di Scarpetta i tre De Filippo, senza Pirandello, non sarebbero esistiti. “Miseria e nobiltà” è stata resa grande da Totò, il quale però ha sempre cambiato il copione e che Pirandello ha scritto e riscritto sulla scena. Scarpetta proviene da Goldoni che a sua volta ha tramato con i testi di Plauto traducendo l’ironico in veneziano. Scarpetta e Scarfoglio sono un inciso anche di Salvatore Di Giacomo. Ma è Sofocle che si innerva in Pirandello. C’è una via dell’Oriente nell’Ovidio che vive in Pirandello: “Sarai più sicuro tenendo la via di mezzo”.
In un immaginario dialogo tra Pirandello e Marta Abba si innesca questo colloquiare.
Luigi: "Sei stata la giovinezza e la parola. La danza e la recita. Il canto e li sguardo... Non sei greca".
Marta: "Porto l’Occidente negli occhi. Lo sono ancora. Resterò come nuvola o ombra. Come vento e tempesta".
Luigi: "Tutto si trasforma. Non ho più personaggi. Io sono il personaggio di me stesso. E ti aspetto come se fossi in uno spazio chiamato Agorà".
Marta: "Sono la danza e il tuo canto. Non ho maschere. Il mio volto è quello che si specchia nei tuoi occhi. Intrecciamo tra nelle tue predestinazioni. Mio maestro". E ancora:
Marta: "Tu resti quell’Odisseo perso nella terra di Nessuno osserva nel chiaro di notte il sublime".
Luigi: "Oh morte immensa. Scivoli nell'umido tepore tra le mie carni. Sei vita! ". Marta: "Una tigre di carta aggredisce il vento. Ho la malinconia dell'inutile oltre il canto".
Luigi: "Non lasciarti sfuggire il ricordo. Ho vissuto nella terra del mito e tu sei dea oltre il teatro".
E poi: Luigi a Marta: “Sei recita ed evidenza. Ti vivo. In silenzio. Per non perdere l'ombra che di te ho. Poi sarà un'altra vita. Vuoi scommettere una sconfitta e una vittoria? Se non avrò risposta non comprenderò. Se risposta avrò tra il tempo di mezzo e la luna spezzata ti cercherò. Inventa. Una finzione. Un gioco. O una melodia. Non starò ad aspettarti. Ti vivrò nella mia attesa. Tu di me. Ti leggerò il mio Ovidio. L’arte d’amare è una metamorfosi?”.
Si ritorna ad Ovidio. Ma il teatro è tutto ciò che il personaggio che si ha dentro non è riuscito ad esprimere? Forse per Pirandello è così? Se mi/mi/ci pare? Nel caos di Pirandello vive la metamorfosi del caos primigenio di Ovidio. In entrambi, tra geografi del luogo che diventa metafisica e metafisica che avanza un segno allegorico insiste, appunto, il caos primigenio del mondo.
Ancora l’Ovidio che si può trovare anche in Pirandello: “…vinto dal dolore, da quella serie di sciagure e dai tanti prodigi che ha visto, … parte dalla sua città, come se la maledizione gravasse sul luogo invece che su di lui…”.
I miti, i simboli, gli archetipi, la figura di Enea, l’amore proibito, il legame tra creazione, distruzione e rinascita, il tragico, la rappresentazione dell’uomo e il tutto nello specchio della maschera. Un percorso tra letteratura e filosofia.
Così Pirandello incontra Ovidio (“Noi pure fiorimmo un giorno, ma quel fiore presto appassì, e la nostra fu fiamma di stoppa, fuoco passeggero”, siamo al all’uomo con il fiore in bocca…?) e non si distacca sino a quando verrà graffiato da un concetto che caratterizzerà il suo tragico senso: “Molte sono le cose incredibili, ma nessuna è più incredibile dell’uomo” (Sofocle) o fino a quando non sosterrà con Eschilo: “Molti degli uomini preferiscono l'apparenza più che l'essenza, scostandosi dal giusto”.
Ma è Ovidio che recide e ricuce: “La coscienza retta si ride delle bugie della fama (ossia delle mendaci ciarle del pubblico)”. È qui il dopo: “…Scorre nascostamente e sparisce il fuggevole tempo…”.
Ovidio e Sofocle sono un vissuto nel tragico e nella “ars” della commedia che diventa singolarità. Ma Euripide? Pirandello lo ha già superato dopo aver attraversato: “La verità ha un linguaggio semplice e non bisogna complicarlo” perché i personaggi pirandelliano hanno subito assorbito che “Chi dice ciò che vuole deve aspettarsi in risposta ciò che non vuole”. Con Ovidio giunge alle conclusioni che “…tanta è l'arte, che l'arte non si vede…”. Pirandello è sempre nella impossibilità di ricondurlo su un sistema critico. Anche per questo il suo pensare e il suo linguaggio sono il mistero della magia.
* Responsabile Progetto Etnie del MIBACT