Il dialetto di un
militare poeta: Agostino Gaudinieri
sulla Rai.
L’etno antropologia
della lingua
a cura di Pierfranco
Bruni*
Dopo il recente servizio andato in onda su Rai Tre dedicato
ad Agostino Gaudinieri (https://www.youtube.com/watch?v=uEHaAx8vDgs&app=desktop)
si continua a parlare di Agostino Gaudinieri. Tra i soldati, militari
ufficiali, ricorre spesso il nome di Agostino Gaudinieri. Il Gaudinieri, nato a
Spezzano Albanese il 28 luglio del 1892, che arriverà a rivestire
successivamente il ruolo di Colonnello, viene nominato con Regio decreto del 16
aprile del 1914 Sottotenente di complemento di Fanteria, la cui nomina viene
pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia” in data 18 maggio
1914, numero 117.
Mentre, due anni dopo, il Ministero della Guerra con Disposizione sugli
Ufficiali in Servizio Permanente, sempre Arma di fanteria, adotta un
provvedimento per la promozione a Tenente con Decreto Luotenenziale del 24
agosto 1916, Decreto che viene pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale del Regno
d’Italia” de 14 settembre 1916, numero 217.
Più volte distintosi per le sue azioni e più volte ferito viene molte volte
decorato.
In qualità di Sottotenente di complemento del suo Reggimento di fanteria venne
decorato perché “ferito più volte mentre conduceva energicamente il suo
plotone in soccorso di altri reparti, non si allontanava dal combattimento.
Bosco Cappuccio, 20 luglio 1916”, così si legge negli Atti ufficiali(http://www.istitutonastroazzurro.org/).
Precedente, dunque, alla nomina di Tenente.
In una ricostruzione sui decorati di guerra lo storico Ferdinando Cassiani,
successivamente citato nello studio di Alessandro Serra, ebbe a scrivere: “…fra
le insidie di Bosco Cappuccio, Agostino Gaudinieri, magnifica tempra di
ufficiale, tre volte ferito, merita la medaglia d’argento al valore militare”
(in Ferdinando Cassiani, “Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia”,
1929 e poi ripreso da Alessandro Serra in “Spezzano Albanese nella vicende
storiche sue e dell’Italia (1470 – 1945)” del 1987.
Agostino Gaudinieri ebbe una carriera brillante sino ad arrivare a
colonnello dell’esercito ed ebbe un ruolo particolare sia durante il passaggio
dalla Marcia su Roma alle Leggi Fasciste sia durante gli anni del Regime.
Sempre al servizio dell’esercito fu un punto di riferimento nell’ambito dei
rapporti tra la vita militare, l’attività del Regime e la Monarchia.
Era figlio di una nobile famiglia di Spezzano Albanese, ecco le sue origini
Arbereshe (Italo – albanesi). La madre la nobile Amalia Guaglianone e il padre
il nobile Mariano Gaudinieri, le cui discendenze risalgono alla nobiltà di Acri
tra il tardo Rinascimento e l’età pre Illuminista. Aveva altre due sorelle:
Giulia e Marietta e un fratello di nome Domenico.
Fu una personalità importante e imponente nella Calabria tra la Prima e la
Seconda guerra mondiale. Visse, dopo i natali di Spezzano Albanese, a Cosenza
con proprietà anche a Mendicino, in provincia di Cosenza.
La sua figura rientra nel quadro delle riproposte di quegli eroi di guerra che
hanno combattuto portando alto il vessillo d’Italia. Infatti a Bosco Cappuccio,
lungo il fiume Isonzo, si svolse una dura battaglia, che vide l’esercito
italiano impegnato in prima fila a difendere il destino della Patria.
Agostino Gaudinieri fu un protagonista di quella “resistenza” in nome
dell’Italia. Muore nel 1966. Hanno scritto sulla sua poesia in lingua italiana
e in dialetto, personalità importanti della letteratura e persone l’attenta
antropologa Maria Zanoni, esperta di antropologia dei linguaggi, ha dato una
sua sottolineatura. Qui di seguito alcune delle poesie tra Padula e Ciardullo
in una ironia che soltanto nel dialetto ha una forte resa espressiva
(Micol Bruni, esperta di culture minoritarie).
Maria Zanoni:
“Un paesaggio lunare...la
neve sui tetti... e intorno silenzio...
I pensieri danzano al ritmo
di un'antica canzone,
e scandiscono ricordi di
viaggi, d'amore, di gioie e dolori.
Ora, senza conoscere il nome
dell'Autore, provate ad ascoltare questi versi in dialetto, il musicale
dialetto del cosentino - che affonda le sue radici nel greco e nel latino -
quello che si parlava negli anni Cinquanta del '900...vi troverete al cospetto
di una persona di cultura che si cimenta a scrivere nella lingua della sua
terra, il dialetto, pur non appartenendo alla società contadina depositaria
della parlata "volgare".
Eppure i versi in dialetto
restituiscono atmosfere, colori e profumi del passato, riportandoci alle nostre
radici.
Traspare immediatamente che
non si tratta di un "poeta popolare", che pensa e parla in dialetto
(quello incontaminato) ma si tratta senz'altro di un intellettuale, cultore di
dialetto, che ha intuìto l'importanza della lingua dei padri portatori di
valori culturali e letterari.
Seppi poi che si trattava di
Agostino Gaudinieri...”.
Maria Zanoni
Antropologa
promoter Festival del Dialetto e Lingue minoritarie di
Calabria
1
Chiova. Chiova.
Chiova.
U vidi cumi chiova?
Ogni guccia ti luccica
supra a capo.
Si na fata
e u cori è tuo.
Cu te mi curicu
e cu te fa jurno!
2
Un ce' chiu'
u fucularu appiccicatu.
Un ce' nessunu.
A casa e' vacanta.
Ma a vuci si senta
intra i stanzi
e m'arriva cumi
u vientu.
3
A sazizza è a palu
o rutunna.
Chi a vo' cotta
chi a vo' cruda.
Chi a vo' sutta a cinnira
chi a vo' aru fuoco.
Ma cumi a fa' fa'
e' sempri bona.
Russa o ianca.
Na cosa u ntana scurda'.
Cu spitu si gira
ma cu i mani
ana mangia'.
Sulu a cussi'
a vucca a po' assapura'
cu nu piezzu i pani
ana mangia'.
Vruscenti ti ricrii
u cannaruozzu
e tutti i ntrami.
Nun ti scurda'
tunna o a palu
a sazizza
cu i mani tana gusta'
e cu u mussu ana licca.
4
I pipazzi da grasta
su tutti crisciuti.
Cu tiempu
ca passa o si criscia
o si mora.
Se pipazzi
vruscienti
incinirati
mangi
ti scuordi ca a morti
ti po' arruba' a vita.
Vienimi a truva'
ca u pipazzu
ti fazzu pruva'
5
Quannu scinna a notte
e chiova supra i rosi
u vientu manna via
tutti i nuvuli
e a luci da luna fa chiaru
u scuru.
Io piensu a tutti
i juorni passati
e mi scinna
na malincunia
accussi triste
ca sulu u silenzio
po' capì.
Passa u tiempu
e i paroli
nu bastanu pe raccunta'
na vita di viaggi e damuri
di gioi e duluri.
Guardu a rosa
che puru sutta a niva
è rimanuta tisa
e na canzuna antica
mi sona inta a capu
e tantu cosi vidu
come si non fussero
mai finiti.
6
Na canzuna mi torna pa’ a capa
ed è na m usica che mamma mia
ntonva quannu mi carrizzava
a faccia.
Nu ricuordu anticu
ca scurda’ nun puozzu.
7
Na vuci mi torna
ed è nu cantu,
8
U’ giardino
e’ gninu i frasca,
a’ vigna a’ priso a fiori’.
Quannu e’ notti,
a pinna scriva
senza a capu.
9
A Napuli m’hai firmatu
quanti surdati!
Storie antichi
c’a’ famiglia mia
mi raccunta ogni journo.
10
Cusenza a’ na Calabria antica
ma u’ cori miu
a’ nustalgia d’a parlata
i’ spizzanu.
Marilena
Cavallo:
“Con
l'ironia del dialetto il ritmo della poesia affonda le sue radici nella Memoria
ora intima e familiare ora popolare e collettiva. Mai scanzonata, ma pungente e
penetrante...impastata di terra e sole”.
Marilena Cavallo
Capo Dipartimento Lettere
Liceo Moscati Grottaglie
*
Antonietta Cozza:
“Grande
musicalità e struttura ricca di allitterazioni , onomatopee , anafore e climax
nei versi di Agostino Gaudinieri . Il verso si incardina in una ragnatela di
suoni che prendono all'anima per quel senso di avvolgimento e protezione che
sembrano suggerire”.
Antonietta Cozza
Docente e Capo Ufficio stampa
Pellegrini Editore
*
Carmen
De Stasio
Agostino
Gaudinieri. Il solco scavato nell’edenico trascorso traspare attraverso
le intonazioni possenti nella fragilità del pensiero. E tutt’altro ci si
attenderebbe da una versificazione vernacolare, là dove il passaggio dall’umano
sforzo di attingere alla creatività si consolida nell’invenzione di una realtà
prossima e convogliata nel tumulto delle riflessioni. In un tempo cadenzato
dalla doglianza, le parole fluiscono lente alla velocità traslucida dei
pensieri e si avvincono alla materia dileguandone l’algidità e alterando gli
spazi in una tattile corrispondenza. Il silenzio degli spazi solcati è
ingannevole tratto rispetto alla sonorità espansiva dalla voce del poeta. Egli
vaga negli anfratti memorabili del suo presente e ad essi attinge per placare
il fremito che emana dalle parole. E sono le parole a trascinare nell’oscuro
ambiente i gesti e i territori che lo sguardo coglie nell’inatteso travaglio.
Solido e polisintetico, il riflesso dei pensieri permane nella parola
disegnata nella mente e si espande a violare pensieri altrui, mai domi nella
narrazione lenta.
Carmen De
Stasio
Docente,
Critico d’arte e letterario
*
Pierfranco
Bruni:
“Tra
intrecci di vocaboli si crea uno scenario in cui il dato antropologico è
fondamentale al di là della parola stessa. Ma è naturale che lingua (un
vocabolario linguistico) e tradizione fanno l’identità letteraria di un poeta.
Qui siamo ad una vera e propria esperienza identitaria”.
Pierfranco Bruni
Responsabile Progetto Etnie del
Mibact
*Pierfranco Bruni - Responsabile
Progetto Etnie del Mibact