Franceschini riconfermato Ministro dei Beni e delle Attività culturali
mercoledì 14 dicembre 2016
Dichiarazione di Pierfranco Bruni
Il fatto che Dario Franceschini sia stato riconfermato al Ministero dei Beni culturali, a mio avviso è un fatto positivo e di garanzia non solo per la cultura italiana, ma soprattutto per la cultura italiana nel mondo, poiché ritengo che sia stato, e continui ad essere, uno dei più “progettuali” ministri degli ultimi anni. Un ministro che ha progettato e riconfermato una riforma nella sua contestualità e che possiede, allo stesso tempo, le idee molto chiare su come si fa cultura.
Ministro Dario Franceschini
La cultura si fa attraverso una rivoluzione di quella che è stata una riforma fino a qualche anno fa e riprendendo la dimensione della cultura europea internazionale soprattutto per ciò che riguarda i musei. Sono del parere che la riforma di Franceschini abbia segnato una tappa fondamentale all’interno di quei processi culturali in cui la cultura si basa principalmente su due capisaldi: l’economia e il turismo. Franceschini conosce molto bene questa realtà: non si dà qualità alla vita, non si dà qualità alle città, se non c’è una qualità della cultura, se non c’è una condivisione delle culture anche di quelle sommerse.
La riforma dei Ministero dei Beni culturali, la riforma del ministero in sé come sede centrale, la riforma delle sovrintendenze e dei musei sono un fatto altamente positivo che segna una tappa importante della cultura italiana nel mondo perché si internazionalizza una cultura che fino a qualche tempo fa era rimasta ancorata a una tradizione che non collimava con una società in transizione come la nostra.
La cultura deve stare al passo con una società che è continuamente in transizione. Sono del parere che questo sia un dato significativo. La ristrutturazione dei musei, la loro autonomia, sono aspetti che indicano quanto Franceschini sia coraggioso e su quanto chiare siano le sue idee riguardo a come la cultura debba essere gestita e in che direzione debba andare.
Non si può pensare che la cultura sia una conferenza. La cultura è fatta di progetto, è una progettualità in un’articolazione di situazioni che abbraccia diversi ambiti: dai beni archeologici, ai beni paesaggistici, ai beni demoetnoantropologici. Quest’ultimo ambito rappresenta una importante novità poiché la cultura popolare rientra in quella dimensione che è la dimensione della tutela della valorizzazione sul piano istituzionale e ciò significa che la cultura non ha soltanto un comparto in sé ma vive, appunto, di articolazioni.
La storia del Ministero dei Beni culturali è una storia che nasce nel ’74 -’75. Ricordiamo la riforma del ‘75 avviata da Spadolini alla quale si sono succedute altre riforme che hanno determinato diverse situazioni di dialettica all’interno dello stesso dicastero, senza mai che fosse minata la concezione di un bene culturale inteso come patrimonio di una nazione.
Con la riforma Franceschini oggi il bene culturale diventa anche patrimonio identitario aprendosi così a ventaglio su molte prospettive. I territori devono rendersi conto che non si fa cultura soltanto con la tutela. La cultura si fa con la valorizzazione, con la conoscenza, con la fruizione. Se un museo non è fruito non ha alcun senso tutelare e conservare reperti derivanti dal mondo archeologico, monumentale, dal folklore e dalle tradizioni popolari.
Si deve fare in modo che queste culture siano fruibili nel mercato delle culture, nel mercato delle utenze. Il museo è sì una struttura che custodisce pezzi archeologici, pezzi monumentali, quadri, pezzi artistici, ma allo stesso tempo si deve aprire a un’utenza che è sempre più in calo.
Visitare un museo significa fare entrare quella struttura in un circuito di mercato anche di tipo commerciale. Aprire le sale di un museo a un convegno, alle conferenze, alle mostre che non siano attinenti la propria disciplina significa avere un obiettivo ben fisso della produttività della cultura. Si dovrebbe parlare sempre più della produttività della cultura, e questa riconferma del nuovo governo è indicativo del fatto che la cultura ha segnato una tappa fondamentale nel corso di questi anni. Avendo segnato una tappa fondamentale va ristabilito un quadro generale delle culture sommerse, quelle culture immateriali. Fino a qualche tempo fa non erano vincolabili, non erano valorizzanti sul piano istituzionale. Oggi anche il canto popolare ha una sua visione che è una visione in cui il dato dei processi storici diventa un dato di dimensioni economiche.
Le tre prospettive che sono sul tavolo del Ministro Franceschini, e che la riforma ha posto come punti significativi, sono rappresentati dai beni culturali come beni patrimoniali, beni identitari di una nazione che considerano e raccontano la storia di un popolo. Il nuovo dato di partenza è quello della produttività del bene culturale, quindi della sua valorizzazione iniziando dalla sua tutela come bene identitario in sé, la valorizzazione come bene produttivo e la fruizione come bene di mercato. Tutto ciò è legato al turismo. Noi non possiamo creare le città del turismo senza creare le città d’arte, senza creare una città che è visitabile attraverso un immaginario reale in cui il territorio presenta le sue manifestazioni storiche. Dobbiamo affrontare questo aspetto con grande coraggio e credo che questa riconferma dia il senso di come oggi si debba operare nel bene della cultura e nel bene di un patrimonio che è ricchezza. L’Italia è al centro del Mediterraneo e questo legame con le culture mediterranee deve essere sempre più fonte di dialettica, ma anche di energia e produttività.
La cultura va intesa come un modello progettuale e, in quanto tale, non è concepibile cambiare ministro ogni due o tre anni, soprattutto nel settore della cultura, perché la cultura ha delle lunghe manifestazioni di verifica all’interno di questi processi. Di conseguenza, chi ha iniziato una riforma, a mio avviso, dovrebbe potarla a termine, in questo caso specifico la positività della riconferma di Franceschini io la leggo come un fatto altamente positivo, ma nello stesso tempo ritengo che sia la persona giusta al posto giusto. Non dobbiamo dimenticare che Franceschini è uno scrittore. Ha scritto diversi romanzi, di conseguenza ha un rapporto con le attività delle cultura, ha un legame con il pubblico della cultura e quindi l’attenzione, l’attrazione verso questo scibile istituzionale mi sembra un fatto di grande valenza anche storica.
Il suo permanere con tutto lo staff nel Ministero dei Beni culturali e del Turismo è anche una sfida nei confronti di chi sostiene, o di chi ha sostenuto, che la sua riforma era una riforma che presentava delle pecche, dei vuoti, dei segni da decifrare. Io, invece, ritengo che sia l’opposto visto che, da quando la riforma è stata attuata, il patrimonio culturale nazionale ha riscontrato delle positività a cominciare dall’aumento dei visitatori nei musei e da un crescente interesse nei confronti della demoetnoantropologia, una nuova disciplina entrata da poco nelle attività dei beni cultuali. Interessarsi di etnie, di antropologia, di linguaggi è un fatto molto importante; del resto, il Ministero di Beni culturali, già si occupava di editoria, e in particolare di letteratura, attraverso il “Centro per il libro”.
Mibact - Fiera Libro Roma
Nella recente Fiera del libro di Roma “Più libri più liberi” era presente lo stand dei Ministero dei Beni culturali adibito alle pubblicazioni realizzate dallo stesso Ministero. Anche la riscoperta di autori attraverso i convegni, attraverso le linee di demarcazione ci indicano il percorso che una struttura istituzionale può fare. Oltre a ciò, c’è il grande interesse nei confronti della poesia. Sono stati festeggiati diversi autori, in occasione dei loro centenari, tra cui Cesare Pavese, Sandro Penna, Mario Soldati, il prossimo anno sarà la volta di Pirandello.
Questa attenzione ha attribuito al Ministero una forza maggiore e una garanzia importante da un punto di vista istituzionale permettendo di penetrare anche nel mondo della didattica. A mio avviso, i due Ministeri, quello della Pubblica Istruzione e quello dei Beni culturali, devono dialogare e collaborare in direzione di un interesse che dovrebbe essere comune, ossia quello di offrire nuove e sempre più importanti possibilità alle giovani generazioni sia sul piano letterario, artistico, della ricerca, che sul piano della cultura popolare.
Non dobbiamo pensare che la ricerca sia demandata soltanto al Ministero delle Pubblica Istruzione attraverso le Università. La ricerca è compito anche del Ministero dei Beni culturali. Si pensi all’archeologia, si pensi ai monumenti, a questa nuova visione che si ha della cultura popolare, dell’antropologia. Noi facciamo ricerca sul piano demoetnoantropologico. Abbiamo costruito molti anni fa un progetto sulle etnie anche grazie al Ministero dei Beni culturali attraverso il quale è stato possibile individuare tutte quelle presenze etnolinguistiche in Italia. Il Ministro Franceschini è molto interessato a questo aspetto, tanto che si discute della possibilità di dedicare il prossimo anno alle minoranze etnico linguistiche in un rapporto tra nuove e antiche migrazioni. Da notare la vastità di interessi, di panorama che possiede questo Ministero dei Beni e delle Attività culturali.
Si parla di beni culturali, ma si parla soprattutto di attività culturali. Una volta era soltanto il Ministero dei beni culturali, oggi già in termini di linguaggio si usa il concetto di attività culturali, quindi è compito del Ministero non soltanto svolgere tutela, riservare, considerare i beni cultuali come tutela, ma anche produrre attività che significa soprattutto valorizzare il territorio attraverso le culture.
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