Bene antropologico ed etnico – paesaggistico nella cultura delle Dolomiti
venerdì 9 settembre 2016
Pierfranco Bruni
Le etnie e i processi etnici (in termini di consapevolezza non solo storica ma anche antropologica e culturale) restano legati a quelle contaminazioni territoriali che offrono interpretazioni più complessive nella comprensione dei popoli, delle civiltà e del rapporto tra vicinanza e lontananza dalle culture stesse di provenienza. Si tratta di un particolare di estrema importanza sia per le civiltà che provengono dal mare sia per quelle che provengono dai monti. Terra – mare e mare terra risultato, il più delle volte, un rapporto anche necessario. Ma non bisogna dimenticare che c’è ancora un altro legame che è quello terra – fiume (ovvero resta sempre un legame terra – acqua).
La catena delle Dolomiti non è solo un paesaggio o un passaggio che lega aree geografiche e realtà storiche all’interno di una dimensione territoriale. Qui il legame terra – acqua diventa chiaramente suggestivo (ovvero monti – fiumi). La dimensione territoriale, dunque, costituisce una chiave di lettura in un processo culturale che ha profonde matrici etniche. Le popolazioni del Tirolo, le comunità Ladine, e la minoranza Italiana sono state una realtà e sono oggi più che mai un preciso riferimento dopo i grandi conflitti e scontri sia degli anni Sessanta che quelli risalenti alla temperie succeduta alla Prima Guerra Mondiale.
La letteratura, in modo particolare, si è innescata in questo contesto che porta dentro di sé certamente i segni di un modello marcatamente esistenziale, nel quale le presenze identirarie hanno inciso un solco ma proprio in virtù di una insistente impalcatura socio – culturale che si è espressa attraverso un processo di identità e di appartenenza il valore etnico resta fondamentale in una metafora monti - fiume. Ma insiste però la storia con i suoi conflitti e con la sua rappresentazione.
Ci sono stati spaccati storici che hanno rivelato una maggiore accentuazione dei conflitti tra la cultura di lingua italiana e quella tedesca e ladina e ciò ha portato maggiormente ad aprire i rapporti tra popoli che sono “spaccati” dalle Dolomiti. Ecco perché, in fondo, questa catena di monti può rappresentare una indelebile metafora in quella civiltà della consapevolezza tra appartenenza e confronto o tra eredità e contaminazioni.
Il valore etnico se da una parte ha aggravato i conflitti dall’altra ha dato un senso a dei significati che si propongono come modelli culturali e quindi marcatamente antropologici. In un contesto in cui la mappa linguistica è abbastanza articolata la lingua stessa e le tradizioni sono una correlazione con una memoria che ha impresso i suoi simboli all’interno delle città, dei territori, dei luoghi.
La contaminazione etnica, nella consapevolezza di una cultura della tolleranza, non è un dato da trascurare. Realtà cittadine come Bressanone si portano dentro esperienze consolidate nella formazione di generazioni e la lingua ladina o tedesca (che è la stragrande maggioranza) diventa un portato storico considerevole. Oltre la lingua c’è un tessuto di tradizioni che non è soltanto una espressione antropologica o folklorica ma anche (si potrebbe dire sostanzialmente) urbanistica e culturale in senso più generale.
Bressanone potrebbe forse considerarsi il centro intorno al quale ruotano realtà minoritarie che dimostrano una chiara geografia proprio alle pendici delle Dolomiti. Gli intagli della cittadina offrono immagini chiaramente tirolesi ma nonostante ciò la presenza minoritaria italiana oggi vive una straordinaria contaminazione con quelle marcatamente tedesca e con quella ladina. Proprio la struttura urbanistica ovvero i luoghi e la tutela delle case sono un esempio emblematico di un vissuto nel quale è possibile una convivenza culturale tra generi ma anche tra risultati antropologici.
Il senso “etnico” è esistenzialmente comprovato da un forte sentimento del radicamento ad una storia che è piuttosto recente rispetto alle altre forme e presenze di minoranza etnico – linguistica in Italia. In realtà il tutto accade intorno alla Prima Guerra Mondiale e al trattato di Saint Germani. Siamo al 1919 quando il Sudtirolo passa all’Italia. Una data importante per comprendere un processo etnico che è stato esistenziale oltre che storico e culturale. Negli anni del Fascismo si insiste sulla italianizzazione. La lingua ufficiale è l’Italiano, la storia dei territori diventa manifestazione di italianità e la città di Bolzano esprime il suo simbolo straordinariamente rappresentativo come modello, appunto, di italianità.
Il Monumento della Vittoria viene innalzato il 1928. Con la caduta del Fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale il problema “etnico” si ripresenta con accenti molto precisi e molto duri. Nel 1948 viene varato il Primo Statuto di Autonomia. Ma non basta. Negli anni Sessanta il Sudtirolo diventa una vera e propria questione politica. In questi anni (all’inizio di questi anni) si vivono momenti drammatici e scontri duri. Si consumano atti terroristici di non poco conto. Nel 1976 viene approvato un Decreto nel quale si parla della “proporzionale etnica” e del bilinguismo mentre nel 1992 si pone fine alla controversia per il Sudtirolo grazie alla “quietanza liberatoria” da parte dell’Austria.
Insomma il problema etnico – linguistico vissuto in Alto Adige non può essere assimilato alle altre realtà territoriali che presentano comunità di minoranza linguistica. Non solo sul piano di una discussione normativa ma anche dal punto di vista storico.
Gli Italo – Albanesi, gli Occitani, i Grecanici o anche i Catalani di Alghero (per portare alcuni esempi) sono passati attraverso motivazioni storiche e politiche di ben altra natura. Una realtà storica resta una realtà storica. I destini di Scanderbeg e del suo popolo venuto in Italia raccontano certamente altre avventure e si propongono con una interpretazione che è soltanto antropologica e non politica. Così i Grecanici del Salento e della Calabria (pur facendo le dovute distinzioni tra i due ceppi) raccontano indubbiamente aspetti completamente di versi rispetto alla questione del Sudtirolo anche se la difesa di una appartenenza è un risvolto che vive comunque dentro i segni di una civiltà e di un territorio.
Ma è naturale che la lingua o le lingue vanno tutelate come vanno tutelate quelle forme di cultura che sono il testamento spirituale di un popolo. La catena delle Dolomiti non smette di osservare dalla sua statura austera, tra l’ asburgico, il tedesco, l’italiano, l’incontro di popoli. Un incontro che ha fissato un mosaico di contaminazioni. Terra – acqua è un tassello dove è pensabile ravvisare delle importanti contaminazioni ma da questa visione resta focale il senso di una eredità che si trasforma in identità.
In un romanzo di Michael Wachtler (scrittore nato a San Cadido, realtà del Sudtirolo, nel 1959) dal titolo La pace fra noi si racconta la storia del giovane Karl Mayr che scrisse un diario partecipando alla Prima Guerra Mondiale. In un passo di questo diario riportato dallo scrittore nel romanzo (trattasi di un romanzo di formazione) si legge: “Noi in Titolo ci dicevamo che le nostre montagne costituivano una barriera difensiva naturale e non facilmente superabile, ma era chiaro che anche le montagne andavano difese, e non potevano farlo da sole”. La montagna, in questo caso, è identità. La terra come appartenenza. Ed è la terra che ha bisogno di essere tutelata nella sua realtà e nella sua visione allegorica.
Così le culture. Quelle culture che resistono agli urti della storia e ai travagli del tempo se si riesce a capire il valore delle contaminazioni mantenendo sempre fede ai valori di una identità e rispettando le radici del territorio sul quale vivono le comunità. Una sintesi che può derivare dal senso di consapevolezza (che è tolleranza e conoscenza) nel quale si trovano spesso a vivere le civiltà e i popoli.
La metafora delle Dolomiti oggi resta metafora ed è nella lettura di questa metafora che le “etnie” non devono smettere di parlarsi con una reciprocità antropologica oltre la storia stessa. Terra – acqua vive, nella sua dimensione, un legame dove la contaminazione diventa un processo culturale necessario. Necessario per riappacificare i sentimenti della storia ma anche per definire i destini di civiltà che spesso si incontrano ma spesso si dimenticano di essersi incontrati. Ecco perché la metafore delle Dolomiti, oltre la geografia, è un parlarsi tra le eredità del radicamento alla terra e il bisogno di capire il trascorrere del tempo attraverso la mutevolezza dell’acqua. Le etnie sono frammenti di civiltà tra la terra e l’acqua. Tra la necessità di restare in un luogo e dare senso ad un luogo e il bisogno di vivere il sentiero della nostalgia. È su questo che i popoli resistono ai conflitti e non dimenticano il valore delle radici.