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Corrado Alvaro tra le etnie in un “itinerario italiano”
a 70 anni dalla morte

domenica 28 agosto 2016

di Pierfranco Bruni





La cultura italiana è un vissuto di modelli etnici ed antropologici. Ci sono testimonianze che hanno antichi richiami. Il grecanico e il provenzale sono stati modelli etnici nella cultura e nella tradizione di Corrado Alvaro. Nel rapporto tra letteratura ed etnie ci sono elementi che richiamano modelli mitici ben precisi.
Negli scritti di Alvaro è forte il modello culturale che riporta ad una antropologia di valori che hanno un loro radicamento certamente nell’identità gracanica ma anche in quella tradizione provenzale ben descritta dallo scrittore nel suo “Itinerario italiano”.
In fondo Corrado Alvaro (San Luca, Rc, 1895 – Roma 1956) è stato uno scrittore del viaggio ed i suoi viaggi (sia geografici che metaforici) hanno attraversato una temperie ed un contesto ben precisi nella storia dei territori. Ma questi suoi viaggi pur definendo una dimensione e una visione geografica non si sono focalizzati su una realtà soltanto fisica. Infatti, nei suoi paesaggi c’è una realtà dell’anima.
Non sorprende la sua grecità. Alvaro resta uno scrittore greco sin dalle prime parole non solo sul piano culturale ma anche sul piano biografico. Il suo Aspromonte è parte di un linguaggio e territorio che hanno radici elleniche. “Gente in Aspromonte” è il lungo racconto di una grecità riscoperta ma anche di una etnia che per ragioni geografiche si interpreta come modello culturale.
E’ proprio l’incipit di questo racconto che sottolinea: “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi tormenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro con lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale”.
Una geografia pastorale ellenizzante nel suo sublime mitico che ha richiami di una simbologia estrema. Ma siamo in territorio greco e i paesi grecanici sono il cuore di un costume e di una lingua che si è tramandata. Alvaro conosceva molto bene la tradizione grecanica dei paesi che vivono all’interno del suo territorio. La lingua è indubbiamente uno strumento di trasmissione di valore ed è grazie alla lingua che si inviano messaggi. Paesi grecanici.
Sono, appunto, quei paesi, che avevano incrementato un interesse particolare anche in un personaggio come Cesare Pavese confinato a Brancaleone, i cui radicamenti greci sono tutt’ora esistenti. Qui tutto è greco: diceva Pavese. E il dio greco di Alvaro è si una manifestazione del mito e degli archetipi ma è anche uno strumento linguistico, in quanto la lingua, come si diceva, veicola modelle di esistenze e di storia. Dunque Alvaro grecanico tra i paesi grecanici della Calabria e nella formazione di un uomo che non ha mai abbandonato il suo raccordarsi con le identità greche. Si pensi alle sue opere teatrali “Medea” e “Alcesti”. Quel suo radicarsi alla grecità è una testimonianza importante, soprattutto, se si pensa al rapporto tra etnia e antropologia.
Negli scritti di Alvaro il dialogo tra letteratura e antropologia è una via straordinaria per comprendere e capire la contemporaneità e il senso di antico che c’è in ogni uomo e su ogni territorio. Si pensi, ancora a quel suo importante capitolo dedicato alla Provenza. Alvaro racconta la Provenza in un contesto dove è possibile catturare elementi di una cultura popolare ricca di significati. Egli grecanico fino in fondo si confronta con i provenzali sostenendo che visitando la Provenza si ha “l’impressione di trovarsi in una delle province del Mediterraneo, quelle che vanno da Atene a Barcellona”. Ma nella sua analisi emergono aspetti di una straordinaria incisività.
Secondo Alvaro esiste un rapporto tra la Provenza e la Grecia il cui senso e orizzonte stanno in una storia remota che è quella greco-romana. Così osserva: “ I provenzali parlano volentieri, si radunano volentieri, hanno bisogno di animarsi e crearsi uno scopo alla loro animazione. Che siano le lotte di tori nelle vecchie arene romane ancora frequentate, le feste, le fiere, i balli popolari e i fuochi d’artificio. E allora si vedono le numerose famiglie provenzali, le donne coi bimbi in braccio, gli uomini con i ragazzi sulle spalle. L’insegna della Provenza è la famosa cicala ciarliera. ‘Lou soléu mi fai cantà’: Il sole mi fa cantare”.
Dunque, l’Alvaro grecanico rilegge quella Provenza e quei provenzali che “sono irrimediabilmente antichi”. Ma su questo Alvaro insiste e sempre nello scritto già evidenziato (“La Provenza. Introduzione all’Italia” in “Itinerario Italiano”) si può leggere riferendosi, sempre ai provenzali: “E’ l’unico popolo che possa dare l’immagine di quello che fu il ciarliero popolo ateniese coronato di cicale; e anche della sua disgregazione. E tuttavia è una riserva per la Francia, quella che serba più vivi certi caratteri di cavalleria, di amore dell’assoluto; e sensuale pagana e cristiana; ha caratteri così contrastanti da irritare quelli che non capendoli li trovano tortuosi e pieni di “combinazioni”. Di questo anche noi italiani sappiamo qualche cosa”.
Ci sono, inoltre, approfondimenti storici che non possono essere trascurati. Così ancora Alvaro: “Ma della Provenza si potrebbe dire che è un’Italia andata a male, un’Italia mal sortita, un’Italia in caratteri minuscoli e domestici, dove non riuscì né il feudalesimo né il principato, né il Comune né la Signoria, né il Papa né la Repubblica, né Roma né Atene; incapace di obbedire senza brontolare, dove tutti vogliono comandare, e dove l’individualismo spinge all’invidia, la personalità alla disgregazione del sentimento civico e nazionale. Gelosi delle tradizioni locali, i provenzali sono facili a imbastardire nel feticismo delle mode straniere che ha poi per suo contrapposto il senso dell’avventura e del cercar mondo anche proprio di loro. Così l’intelligenza provenzale, chiusa tra le sue mura arriva difficilmente all’universale perché universalità e tipicità, senso profondo della propria civiltà e non in quanto cucina abitudini e usi, ma come animo e ingegno”.
Ecco, dunque, questo grande scrittore, ovvero Corrado Alvaro, come è riuscito a penetrare nel mondo sommerso della cultura provenzale. Egli viandante di una memoria antica, alla quale è sempre rimasto legato, ha intrecciato quelle eredità calabro-greche in una realtà che sembrava lontana, come la Provenza, ma che in fondo è dentro la storia che unisce il basso Mediterraneo con l’Europa del Nord. E ancor di più etnia e antropologia rimangono stretti soprattutto quando le tradizioni sono espressioni di civiltà.
Il grecanico e il provenzale in Alvaro restano una manifestazione di recupero in cui il senso dell’identità non può fare a meno che confrontarsi sia con le eredità e le matrici storico letterarie sia con il presente che attraversa il quotidiano ma tra i grecanici e i provenzali Alvaro, come si è detto ha posto un tratto di unione che è il concetto di Mediterraneo. Sono le vie della cultura che segnano i viaggi di uno scrittori ma sorprendentemente definiscono uno scavo nelle radici di comunità e di popoli. Civiltà e popoli creano una interazione sia dal punto di vista letterario che antropologico.
I grecanici e i provenzali sono popoli che si portano dentro tradizioni. Una espressione etnica nella lingua, nel costume, nelle tradizioni. Se il suo “itinerario italiano” è un andare nelle pieghe dei territori è anche un saper leggere e proporre modelli di civiltà che sono presenti nel nostro Paese e che resistono grazie ad una difesa di valori che è dettata, appunto, da un profondo penetrare (e mai disconoscere) l’appartenenza. I valori dell’appartenenza sono codici identitari. Interpretare le culture delle etnie significa, tra l’altro, penetrare l’humus esistenziale delle civiltà. Ed è qui che la cultura del Mediterraneo ripropone un valore di fondo.





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