Pierfranco Bruni
racconta i cantautori sul filo della letteratura
Da Califano a Tenco
di Angela Lo Passo
La
canzone d’autore nell’intreccio con la poesia. Può un poeta non sentirsi poeta?
Può schernirsi dicendo che non è un poeta perché “non ha che lacrime da offrire
al Silenzio” (S. Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale).
E si potrebbe continuare a dire che “le mie tristezze sono povere tristezze
comuni. Le mie gioie furono semplici...Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne
andava!” Non è questo in fondo ciò che ha fatto Franco Califano?
Da
qui sembra coerente e condivisa l'affermazione di Pierfranco Bruni,
apparentemente enfatica e paradossale, che “Era il tempo dei cantautori, quelli
che hanno salvato la poesia”.
In
realtà la diatriba se le canzoni d'autore sono o non sono poesia risale agli
anni '60, alla nascita e allo sviluppo proprio della canzone
d'autore....Ricordiamo, per esempio, Luigi Tenco (più volte nominato,
soprattutto nella seconda parte, dal nostro autore)...Non lo citiamo a caso
perché, al di là del fatto che morì di morte violenta (non entriamo in questo
momento nelle varie tesi del suicidio o meno), ha dei tratti comuni con F.
Califano da un lato e C. Pavese dall'altro (uno scrittore ben noto a Pierfranco
Bruni a cui ha dedicato una sua precedente pubblicazione): un senso della vita
fortemente concreto ed espressione delle problematiche esistenziali (confronto
tra individuo e realtà e individuo e individuo), inoltre un rapporto
problematico con le donne e l’amore. Ma ciò che ci colpisce maggiormente a
livello formale è la limpidezza linguistica, che al tempo stesso era fonte di
profonda poetica, frutto della scelta di parole apparentemente semplici e
immediate. Una differenza però la troviamo non nella tematica amorosa, ma nel
ruolo della donna e del rapporto del poeta con essa, che realizza in questo
sentimento, almeno in Califano, (con “Sulla punta di una matita non sono
passati secoli” , Il Coscile), lo specchio della sua visione poetica ed
esistenziale; in Tenco e Pavese, invece, si risolve nell'impossibilità di
realizzare un amore autentico con la donna.
Sembra,
dalle parole dell'autore, che ci sia stato un tempo, quello degli anni '60, in cui la canzone cantautorale abbia rotto gli steccati tra la letteratura d'impegno, in
particolare la poesia ritenuta elitaria, e la “canzone poetica” che provocava
emozioni in chi viveva d'emozioni, o come dice l'autore, era l'emozione stessa.
Si
può tentare di delineare una sorta di storia del Canzoniere come insieme
coerente di poesie che raccontano un percorso poetico, insieme esistenziale e
stilistico, partendo proprio da Petrarca, continuando con G. Leopardi e
arrivando a U. Saba. Brano dopo brano in questi autori si delinea una vita,
quella soggettiva ed unica che ha creato in alcuni casi un io poetico,
egocentrico e ossessivamente autoreferenziale, come quello petrarchesco, una
sorta di diario in rima; o una visione della poesia come una salvezza dal
dolore esistenziale che tentenna sempre tra infinito soggettivo o mentale e
ricerca di una valore, comune a tutti gli uomini, per accettare l'infelicità
come nella raccolta dei “Canti” leopardiani; o infine un “Canzoniere” più
dichiaratamente psicanalitico, che sonda l'anima del poeta e la canta come
simbolo della condizione umana, dolente ma in qualche modo dignitosa di fronte
alla verità come quello di U. Saba. Su tutti sovrasta la parola musicale che
suggerisce o alleggerisce il peso del vivere.
Alla
domanda iniziale che viene da una poesia di S. Corazzini: Perché mi dici
poeta?
La
risposta non è razionale ma emotiva in quanto ispirata anche da elementi
accessori, come il suono, per esempio, che apre le chiavi del cuore ancora
prima della comprensione di un testo, o come un'immagine a volte semplice,
immediata che richiama alla memoria di chi ascolta una “propria” immagine, e
per questo commuove, ma soprattutto come la verità sottesa alle parole, che
arriva all'anima in modo diretto alcune volte passando dallo stomaco, con
violenza...
Questo
era F. Califano, come dice P. Bruni, “un personaggio della canzone vera” con
atteggiamenti che ricordano i poeti maledetti, sopra le righe, provocatorio, ironico,
dissacrante, immediato nella sua sfacciataggine ma soprattutto vero. Questo suo
modo di essere nascondeva senz'altro una sofferenza del vivere ma anche di fare
a pugni con la vita, con la sua aria da combattente che non nascondeva i
muscoli; rivolto alle piacevolezze della vita ne assaporava tutti i risvolti,
anche quelli negativi, facendo bilanci amari ma pronto a scommetterci ancora.
Non
citerò a questo punto brani di canzoni già citate dal nostro autore anche
perché senza la musica sarebbero sterile cosa e solo una ripetizione del già
detto, ma mi soffermerò a questo punto solo su alcune
suggestioni legate ai titoli dei paragrafi che sintetizzano in maniera efficace
il percorso di vita e poesia di Califano proprio citando titoli o versi delle
sue canzoni.
Il
primo: Franco Califano e “gli appunti sull'anima”; la parola “appunti”
ci ricorda che gli attimi, gli incontri segnano più di una costruita strategia
di vita, così l'incontro del nostro con il cantante che sente amico...
Il
secondo: Bisogna sentire e vivere “il tempo piccolo” delle esistenze;
nella dimensione dell'umano quotidiano il lungo tempo dell'esistenza può
allungarsi o abbreviarsi a seconda del peso dell'esperienza vissuta, il tempo,
cioè, si dilata se vissuto intensamente, se non è “occupato”, senecanamente
parlando, ma impegnato nella totalità del sentire così da essere malinconia,
dimenticanza, oblio e noia, mai chiusura...
Il
terzo: La sua “passione nei secoli”; lo studio della parola in Califano,
come l'efficace ritornello “Tutto il resto è noia”, non nasce da giochi
letterari ma da entusiasmi sfiammati in rituali stanchi, dall'eccitazione che
sa già di lontananza, che si colora dell'amaro del distacco che sa inevitabile,
dalla mancanza di sforzo di accettare la fine come armonica conclusione delle
passioni, che si ripetono nel tempo come una normale avventura esistenziale...
Il
quarto: Il Mediterraneo dei viaggi in Califano; un tema caro al nostro
autore, quello del viaggio, di un viaggio con un possibile e auspicabile
ritorno perché include una meta oltre che un percorso ed è un percorso che ci
porta da Oriente ad Occidente, metaforico e reale, in cui convogliare crocevia
di linguaggi che diventano canto...
Il
quinto: Di passioni e di amori; come può un amore trasformarsi in poesia
e in più in poesia da cantare? E' di solito un amore finito, ma non amaramente
perché ha alimentato la gioia di raggiungere l'ineffabile, la perfezione ed è
possibile che essa risieda proprio nella stessa finitezza dell'amore; è
l'inappagato desiderio che continua a rinascere ogni volta e che per questa sua
necessaria ripetitività sembra essere eterno; è la sfrontata ricerca della
verità di cui non si ha paura ma anzi si aspetta con ansia che si ripeta
ancora...
Il
sesto: Franco Califano e il mistero dell'amore come dono; anche in
questo caso valgono le riflessioni già espresse per il paragrafo precedente.
E
si continua poi con “...saprò essere il tuo poi...”, “Non sono
passati mica secoli”, “Io per amarti” ti porterò una collana di stelle,
in cui P. Bruni parla di Califano come di un viaggiatore tra le emozioni e sono
quelle del padre, di una donna, dell'amore per l'amore, del suo raccontarsi
nell'accento “primitivo” del vocabolario, e infine Una preghiera: Dio fai in
modo che lei rimanga nella mia vita, che contempla il tema fondamentale di
tutta la produzione di Califano, l'amore condensato nello sguardo: “Il Dio
pregato porta gli occhi negli occhi e salva sempre”; è il Califano più recente
che ancora sempre e fino all'ultimo dedica la sua vita all'amore, all'amore
come ricerca, come abbandono, come dimensione dell'essere, come richiamo
continuo alla nostalgia, al bisogno di vivere ancora con l'infinità del
desiderio, la magia che solo gli uomini sanno creare e di cui, quando non c'è,
sentono dolorosamente la mancanza.
E'
questo l'unico tema del viaggio poetico di Franco Califano e se egli è stato
poeta è perché è riuscito a non farsi schiacciare dalla malinconia, ma ha
saputo temperarla con l'ironia che lo salva dal compiacimento del dolore per
vivere pienamente e senza timori...
Usando
per l'ultima volta le parole dello stesso Califano, citate da Pierrfranco
Bruni, “io vivo soltanto per essere me” e … “Tutto il resto è noia”. Ma Bruni
da De andré a Tenco (il quale resta riferimento), da Califano a Battiato ha
raccontato la letteratura come se parlasse di poesia.