Il periodare prevalentemente paratattico del romanzo "Cinque fratelli" di Micol e Pierfranco Bruni
lunedì 23 maggio 2016 di Annarita Miglietta *
Il romanzo Cinque fratelli. I Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà (Cosenza, Pellegrini editore, 2016) non è solo la narrazione della storia di una famiglia, o, come dice l’autore, un insieme di ricordi che si addensano nella memoria “che tutto raccoglie”, ma la storia di un pezzo di Calabria - Cosenza, Terranova da Sibari, Acri, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese - una regione crocevia di culture, in cui Oriente ed Occidente s’incontrano, portando e testimoniando la ricchezza di tre identità culturali: la latina, la greca, l’arbresh. Il racconto descrive la realtà socio-linguistico-economico-culturale di una terra il cui destino s’intreccia con quello di una famiglia che diventa simbolo di nobiltà e punto di riferimento importante in quanto “I cinque fratelli sono stati storia e hanno rappresentato la storia” (p. 80).
Il romanzo, che potremmo definire anche, per alcuni versi, in alcune pagine, diario intimo, è caratterizzato da un ritmo lento, meditativo, che viene suggellato da un periodare prevalentemente paratattico. Le frasi sono giustapposte o legate insieme per polisindeto con l’effetto di una singolare espressività. La struttura interpuntiva si regge soprattutto sui punti e sulle virgole. In particolare, gli autori spezzano il fluire del racconto ponendo tra due punti un nome, un verbo, un avverbio, quasi ad invitare il lettore ad indugiare, a riflettere sul significato di una parola che si carica, in quel determinato contesto, di sovrasenso. Le virgole intervengono per scandire la successione delle frasi, mentre, non trovano posto fra le maglie della narrazione i punti e virgola che, invece, sappiamo servono per movimentare le strutture del periodo.
Nel testo, gli autori, simulacri di sé, attraverso un’enunciazione enunciata, ci portano, dunque, per mano lungo il percorso del destino, del tempo, non di una famiglia, ma di una comunità - “ogni singolo destino non è un destino singolo” (p. 83) - che porta alla luce la sua esperienza, l’accaduto, che non si dimentica, dice l’autore” [n]on bisogna mai dimenticare. [perché] chi dimentica perde” (p. 158).
Lo stile della narrazione è sobrio, piano, ricco di messe in rilievo, ottenute attraverso frequenti figure retoriche di ripetizione quali, per esempio, l’anafora: Quando si andava a Cosenza era un viaggio ed era bello restare ad aspettare…/Quando si andava a Cosenza per la strada vecchia (p. 19); Il mio spazio di viaggio si ferma a ciò che ho vissuto. Volutamente. A ciò che ho conosciuto. Volutamente. (p. 39); La storia è fastidiosa. Come è fastidiosa la verità. La storia è maestosa come è bellezza la verità. Ma la storia e la verità sono nel destino (p. 122). Non manca la geminatio, le figura retorica che meglio codifica gli stati emotivi, nell’ amplificare l’enfasi: È un gioco, soltanto un gioco./Chi ci cascherà avrà ragione o torto … o torto e ragione insieme (p. 34); […] a fianco a quell’asilo che stato il mio asilo (p. 35); Intanto il tempo cammina. Cammina, cammina e poi si fa vento (p.55). La struttura ritmo sintattica è affidata anche agli isocoli: non sarà perduta, non andrà perduta (p. 77); Ma la vita è anima./La vita è capire (p. 101). Importante contributo alla struttura narrativa fornisce anche l’ anadiplosi, che tesa a rinsaldare l’andamento ritmico, scandisce gli intervalli, attraverso un suggestivo potere evocativo: A loro devo. Devo ed ho sempre riconoscenza […] (p. 76); [….] che ha il chiarore dei gigli. I gigli li ho ritrovati illuminanti nel mio giardino [….] (p. 73).
Altre figure retoriche che concorrono alla realizzazione ritmica del testo sono il chiasmo: Il tempo passa. È passato il tempo (p. 58) e il climax: […] sono memoria. Una grande memoria (p. 46); […] sono vivi dentro di me. Sono più vivi che mai (p. 52). È un artificio quest’ultimo che serve come osserva Bice Mortara Garavelli “non solo per costruire e collegare periodi. Ma è una forma di ragionamento. È un espediente argomentativo per garantirsi punto per punto l’accordo di chi ascolta o legge” (Il parlar figurato 2010: 136).
Insomma con I cinque fratelli ci troviamo di fronte ad una storia familiare, incastonata in un preciso e ben delineato sfondo storico di una provincia meridionale, che attraverso i documenti e la duttilità della parola viene ricostruita e restituita agli eredi, e non solo, perché sappiamo ascoltare e cogliere le radici profonde di una preziosa ed ancora viva tradizione.
Annarita Miglietta *Docente di Linguistica Italiana Università degli Studi del Salento – Lecce
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