Un terzo degli italiani si è
recato alle urne ieri: un risultato tutt’altro che scontato e trascurabile. La
scelta del governo sulla data della consultazione ha costretto la campagna
referendaria in tempi strettissimi, mentre l’informazione promossa dai mass
media è stata scarsa e mediamente di cattiva qualità . Renzi e i suoi farebbero
bene a evitare toni trionfalistici e offensivi nei confronti degli elettori,
soprattutto in vista del referendum costituzionale di
ottobre – che non prevede quorum –, già interpretato dal governo come una sorta
di “plebiscito” nei suoi confronti.
Siamo particolarmente soddisfatti
per il risultato di Taranto. Col 42,5% di affluenza, la
nostra città si colloca fra i primi comuni capoluogo d’Italia per partecipazione
al voto, in controtendenza con le passate consultazioni. Il dato tarantino è il
frutto della mobilitazione capillare di un vasto movimento:
associazioni, parrocchie, forze politiche (non pervenuti, il PD e le
istituzioni locali). Questa partecipazione va valorizzata, e i legami tessuti
fra mondi diversi vanno approfonditi, per rivitalizzare la vita democratica
nella nostra cittĂ .
Fatte queste premesse, dobbiamo
comunque chiederci perché il Sì non ha convinto la maggioranza degli italiani. Il
governo – e, in generale, il fronte del No – ha sistematicamente distolto
l’attenzione degli elettori dal merito del quesito, ponendo in risalto due
elementi: le ricadute economiche e quelle occupazionali
dell’eventuale vittoria del Sì. Si è detto, da una parte, che l’Italia avrebbe
perso importanti contributi al suo fabbisogno energetico e, dall’altra, che
sarebbero andati in fumo tanti posti di lavoro. D’altronde, la stessa campagna
per il Sì si è soffermata poco sul quesito, concentrandosi su aspetti di più
forte impatto emotivo, soprattutto quelli legati ai rischi
ambientali. Evidentemente, l’una e l’altra parte hanno ritenuto di per sé
poco interessante un referendum che chiedeva di abrogare un privilegio concesso
ad alcune aziende. In questo modo si è sviluppato un dibattito
fortemente dualistico: da una parte, i sostenitori del lavoro e della produzione;
dall’altra, i paladini dell’ambiente. Una dinamica che a Taranto abbiamo visto
in azione innumerevoli volte negli ultimi anni, con esiti scarsamente efficaci.
Su tale questione è urgente
riflettere. In questa fase stanno emergendo le contraddizioni intrinseche dello
sviluppo economico italiano: su tutte, la debolezza del nostro sistema
produttivo e il suo grave impatto ambientale. Si tratta di due facce della stessa
medaglia: l’industria italiana oggi soffre perché arretrata, e lo scarso
adeguamento ad elevati standard ambientali (come lo stentato sviluppo di
attività nei campi della “green economy”) è una cifra particolarmente
significativa di questa arretratezza. Così nel paese vanno esplodendo due
generi di crisi: una deindustrializzazione sempre più intensa e un’emergenza
ambientale dilagante.
Un movimento che voglia
conquistare il consenso della maggioranza degli italiani deve affrontare
unitariamente questi problemi; deve essere in grado di elaborare soluzioni alle
crisi industriali assumendo la prospettiva della trasformazione dei processi e
dello sviluppo di nuovi campi produttivi. Lasciare i lavoratori dell’industria
a Renzi, e alla sua retorica della “comunità dei produttori”, sarebbe un errore
di enorme portata. Renzi va sfidato sull’incapacità del governo di dare al
paese un Piano credibile per la transizione verso produzioni sostenibili, e
verso un sistema industriale piĂą avanzato.
Su questo terreno, il lavoro da
fare è tanto. Chi vuole cambiare realmente le cose ha il compito di sviluppare
una visione in grado di tenere insieme trasformazione economica, occupazione e
tutela dell’ambiente. Un’ecologia che assuma pienamente
l’urgenza dei problemi sociali che stanno deflagrando nel paese:
questo è il tema che dovremo sviluppare in vista delle sfide che ci aspettano.
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Circolo "Peppino Impastato", Taranto
Partito della Rifondazione Comunista
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