sabato 16 aprile, alle ore
20 al TaTÀ di Taranto
Nel mare ci sono i
coccodrilli
spettacolo tratto dal libro di Fabio
Geda sul piccolo Enaiatollah, fuggito
dall’Afghanistan
«Le guerre cominciano nella mente degli uomini ed è nella mente
degli uomini che bisogna costruire la difesa della pace». Per la rassegna
“Aprile dei Diritti”, promossa da Crest e Cgil Taranto, sabato 16 aprile 2016,
alle ore 20 al TaTÀ di Taranto, in via Grazia Deledda ai Tamburi, va in scena
“Nel mare ci sono i coccodrilli” di e con Christian Di Domenico, tratto
dall’omonimo libro di Fabio Geda (Baldini&Castoldi), adattamento a cura di
Fabio Geda e Christian Di Domenico, costumi Paola Paglionico, produzione
Christian Di Domenico/Teatri di Bari. Biglietto unico 10 euro. Info 099.4707948.
C’è chi parte per amore, per lavoro, per turismo e poi ci sono
quelli che partono per inseguire la vita. E allora la partenza è un parto. Un
viaggio in posizione fetale, stipato in pochi centimetri, nella pancia di un
camion dentro un mare di letame. Un mare in salita, che unisce e che separa. Un
mare che è liquido amniotico che nutre ma in cui si può annegare.
Una sola sedia in scena basta per raccontare il travaglio e il
peregrinare di un bambino, costretto a barattare la propria innocenza in cambio
della sopravvivenza, senza però mai vendere la propria onestà. Nel viaggio
diventa un uomo portando sempre in tasca le parole di suo padre e le promesse
fatte a sua madre. Poi finalmente arriva, si ferma. Ritorna a essere un po’
bambino, di nuovo figlio, nostro, del mondo, del tutto. Perché basta che due si
vogliano bene per raggiungere l’assoluto e la misura delle cose.
«La storia di Enaiatollah, fuggito dall’Afghanistan, è una
magnifica parabola che rappresenta uno dei drammi contemporanei più toccanti:
le migrazioni di milioni di individui in fuga da territori devastati dalle
guerre, in cerca di un miraggio di libertà e di pace. È una storia che ci
riguarda, anche se preferiamo non ascoltarla. L’attuale, diffusa indifferenza
verso quel che sta succedendo agli afghani e a tutti gli altri popoli che
approdano sulle nostre spiagge, ha radici profonde. Anni di sfrenato
materialismo hanno ridotto e marginalizzato il ruolo della morale nella vita
della gente, facendo di valori come il denaro, il successo e il tornaconto
personale il solo metro di giudizio. Senza tempo per fermarsi a riflettere,
preso sempre più nell’ingranaggio di una vita altamente competitiva che lascia
sempre meno spazio al privato, l’uomo del benessere e dei consumi ha come perso
la sua capacità di commuoversi e di indignarsi. E’ tutto concentrato su di sé,
non ha occhi né cuore per quel che gli succede intorno. Così è diventato il
nostro mondo: la pubblicità ha preso il posto della letteratura, gli slogan ci
colpiscono ormai più della poesia e dei suoi versi. Eppure l’Afghanistan ci
perseguita, perché è la cartina di tornasole della nostra immoralità, delle
nostre pretese di civiltà, della nostra incapacità di capire che la violenza
genera solo violenza e che solo una forza di pace, di carità e di accoglienza
può risolvere il problema che ci sta dinanzi», annota l’autore e interprete Christian
Di Domenico.