Si vive la luce con “La vita che si ama” di Roberto
Vecchioni, appena pubblicato, ed io attraversandolo ho ascoltato gli anni e gli
amori miei
Un vero libro
di Pierfranco Bruni
La
consuetudine chiede (a volte o forse), quando si parla di un libro o si tenta
di recensirlo, di intrattenere un “ragionamento” partendo dall’inizio e
argomentando il “filo” della narrazione o di creare uno schema. Non è questo
che voglio fare, soprattutto trattandosi dell’autore in questione. Non ci sono
schemi che tengano o teologie dei linguaggi quando a prendere il sopravvento è
la magia della parole.
La
“strizza” della memoria, il tempo incancellabile che racchiude una conchiglia
nel vento e il mare in uno sguardo. È da una vita che scrivo su di lui e recito
le sue canzoni e leggo da anni più ravvicinato i suoi libri (sui quali ho
sempre scritto di lui, del libro e di me).
Sì,
perché quando un libro non parla anche di me io ormai non ne scrivo. Ho smesso
di recensire per mestiere. Forse anche lui mi ha insegnato questo. La magia è
un vocabolario dell’anima e non si crea per mestiere.
È
appena uscito l’ultimo libro di Roberto Vecchioni. “La vita che si ama.
Storie di felicità” (Einaudi). Incipit dell’ultimo capitolo: “Che c’eri
quando tornavo o non tornavo e mi leggevi negli occhi… Che c’eri quando una
ragazza o una ferita, un sorriso come un lampo o una nuvola nera stavano
attraversandomi la vita”.
Lo
scrittore si sente, si avverte, si percepisce, si ascolta e si vede. Già, si
vede. Le parole e i linguaggi si vedono come se fossero specchio della propria
esistenza. Racconti, storie, come dice il titolo, romanzo. Non esiste
l’impossibile perché tutto è possibile quando nei nostri occhi la luce incontra
la vita e la vita si fa esistenza.
Il
sogno è luce: “E' il sogno che rubi dal tuo sonno, il sogno che modelli, plasmi,
fingi, che raccogli in pezzi; è l'istante prima che ha tutti gli istanti dopo
ancora intatti, e, appena è, già fu ombra e tu gridi per uscirne ed essere di
nuovo alla luce, perché questo sono gli uomini, urlo e sole, e tutto il resto è
niente"(in “Viaggi del tempo immobile”).
“La
vita che si ama” è su questa corda onirico – reale. Insomma c’è il raccontare
di una vita in questo libro come anche nei precedenti con una favola antica che
è quella dell’infanzia, della giovinezza, del padre, della madre, della
famiglia, degli amici e dell’amore che incontra la morte e anche sfidandola
l’amore vince sempre come ogni impossibile destino può diventare possibile
speranza nell’attesa che tutto può essere raggiunto avendo fede nel Dio che
illumina.
Ebbene,
questo nuovissimo libro di Roberto, nell’incastro tra una prosa che ha una
profonda liricità e dei versi che sono scavo nel sublime, mi riporta ad antichi
silenzi che hanno voce. Dal raccontare del padre con la sua ironica venatura
napoletana (molto inteso il racconto sul padre) alle sue esperienze di
professore di latino e greco. Dal suo emozionarsi al sua Dante con l’avventura
di Paolo e Francesca (e su Dante, Roberto gioca di fioretto sia in questo testo
che nei suoi versi cantati, il Dante che incrocia gli occhi pungenti di Beatrice)
sino alle due ultime pagine che sono nostre, di un vissuto condiviso come tutti
i figli che non vedono la propria madre morire e la trovano già distante.
Mi
appartiene, come gli altri suoi libri perché raccontano vita ed esistenze. Come
mi sono appartenute quelle luci a San Siro o quell’uomo che si giocava il cielo
a dadi, o come Milady o come mi manchi o come Euridice o come sogna ragazzo
sogna che dedico a mio figlio Virgio insieme a figlio figlio figlio… giglio… o
come il cielo capovolto, o come l’incanto della bellezza in una Venezia sulla
grafica di Mann o di un anonimo veneziano o come quel bandolero stanco (che mia
figlia Micol mi ha sempre dedicato) che mi riporta a mia madre perché nasce dal
tango delle capinere e lei, mia madre, cantava con la sua voce flebile da una
stanza all’altra ed io ragazzetto ascoltavo la sua voce, o come quelle rose
blu…
Roberto
mi ha formato e continuo ad ascoltarlo a leggerlo. Questo libro sembra
disegnato sul mosaico della mia vita. Si legge in “Le parole non le portano
le cicogne” (un altro suo libro di racconti): "Quella volta, ingenuo
come un adolescente, credetti che fosse più difficile amare che essere amato.
Ora so che non è così. Amare dà un potere senza confini che non conosce
spaventi e ritirate; essere amati è un continuo bivio e raddoppia i sussulti e
le tenerezze; hai sempre paura di sbagliare e ne esci battuto sempre, perché,
per quanto tu riesca a dare, non colmi mai la misura". E il mosaico
prosegue con storie di felicità.
Non
ti tolgo nulla, caro Roberto, me ne guarderei bene…e da quell’incontro nella
terra di Lecce a metà degli anni Novanta ci siamo ritrovati tante altre volte
nell’ascolto di malinconie e di incroci di esistenze e di vite e in quella
serata ti chiesi di ricantare quella canzone che fa “Gli anni rimangono /silenziosi,
leggeri, /stanno dove li metti /e si nascondono /negli odori, nei fogli, /nel
wysky, nei cassetti /gli anni si impigliano /e si aggrovigliano //Vorrei
parlarti /vorrei spiegarti /vorrei lasciarti/e poi cercarti…”. E tu mi
chiedesti cosa mi legasse a questa canzone.
Ecco,
caro Roberto, non ho parlato del tuo ultimo libro. In questo libro sei proprio
tu, hai scritto nel retro. Vero. Perché condivido con te che “non si è felici
nell’imperturbabilità. Ma nell’attraversamento del vento e della tempesta”. È
come se lo avessi scritto io. Soprattutto quando mi dici: “C’eri alla
malinconia e me la lasciavi senza dirmi niente, senza interferire.//C’eri alla
cima del monte, all’acqua del mare, all’aprirsi del cielo.//E c’eri sempre
anche quando non erano fatti tuoi, che non t’andava mai bene niente, e in tutta
onestà un bel po’ di volte mi hai pure rotto, dolcemente, i coglioni./Ma c’eri
sempre./E’ che io, io non c’ero, quando te ne sei andata”.
Vedi,
caro Roberto, a volte ci si somiglia un po’… come canzone per Sergio o come in
quel tuo ripetere che l’amore non finisce mai. Ed ora siamo qui, alla fine di
questo mio scritto che non dice niente ma dice tutto per chi crede che il
destino da impossibile può diventare possibile, forza per andare oltre e per
chi come dici in “Il mercante di luce” che “non importa quanto si vive,
ma con quanta luce dentro”.
Ma
sì, bisogna ascoltarlo questo libro. Attraversarlo. Come la vita. Come le
esistenze che si raccontano, come la bellezza che va vissuta sino all’ultimo
istante. Come gli amori e l’amore. Con i figli che sono te me noi.