Il Dante dei cantautori è oltre la “Divina Commedia” nel lavoro scientifico di Miriam Katiaka che tocca le “Rime sparse” e il cantico di Beatrice in un Convegno a Catania.
sabato 2 aprile 2016
di Pierfranco Bruni
I cantautori, proprio nel momento di crisi del linguaggio e delle neo-sperimentazioni, recuperano la lingua dando senso alla Parola e portano dentro il testo le esperienze letterarie. Dante, come più volte affermato nei miei studi dal 1978 in poi, costituisce la chiave di lettura tra le forme le metafore e una metafisica del senso. Miriam Katiaka nel suo bel testo “Dante nei cantautori italiani”, (con elegante copertina di Maria Zanoni e pubblicato da CSR, farà da apripista a un convegno su “Canzone d’autore, poesia e Dante” a maggio a Catania) ha scavato nei linguaggi di quei cantautori che hanno fatto della parola un luogo dell'essere e mai una dimensione ideologica.
Le lingue di De André, le ironie di Paolo Conte, gli Orienti di Battiato (ma non trascura tutto il filone che va da "Volare" sino alla grande maestria di Skoll o alle ballate del tradizionalismo che lega Dante a Guininzelli e Cavalcanti a Poliziano e Dante a Ungaretti alla canzone francese) vivono in questo splendido originale unico lavoro della Katiaka, una vera e profonda studiosa del legame tra Dante e la canzone del Novecento in un filtro che è quello di Salvatore di Giacomo. Conosco da anni la Katiaka e so che con molta scientificità è riuscita a penetrare tra i testi dei cantautori creando dei forti legami con Dante. Non soltanto il Dante della “Divina Commedia”, ormai analisi fatta e rifatta, ma il Dante delle “Rime” e di quelle “sparse” e il Dante della “Vita Nova” e anche in un gioco di linguaggio, come abbiamo cercato di fare con la brava Annarita Miglietta in una Cartella Studio, con il “De Vulgare Eloquentia”. È la “Vita Nova”, comunque, che si presta ad una interpretazione articolata con cantautori come De André o come addirittura Bruno Lauzi. Non siamo alla consueta navigata nel mondo dell’ulissismo dantesco o omerico, che va da Lucio Dalla a Guccini, ma ad una interpretazione che tocca persino Biagio Antonacci, il cantautore che sa di “orchestare” il suo verso in un intreccio tra Tibullo e Catullo (operazione ben riuscita) e attraversa Sergio Cammarieri, il cui incontro, sotto la lezione di Tenco, è ben definita su un viaggio omerico come d’altronde è leggibile nel futurista Vinicio Capossela. Miriam Katiaka porta alla luce un lavoro ben confezionato, sul quale ci siamo spesso confrontati in diversi convegni, sul rapporto proprio su canzone d’autore e letteratura partendo da una presentazione del testo “Volammo davvero” (Rizzoli) dove c’è un mio capitolo sul legame tra De André e Pavese, e in quell’occasione la Katiaka “improvvisò” un intervento splendido leggendo De André con le parole incrociate tra la “Commedia” e le “Rime sparse” di Dante. Ma parlare di Dante e delle diverse lingue di Dante dentro il Novecento musicale significa partire dalla canzone degli anni Trenta. Si pensi alla Nilla Pizzi di “Grazie dei fiori” e poi si vada a scavare nelle “Rime sparse” di Dante per approfondire il connubio “amoroso” e medievale in una melodia che giunge sino alle ballate veneziane barocche. Dante viene filtrato e citato non solo per Paolo e Francesca e l’ulissismo, ma per quel suo mondo esoterico e alchemico che trova in Battiato un impatto notevole come lo trova nei canti della “Compagnia degli Anelli” e di Skoll. Ma anche nel testo recitato – cantato di Manlio Sgalambro (con Battiato) si legge il legame tra Dante e Baudelaire proprio nella metafora del viaggio che è il viaggio – viaggiare nel sacro di Branduardi. Ebbene, credo che sia un testo di base (mi onoro di aver curato la Prefazione) questo della Katiaka e dal quale non si può prescindere e tanto meno si possono improvvisare conferenze tra Dante e i cantautori senza prima averlo almeno consultato. Un tema straordinario che soltanto con la professionalità è possibile penetrare.
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