I beni culturali: identità e risorsa multisciplinare
nella Riforma Franceschini
In un’intervista a Pierfranco Bruni, esperto e storico
dei beni culturali
di Miriam Katiaka
I
beni culturali sono diventati ormai un tema che occupa lo scenario della dialettica
di questi ultimi mesi. La Riforma del Ministro Dario Franceschini, nelle sue
fasi, ha fatto discutere, ma i risultati, in pochissimo tempo sembrano
registrare degli elementi abbastanza positivi. A Pierfranco Bruni, che ha
rivestito diversi incarichi nel campo della cultura e dei beni culturali, e ha
seguito i passaggi della Riforma e l’ha appoggiata già nelle sue linee
programmatorie, oltre ad ver scritto numerosi libri sui beni culturali e sulla
storia del patrimonio nazionale, abbiamo chiesto una valutazione rispondendo ad
alcune nostre domande.
Domanda:
Lei che ha appoggiato sin dall’inizio, quando era ancora in itinere il
dibattito e la presentazione della Riforma, ed è un attento esperto di storia
dei beni culturali, anche dal punto di vista del rapporto tra cultura giuridica
e cultura dell’umanesimo, come valuta questo impatto con la società italiana?
Risposta:
“Ho immediatamente letto nella Riforma Franceschini una innovazione di fondo.
Al di là degli aspetti prettamente giuridici, finalmente le separazioni delle
culture sono state considerate in un articolato modulare interattivo. Un
aspetto significativo, ve ne sono tanti, è quello di aprire le culture
prettamente scientifiche ad una metodologia didattica. Insomma siamo entrati in
una vera e propria pedagogia dei beni culturali. Ciò significa che un Museo è
leggibile da tutti, non solo visibile e visitabile. Dico leggibile perché la
Riforma parte dai beni culturali come progettualità e non come una variabile
della cultura”.
Domanda:
In alcune città, dott. Bruni, ci sono state polemiche, accesi dibattiti,
schieramenti, si è parlato addirittura di “scippi”, cosa è successo realmente,
Lei che studia il fenomeno dei beni culturali sia dal punto di vista storico
che antropologico?
Risposta:
“E’ fisiologico in certi casi e in alcune realtà. Ma la Riforma bisogna
conoscerla nella sua articolazione e nei vari spazi di una interazione
territoriale. Non c’è stato alcun scippo. Credo che c’è stata invece una
parametrazione delle strutture. Il Museo o la Soprintendenza. Questo era il
quesito. Ed è su questo che si vince la partita dei beni culturali. I 20 Musei
indicati dalla Riforma hanno dei compiti culturali alti e importanti sia per la
città che per il territorio dove sono ubicati. Costituiscono la vera struttura
che produce, con il materiale che ha, promuove, organizza cultura valorizzando
e dando la possibilità di farla fruire”.
Domanda:
La polemica che si è innescata a Taranto come la vede oggi dopo che è stato ed
è un forte assertore della Riforma?
Risposta:
“Credo che ci sia stata una incomprensione nella città. I tempi cambiano e le
società vivono le culture in modo diversificato. Ciò che era possibile
trent’anni fa o più oggi non è praticabile. Un tempo la Provincia aveva il
compito specifico della valorizzazione, io nella stagione del mio assessorato
come esterno alla Provincia di Taranto, ho realizzato progetti di
valorizzazione in sintonia con il Ministero. Oggi la Provincia non c’è più. La
Riforma ha contemplato anche questo aspetto. Ecco perché il Prof. Giuliano
Volpe che ha lavorato sulla Riforma in qualità di Presidente del Consiglio dei
Beni culturali, conosce molto bene queste realtà. Da esperto e da archeologo
attento ha posto all’attenzione il legame tra la cultura dell’archeologia e la
cultura della valorizzazione”.
Domanda:
Questo significa aprire una via privilegiata al turismo?
Risposta:
“I beni culturali sono in una strategia dell’attrazione non solo dal punto di
vista culturale ma anche turistico. D’altronde il Ministero si occupa di
cultura e di turismo. Il fatto è che bisogna entrare in una visione della
cultura come economia dei territori e come strategia di sviluppo all’interno
dei processi che le culture manifestano. Qui è la chiave di lettura. Aiutiamo a
creare una educazione alla cultura dei beni culturali. La Riforma Franceschini
vede in questo riferimento un consolidamento tra Istituzioni, territorio e
Associazionismo. Dobbiamo far crescere culturalmente le città e i territori. I
Musei sono delle agenzie alle quali va dato un contributo da parte di tutti noi
perché solo così si darà un senso alle identità di una cittadinanza”.
Domanda:
“Quindi la Riforma Franceschini esercita una funzione fondamentale nella
cultura dei nostri giorni?
Risposta:
“Chiaro. E non solo. È il collante tra la società in transizione e la
multidisciplinarità delle culture e il peso della Riforma è quello che ha
saputo guardare e sa guardare non solo al presente, ma soprattutto a un domani
per una Nazione che può puntare agli investimenti culturali”.