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I beni culturali: intervista a Pierfranco Bruni
giovedì 3 marzo 2016

di Miriam Katiaka


I beni culturali come identità e come risorsa multisciplinare nella Riforma Franceschini

I beni culturali: identità e risorsa multisciplinare nella Riforma Franceschini

In un’intervista a Pierfranco Bruni, esperto e storico dei beni culturali

 

di Miriam Katiaka

 

 

 

 

I beni culturali sono diventati ormai un tema che occupa lo scenario della dialettica di questi ultimi mesi. La Riforma del Ministro Dario Franceschini, nelle sue fasi, ha fatto discutere, ma i risultati, in pochissimo tempo sembrano registrare degli elementi abbastanza positivi. A Pierfranco Bruni, che ha rivestito diversi incarichi nel campo della cultura e dei beni culturali, e ha seguito i passaggi della Riforma e l’ha appoggiata già nelle sue linee programmatorie, oltre ad ver scritto numerosi libri sui beni culturali e sulla storia del patrimonio nazionale, abbiamo chiesto una valutazione rispondendo ad alcune nostre domande.

Domanda: Lei che ha appoggiato sin dall’inizio, quando era ancora in itinere il dibattito e la presentazione della Riforma, ed è un attento esperto di storia dei beni culturali, anche dal punto di vista del rapporto tra cultura giuridica e cultura dell’umanesimo, come valuta questo impatto con la società italiana?

Risposta: “Ho immediatamente letto nella Riforma Franceschini una innovazione di fondo. Al di là degli aspetti prettamente giuridici, finalmente le separazioni delle culture sono state considerate in un articolato modulare interattivo. Un aspetto significativo, ve ne sono tanti, è quello di aprire le culture prettamente scientifiche ad una metodologia didattica. Insomma siamo entrati in una vera e propria pedagogia dei beni culturali. Ciò significa che un Museo è leggibile da tutti, non solo visibile e visitabile. Dico leggibile perché la Riforma parte dai beni culturali come progettualità e non come una variabile della cultura”.

Domanda: In alcune città, dott. Bruni, ci sono state polemiche, accesi dibattiti, schieramenti, si è parlato addirittura di “scippi”, cosa è successo realmente, Lei che studia il fenomeno dei beni culturali sia dal punto di vista storico che antropologico?

Risposta: “E’ fisiologico in certi casi e in alcune realtà. Ma la Riforma bisogna conoscerla nella sua articolazione e nei vari spazi di una interazione territoriale. Non c’è stato alcun scippo. Credo che c’è stata invece una parametrazione delle strutture. Il Museo o la Soprintendenza. Questo era il quesito. Ed è su questo che si vince la partita dei beni culturali. I 20 Musei indicati dalla Riforma hanno dei compiti culturali alti e importanti sia per la città che per il territorio dove sono ubicati. Costituiscono la vera struttura che produce, con il materiale che ha, promuove, organizza cultura valorizzando e dando la possibilità di farla fruire”.

Domanda: La polemica che si è innescata a Taranto come la vede oggi dopo che è stato ed è un forte assertore della Riforma?




Risposta: “Credo che ci sia stata una incomprensione nella città. I tempi cambiano e le società vivono le culture in modo diversificato. Ciò che era possibile trent’anni fa o più oggi non è praticabile. Un tempo la Provincia aveva il compito specifico della valorizzazione, io nella stagione del mio assessorato come esterno alla Provincia di Taranto, ho realizzato progetti di valorizzazione in sintonia con il Ministero. Oggi la Provincia non c’è più. La Riforma ha contemplato anche questo aspetto. Ecco perché il Prof. Giuliano Volpe che ha lavorato sulla Riforma in qualità di Presidente del Consiglio dei Beni culturali, conosce molto bene queste realtà. Da esperto e da archeologo attento ha posto all’attenzione il legame tra la cultura dell’archeologia e la cultura della valorizzazione”.

Domanda: Questo significa aprire una via privilegiata al turismo?

Risposta: “I beni culturali sono in una strategia dell’attrazione non solo dal punto di vista culturale ma anche turistico. D’altronde il Ministero si occupa di cultura e di turismo. Il fatto è che bisogna entrare in una visione della cultura come economia dei territori e come strategia di sviluppo all’interno dei processi che le culture manifestano. Qui è la chiave di lettura. Aiutiamo a creare una educazione alla cultura dei beni culturali. La Riforma Franceschini vede in questo riferimento un consolidamento tra Istituzioni, territorio e Associazionismo. Dobbiamo far crescere culturalmente le città e i territori. I Musei sono delle agenzie alle quali va dato un contributo da parte di tutti noi perché solo così si darà un senso alle identità di una cittadinanza”.

Domanda: “Quindi la Riforma Franceschini esercita una funzione fondamentale nella cultura dei nostri giorni?

Risposta: “Chiaro. E non solo. È il collante tra la società in transizione e la multidisciplinarità delle culture e il peso della Riforma è quello che ha saputo guardare e sa guardare non solo al presente, ma soprattutto a un domani per una Nazione che può puntare agli investimenti culturali”.

 

 

 

 




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